Argentina - I movimenti sociali impongono la propria agenda politica al neopresidente Fernandez

Venerdì 1 novembre decine di migliaia di persone in piazza in tutto il Paese contro neoliberismo e FMI

2 / 11 / 2019

Il 27 ottobre si sono svolte le elezioni presidenziali argentine che hanno visto vincitore Alberto Fernandez, esponente del fronte unitario di Todos in cui confluiscono vecchi ed nuovi settori del peronismo moderato di sinistra. Una vittoria preannunciata dall'esito delle primarie estive, dove Fernandez raggiungeva il 47,79 % di consensi contro Mauricio Macri, esponente del partito neoliberista Proposta Repubblicana, che racimolava uno scarso 31,80 %. Tuttavia resta a molti peronisti l’amaro in bocca per un plebiscito preannunciato, ma non realizzato. Infattii alle elezioni ufficiali di ottobre Macri è riuscito a guadagnare punti arrivando ad accorciare le distanze con Fernandez, che è riuscito a vincere le elezioni con 9 punti di percentuale di distacco contro i 16 pronosticati.

Queste elezioni sono state particolarmente seguite tanto dalla popolazione quanto dal mondo della finanza mondiale. Il motivo è la forte crisi economica che molti analisti fanno risalire all’inizio del 2017, durante il governo peronista di Cristina Kirchner, ma che si è decisamente aggravata durante il mandato di Macri.

La crisi economica e industriale è spaventosa e tocca soprattutto gli strati più poveri della popolazione. Inflazione al 60%, con conseguente svalutazione del Peso che strozza i salari, aumento esponenziale della povertà e della disoccupazione. La più grande retrocessione mai vista nella storia del Paese, superiore anche a quella del 2001.

Macri, da buon liberista, decise all’inizio del suo mandato di agire in due modi: da un lato ha chiesto un prestito al FMI di 57,1 miliardi e dall’altro ha privatizzato il settore pubblico, svendendo gran parte dei servizi e fette sostanziose di aziende nazionali a privati e multinazionali nonché procedendo a una progressiva svendita e cementificazione dello spazio verde argentino, compresi boschi, montagne e fiumi.

Esempio emblematico è Vaca Muerta, nella regione di Chubut in Patagonia. Nei primi anni duemila la Chevron e la YPF (azienda nazionale leader nel settore petrolifero) scoprono importanti quantità di idrocarburi e olio di scisto nel sottosuolo di Vaca Muerta. Cominciano a trivellare e, man mano che si andava a scavare, le previsioni di estrazione aumentavano. Nel 2015 una nuova indagine rivelava che il deposito di gas e idrocarburi supera di gran lunga le aspettative iniziali. Si parla di uno dei più grandi giacimenti in assoluto con una stima di 27 miliardi di barili che renderebbero l’Argentina il secondo esportatore di scisto al mondo. Nel 2018 Macri liberalizza le concessioni dando inizio alla devastazione ambientale. Shell, Total, Eni, ExxonMobil, PanAmerica, PlusPetrol, Chevron, non manca nessuno e nessuno vuole farsi perdere la più grande speculazione economica e ambientale della storia.

L’estensione del giacimento è di oltre 30.000 km² e tocca le province di Neuquen, Rio Negro, Pampa e Mendoza. Gran parte dei giacimenti occupano i territori abitati dalle comunità Mapuche, che fin da subito si sono attivate per denunciare la devastazione ambientale e territoriale in una zona attualmente riconosciuta dalla legislazione come proprietà storica delle popolazioni originarie indigene.

Le ricerche e le estrazioni vengono fatte secondo il metodo del fracking causando così ingenti danni permanenti al sottosuolo e al territorio. Attualmente sono già stati costruiti più di 350 pozzi e in programma c’è la costruzione di un mega gasdotto che dovrà collegare Vaca Muerta alla costa. Dal 2018 ad oggi sono già state fatte più di 934 denunce di inquinamento ambientale, oltre al processo in corso dei Mapuche sulla proprietà territoriale, e lo sversamento di petrolio ha già inquinato permanentemente oltre 40 ettari di suolo.

Un altro esempio delle politiche economiche neoliberiste è il disboscamento di migliaia di ettari di bosco secolare nella zona di Bariloche, dove numerose famiglie di Mapuche sono state sgomberate dalle loro abitazioni per far posto a centri commerciali e complessi residenziali, come è successo alla comunità di Buenuleo del Cerro Mentana dove attualmente è in atto una rioccupazione dei territori contro la devastazione e speculazione ambientale.

Questa è l’eredità devastante che Macri a lasciato al neo presidente Fernandez. Le preoccupazioni di molti settori delle organizzazioni sociali e sindacali, però, sta nelle proposte di programma dell’esponente peronista il quale ha fin da subito fatto emergere l’intenzione di non ostacolare le politiche neoliberiste del predecessore se non con la costituzione di uno stato centralizzato forte, capace di dettare le regole del mercato ma che di fatto non cambierebbe nulla da un punto di vista della devastazione ambientale e sociale.

A pochi giorni dalla vittoria di Todos, i movimenti sociali argentini hanno chiamato una giornata di mobilitazione nazionale contro il neoliberismo e il FMI e per la tutela dei lavoratori, dell’ambiente e dei settori sociali più deboli. 

Argentina

Una giornata di lotta che ha visto un’ampia partecipazione. Il corteo principale si è svolto a Buenos Aires e ha visto più di 20.000 partecipanti che hanno lanciato subito un segnale al neo presidente inchiodandolo alle sue responsabilità di fronte alla crisi economica e sociale più grande della storia del Paese. Un altro dato significativo, già descritto da Raul Zibechi, è l’importanza delle mobilitazioni indigene in tutto il continente, e in particolare in Argentina. I popoli originari rappresentano gli strati più poveri e esposti alla crisi economica e ambientale e la loro progressiva presa di coscienza nonché di organizzazione e protagonismo saranno elementi importanti su cui i governi sud americani, e in particolare Fernandez, dovranno fare i conti. Un dato che malgrado tutto fa ancora ben sperare.