Atene – L’ora della rivolta

16 / 3 / 2021

Nelle ultime settimane le vie di Atene si sono riempite di decine di migliaia di persone, nonostante il Paese sia in lockdown ininterrotto da più di quattro mesi. Si scende in piazza ogni giorno, in tutti i quartieri, in tutte le città: la tensione è altissima. Dalla legge sulla polizia nelle università allo sciopero della fame di Dimitris Koufountinas, la frattura nella società greca è totale, e ora c’è un pezzo di paese in rivolta. 

È l’escalation di un conflitto profondo e con radici lontane. 

Da una parte l’oligarchia conservatrice i cui interessi sono difesi dal partito di destra Nea Demokratia del primo ministro Mitsotakis, erede di una delle grandi dinastie politiche greche, figlio di un primo ministro, nipote di un parlamentare, discendente addirittura del padre della patria Venizelos. Dall’altra parte i “nemici della nazione”: anarchici, comunisti, studenti, lavoratori, persone migranti, i cui corpi e le cui idee minano l’unità, il benessere e la rinascita dello stato ellenico. Mitsotakis, laureato in economia ad Harvard e passato per la società di consulenza McKinsey, incarna perfettamente quel cocktail di neoliberismo, autoritarismo e nazionalismo, DNA dell’establishment greco che controlla il paese attraverso il complesso militare - industriale (navale), un sistema mediatico tra i più asserviti in Europa e con il beneplacito della chiesa ortodossa. 

Il fantasma della giunta è spesso evocato negli ultimi mesi, soprattutto da quando, a fine gennaio, è stata approvata la legge che istituisce un corpo speciale di polizia che presiederà le università 24 ore su 24, chiamato OPPI («Gruppi Difesa Istituto Universitario»). Il risultato è un’occupazione militare delle università, luogo di pericolosa opposizione: cosa si può dire e cosa non si può dire, cosa si può imparare e cosa no, quando e come si può protestare sarà quindi deciso da uomini in divisa. Solo lo scorso anno era stata abolita la legge che vietava l’ingresso delle forze di polizia negli atenei, santuari della libertà di espressione e di protesta fin dalla caduta della giunta militare nel 1974. 

Pochi probabilmente immaginavano che in così poco tempo si sarebbe arrivati a questo punto. 

Le origini di questa fratture sociale sono antiche e inscritte nella natura profondamente reazionaria e autoritaria dell’oligarchia greca che dagli anni Trenta in poi nasconde la sua passione per la dittatura dietro il "pericolo comunista". Dall’infausto filo-fascismo del dittatore Metaxas, ai numerosi episodi di collaborazionismo con i nazi-fascisti durante la seconda guerra mondiale; dalla sanguinosa repressione dei partigiani comunisti greci alla fine della guerra civile, fino al colpo di stato militare dei Colonnelli del 1967. La guerra a qualsiasi cosa “rossa” ha caratterizzato la Grecia moderna e la stessa transizione democratica alla caduta della Giunta fu un gattopardiano “cambiamo tutto per non cambiare nulla”. Per arrivare ai tempi più recenti, le promesse tradite dai due governi guidati da Tsipras, eletto per la prima volta nel 2015 sulla scorta delle lotte anti-austerity, hanno aperto la strada a una nuova restaurazione che sta portando il paese a passi veloci verso la democrazia illiberale. 

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Atene, 25 febbraio. Manifestazione studentesca (foto di Mario Lolos) 

La vicenda di Dimitris Koufontinas come paradigma

Una delle cause che sta agitando le piazze è lo sciopero della fame di Dimitris Koufontinas, iniziato l’8 gennaio e terminato dopo 65 giorni il 14 marzo. Koufontinas, 63 anni, era membro dell’ “Organizzazione Rivoluzionaria 17 Novembre”, gruppo armato attivo dal 1975 fino al 2002, quando proprio Koufontinas si consegnò, dopo l’arresto di molti altri membri del gruppo. Condannato a undici ergastoli per concorso in altrettanti omicidi nonché altri atti terroristici, non ha mai rinnegato né si è mai pentito. 

