All'interno dello stesso Paese, c'è un Brasile Minore che si oppone a un Brasile Maggiore

Di Giuseppe Cocco professore di Scienze Politiche all'Università Federale di Rio de Janeiro

8 / 7 / 2013

Una delle persone che sta osservando con maggiore attenzione ciò che sta accadendo in Brasile è Giuseppe Cocco, professore di Scienze Politiche nell'Università Federale di Rio de Janeiro e membro della Red Universidad Nòmada.

Inoltre è autore, tra gli altri, del libro “MundoBraz: el devenir mundo de Brasil y el devenir Brasil del Mundo”, edito da Traficantes de Sueños-Mapas.

L'aumento di 20 centesimi del costo del trasporto pubblico è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza della società brasiliana e che si è poi tradotto in una polveriera di manifestazioni che hanno avuto luogo in tutto il Paese.

La presenza di milioni di persone nelle strade brasiliane ha provocato lo stupore del Governo di Dilma Rousseff, nei diversi mezzi di comunicazione di ogni parte del mondo e in una moltitudine di luoghi del pianeta.

Secondo Lei, come si sono sviluppate le mobilitazioni?

In primo luogo, le manifestazioni sono cominciate inizialmente a Porto Alegre alla fine di aprile, per poi diffondersi in tutto il Paese durante lo scorso mese di giugno, quando hanno avuto luogo a San Paulo. In tutte queste occasioni, gli obiettivi e interlocutori delle proteste erano i comuni o i governi di ogni Stato, non coinvolgevano il Governo Federale. A partire da lunedì 17 giugno, e soprattutto durante il giorno 20, le manifestazioni raggiunsero un livello di “massificazione” che ha travalicato gli argini, tuttavia senza che esso si costituisse come un attacco diretto a Dilma Rousseff e al Governo Federale. Dall'altro lato, il Partito dei Lavoratori (PT) e il Governo Federale (di Dilma) non hanno saputo cogliere l'arrivo dello “tsunami”: hanno solo sentito la terra tremare e, mentre aspettavano che passasse, si sono visti crollare la casa in testa.

Così il PT non si è esposto, i ministri non si sono esposti (e se anche qualcosa hanno detto è stato qualcosa di male). Al contrario, Dilma sì che si è esposta, però l'ha fatto il 21 giugno: troppo tardi e in modo troppo timido.

Lei ha commentato che la rivolta brasiliana attinge alle rivolte arabe, del 15M o alle manifestazioni in Turchia. Però c'è una differenza, e cioè che il Presidente Rouseff ha lanciato una serie di proposte.

Le proposte di Dilma sono insufficienti e le realizzazioni materiali di queste – influenzate da Lula – sono state fatte in maniera sbagliata. Il PT e Lula non hanno interlocutori e credono che parlare con le “organizzazioncine” di giovani patrocinate dal Governo possa risolvere qualcosa, in un momento in cui il movimento, da un lato si caratterizza il fatto di non essere rappresentato e dall'altro, per uno spostamento verso sinistra delle rivendicazioni che richiede molta più determinazione. Non è con la retorica o con la promozione delle attività delle ONG o di altri dispositivi siimili che si può individuare una soluzione per quanto sta accadendo.

Considera insufficiente la proposta del Governo brasiliano di iniziare un processo costituente?

La proposta di riforma politica che Dilma ha fatto era già in discussione da tempo. Inizialmente, Dilma ha parlato di una costituente limitata e sottomessa a plebiscito. Io penso si tratti di un modo per offrire qualcosa alle richieste che provengono dalle strade, ma comunque in una maniera troppo lieve.

È stato già detto prima che il detonatore delle manifestazioni è stato l'aumento del prezzo del biglietto, però, giusto per sciogliere eventuali dubbi riguardo le motivazioni di questa situazione, che ruolo ha giocato la destra brasiliana in queste mobilitazioni?

La destra non gioca nessun ruolo in queste mobilitazioni, anche se è utile notare che è stata la destra a dare l'ordine di caricare i manifestanti nello Stato di San Paulo, in cui è al governo. Questo supposto ruolo della destra all'interno del movimento è frutto di voci assurde diffuse durante la prima fase delle mobilitazioni da parte di alcuni settori del Governo che, paralizzati da quanto stava accadendo, hanno tentato di insinuare la paura del fascismo per chiedere “unità” contro questo. Solamente a partire da dopo il 17 giugno, quando milioni di persone scesero in strada, la destra ha approfittato del suo monopolio sui mezzi di comunicazione è ha iniziato a cercare di infiltrarsi nel movimento durante le grandi manifestazioni del 20 giugno, con milioni di persone nelle strade, però quest'infiltrazione fu comunque molto limitata.