Fin dalla campagna elettorale del 2019, Mitsotakis e il suo governo hanno dichiarato una guerra personale a D.K, che nel 2018 - dopo 16 anni nel carcere di massima sicurezza di Korydallos, Atene - era stato trasferito nella prigione rurale di Volos. Nel dicembre scorso, una legge ‘ad personam’ è stata votata in parlamento, per negare a D.K. qualsiasi possibilità di miglioramento delle condizioni detentive e per impedirgli di godere dei brevi permessi maturati. Successivamente, il 23 dicembre, D.K. è stato improvvisamente e illegalmente portato nella prigione di massima sicurezza di Domokos, una sperduta località tra le montagne della Grecia centrale, infrangendo così la stessa legge appena approvata per negargli il diritto di stare in un carcere rurale; secondo la nuova legge, infatti, ora dovrebbe essere riportato nel durissimo carcere Korydallos di Atene, dove però sarebbe vicino alla sua famiglia. L’ex membro della 17N ha scioperato per più di due mesi contro la persecuzione politica e giudiziaria nei suoi confronti. Questo accanimento è una vendetta, fatta sotto la pressione dell’ambasciata americana, mossa anche da motivi personali, poiché D.K. uccise nel 1989 il giornalista e politico Pavlos Bakoyannis, cognato di Mitsotakis, nonché padre dell’attuale sindaco di Atene. 

L’interferenza politica sul sistema giudiziario è talmente evidente da essere imbarazzante, con i ministri che mentono pubblicamente per coprire le loro azioni ed è resa possibile soltanto dal servilismo di televisioni e carta stampata, pronte a riprodurre parola per parola qualsiasi nefandezza arrivi da ministri e sottosegretari. Il ruolo di megafono del potere di televisione pubblica e giornali è stato accentuato dal governo Mitsotakis. Il primo ministro ha infatti posto sotto il proprio diretto controllo la televisione pubblica ERT e inondato di finanziamenti pubblici le testate giornalistiche amiche.

Intanto fuori dall’ospedale di Lamia, dove è ricoverato, le numerose manifestazioni in supporto di D.K. si sono sommate a quelle contro la violenza poliziesca, la risposta militare alla pandemia e in solidarietà con le persone migranti. Alla gente scesa nelle strade si è rivolto il messaggio con cui D.K. ha annunciato la fine del suo sciopero, affermando: “(...) Quello che succede là fuori è molto più importante di come ciò è iniziato. Di fronte al potere di queste lotte, da parte mia dico che sono con voi con il cuore e la mente, sono tra di voi”.

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Atene, 26 febbraio (foto di Mario Lolos)

I fatti di Nea Smyrni e di Thessaloniki e la brutalità della polizia

Il 7 marzo nel quartiere di Nea Smyrni è avvenuto l’ennesimo episodio di violenza gratuita da parte della polizia. Le restrizioni dovute alla pandemia stanno dando mano libera alle forze dell’ordine che disseminano terrore nelle strade. In una tranquilla domenica pomeriggio alcune famiglie si trovavano in un parco pubblico, quando alcuni agenti hanno iniziato ad importunarle. Un ragazzo ha gentilmente chiesto cosa stesse succedendo ed è stato picchiato duramente, mentre invano gridava “fa male”. Subito sono arrivati rinforzi militari, come se fosse in corso chissà che manifestazione. I video del pestaggio hanno fatto immediatamente il giro del web e centinaia di abitanti hanno marciato nelle strade, mentre in tanti applaudivano dalle finestre. Da Nea Smyrni la protesta spontanea si è sparsa in tutti i quartieri. La gente non ne può più di vivere come se fosse sotto un’occupazione militare, dovendo aver paura di girare per la strada a causa degli imprevedibili rambo in divisa che si ergono a protettori della nazione.

Lo scorso giovedì mattina la polizia è intervenuta violentemente all’università Aristotele di Salonicco per far terminare un’occupazione, usando i gas lacrimogeni e arrestando 33 studenti, prelevati arbitrariamente. Il paradosso è che era già stata programmata la fine dell’occupazione per il giorno stesso. “La legge è stata applicata e l’università sta tornando alla normalità”, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione.

Il governo intanto difende sempre le forze dell’ordine, mistificando i fatti, accusando giornalmente “gli anarchici” anche di fronte all’evidenza, come successo per la vicenda di Nea Smyrni, giustificando in qualche modo la violenza perpetrata con l’appartenenza politica della vittima. 

Mentre quotidiani e telegiornali raccontavano l’episodio come un fatto di guerriglia urbana, con titoli come “30 manifestanti attaccano la polizia”, i social media si riempivano di video e resoconti della brutalità gratuita degli uomini in divisa, chiamando alla mobilitazione con l’hashtag #boycottGreekMedia. In un video di questi ultimi giorni - come dimostrato dal collettivo Disinfaux - si vede addirittura un poliziotto tirare una molotov contro i manifestanti.

La situazione è fuori controllo. Dopo settimane di proteste il primo ministro Mitsotakis ha pronunciato in Parlamento delle poco sentite scuse nei confronti delle vittime della violenza poliziesca. Talmente poco sentite da essere scoppiato a ridere pochi secondi dopo. La vicinanza degli apparati polizieschi e militari all’estrema destra greca ha una lunga storia, comprovata da ultimo durante le indagini del processo ad Alba Dorata. Allo stesso modo il razzismo, la violenza e l’impunità delle forze dell’ordine non sono un fenomeno nuovo. La pandemia ha però agito da moltiplicatore per gli episodi di brutalità. 

Già durante il primo lockdown la polizia aveva compiuto raid violenti contro assembramenti di giovani, bar e teatri, manganellando a piacimento. Nel luglio 2020 Vasilis Mangos moriva a Volos, nella Grecia centrale, in seguito alle ferite riportate durante un pestaggio da parte dei poliziotti. Negli ultimi mesi la lista si è allungata esponenzialmente: a Karditsa, nel nord del paese, una ragazzina di 15 anni arrestata e pestata perché seduta in un parco pubblico, a Salonicco un gruppo di attivisti arrestati perché distribuivano volantini, famiglie terrorizzate perché portano i figli fuori casa o si fermano a chiacchierare fuori dal portone della loro abitazione. A dicembre, le unità antisommossa hanno in più occasioni picchiato giornalisti e il 6 dicembre, durante le manifestazioni in ricordo di Alexis Grigoropoulos, un agente ha lanciato una flash bomb dentro l’androne di un palazzo. Sull’isola di Lesbo, due ragazzi di origine afghana sono stati insultati e picchiati mentre passeggiavano per strada. La probabilità di essere fermato nei cosiddetti controlli a campione cresce per chi non è bianco. La tradizionale impunità della polizia fa il resto: l’assassino di Alexis Grigoropoulos è stato scarcerato nel 2019 e vedremo cosa ne sarà degli assassini di Vasilis Mangos o di Zak Kostopoulos, ucciso ad Atene nel Settembre 2018, mentre già sappiamo che mai si conoscerà chi ha ucciso Muhammad Al Arab, colpito da 4 proiettili sul confine Greco-Turco dell’Evros nel marzo 2020, un caso che le autorità greche ancora bollano come fake news.

L’agitazione è permanente, migliaia di persone manifestano ogni giorno e le lotte si intersecano, come nel corteo con oltre diecimila presenze che ha sfilato l’8 marzo per le vie del centro. Il primo ministro si appella ai giovani, disvelando anche la dimensione generazionale del conflitto. Dice di mantenere la calma e di non coltivare l’odio per coprire le proprie mancanze, ribadendo che assicurerà la sicurezza, l’unità e il benessere dei cittadini greci, contro quelli che vogliono dividere la società e riportarla al passato. La verità è, invece, che la società è già divisa, e che l’unità che lui ricerca è la continuità dell’oppressione dei tanti per difendere il privilegio dei pochi. E il suo continuo richiamo al passato parla proprio della storia e della profondità del conflitto, destinato a non ricucirsi, perché composto da interessi materiali contrastanti e visioni del mondo opposte. Non solo non si può ricucire, ma siamo ormai allo scontro frontale. 

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Atene, 8 marzo (The Guardian)

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** Pic Credit (in copertina): Atene, 1 marzo 2021. In solidarietà a Dimitris Koufontinas (@RiseUp4Rojava)