Rio de Janeiro ospitò la manifestazione più grande (tra i due e i tre milioni di persone), che terminò con una battaglia campale che si estese a tutti i quartieri del centro della città e da lì fino al Palazzo del Governo. Fu in quest'occasione, il 21 giugno, che il Governo e il PT hanno reagito attraverso l'unica dichiarazione di Dilma in merito.

Qual'è stato il ruolo della popolazione afro all'interno delle mobilitazioni?

Un'altra stupidaggine del Governo e della sinistra governativa è aver affermato che ci sono pochi poveri e pochi neri all'interno del movimento e delle mobilitazioni. A Rio de Janeiro, nel giro di quattro giorni, hanno manifestato all'incirca due o tre milioni di persone, ovvero una parte decisamente rilevante della popolazione cittadina. Lunedì 24 giugno ci sono state due manifestazioni in due grandi favelas della città. La prima, nellafavela Maré, fu repressa nel sangue: ci furono dieci morti causati dalle Tropa d'Elite e dalla Policìa Militar, che hanno usato come pretesto la guerra contro il narcotraffico. Gli abitanti della favela di Rocinha hanno deciso comunque di scendere nelle strade nonostante ciò che era successo nei giorni precedenti. È stata la prima volta che migliaia di favelados si sono ripresi il diritto di scendere dal “morro” (precisamente da quello di Rocinha) e di andare fino alla casa del governatore, situata nel ricco quartiere di Leblon, dove in seguito ha preso vita un'acampada e altre manifestazioni, con diversi scontri con la polizia.

Dal suo punto di vista, perché i partiti di sinistra, in questo caso quello brasiliano, non comprendono o non accettano quello che Lei chiama “Revoluciòn 2.0.”?

I partiti di sinistra non capiscono assolutamente nulla, e il PT meno che meno. La cosa grave è appunto che non la capisca il PT, perchè questo ha delle conseguenze per il governo del Brasile. Chi sta tentando di articolare una risposta è Lula, però è ancora insufficiente perché si limita– come ho affermato prima – a promuovere a rappresentatnti del movimento alcune piccole organizzazioni di giovani comunque collegate a lui. In questo momento il movimento sta passando dalle grandi manifestazioni (ricordiamo lo scorso lunedì 1 luglio durante la finale della Confederation Cup) a iniziative decentralizzate: assemblee nei quartieri, occupazioni dei Consigli Municipali come è accaduto per quasi una settimana a Belo Horizonte (capitale dello Stato di Minas Gerais) o del Parlamento degli Stati Federati (come è accaduto con l'occupazione dell'Asamblea Legislativa de Espirito Santo, a Vitoria). Il governo e il PT non hanno capito che la rivolta si oppone anche a tutte le forme di rappresentazione (ONG e gli altri movimenti controllati da apparati).

In precedenti dichiarazioni, Lei profila uno scenario abbastanza complicato in questo Brasile “in divenire”, perchè?

Se le cose continuano così, tutto dipenderà dal movimento. Se questo si indebolisce, e anche a prescindera dalla posizione conservatrice della sinistra, può correre il forte rischio di venir capitalizzato dalla destra da un punto di vista elettorale. Inoltre, secondo gli ultimi sondaggi di opinione, Dilma Rousseff ha perso il 30% per quanto riguarda le intenzioni di voto. Una cosa sicuramente tangibile è che #BRevolution si inserisce pienamente all'interno del cicli di lotte che abbiamo visto a Tahrir, a Puerta del Sol, a Plaza Taksim, e nessuno sa a cosa porterà questo movimento incredibile. Senza dubbio, possiamo affermare che all'interno di uno stesso Paese c'è un Brasile Inferiore – quello formato dalla gente povera, dagli studenti, daifavelados, dagli indigeni, dalle donne – che si oppone contro il progetto di un Brasile Superopre: quello delle grandi industrie automobilistiche, del business agricolo, contro i rappresentanti politici. Il “diventare Brasile” del mondo (così come il “diventare mondo” del Brasile) conferma la necessità di creare nuovi valori e di non lasciarsi omologare da quelli ormai esausti del capitalismo globale.