I proclami guerrieri di Obama sono stati blindati dal Parlamento americano, l'attacco alla Siria si stempera nel tempo, non potendo effettuarlo prima del 9 settembre

Alla guerra, alla guerra, con calma

Attacco non convenzionale, aereo-missilistico.

di Bz
4 / 9 / 2013

Mentre le associazioni umanitarie internazionali si affannano per rendere noti gli effetti collaterali della guerra civile siriana con i suoi 120.000 morti ed oltre 3 milioni di sfollati interni e nei campi profughi allestiti negli stati circumvicini, le migliaia e migliaia di persone che stanno per arrivare in Europa, i proclami guerrieri di Obama sono stati blindati dal Parlamento americano.

L'attacco alla Siria si stempera nel tempo, non potendo legittimamente - per gli USA - effettuarsi prima del 9 settembre, dando da un lato spazio agli esami sui reperti raccolti dalla commissione ONU con i risvolti documentali che potrebbero contenere, e dall'altro permettendo una ponderazione sulle conseguenze che ne potrebbero scaturire, su cui molti osservatori internazionali hanno invitato tutti a riflettere. 

A tal proposito il premier russo Putin e' entrato a gamba tesa nella discussione, spiazzando il fronte interventista: ha dichiarato che qualora i commissari Onu affermassero inequivocamente l'uso dei gas nervini da parte degli uomini di el Assad la russia stessa appoggerebbe un intervento sotto il comando Onu. Aanche questa mossa rientra nel gioco delle parti per guadagnare tempo, scompaginare il fronte degli interventisti, mettere in difficoltà Obama e gettare discredito su tutto il blocco occidentale.

Ma vediamo sinteticamente quale sono state le decisioni intervenute in ambito parlamentare negli USA. È' stato raggiunto un accordo tra i leader dei due principali partiti americani in seno alla commissione Esteri del Senato federale sulla bozza di autorizzazione al presidente Barack Obama per l'impiego della forza contro il regime di Bashar al-Assad: prevede tra l'altro un termine di sessanta giorni per l'intervento militare in Siria, termine che potra' essere prorogato una sola volta di ulteriori trenta giorni, a condizione che cinque giorni prima della scadenza la Casa Bianca dimostri che l'estensione e' indispensabile, e che il Congresso non si pronunci in senso opposto. Come gia' era trapelato, il compromesso concordato tra il senatore democratico Robert Menendez, presidente della commissione, e il numero uno repubblicano della stessa, Bob Corker, esclude categoricamente il dispiegamento di forze terrestri. 

A Obama si impone inoltre di mantenere costanti consultazioni con il Parlamento di Washington, e di sottoporre alle commissioni Esteri del Senato medesimo e della Camera dei Rappresentanti una strategia precisa per negoziare una soluzione politica al conflitto siriano, ivi compresa una revisione delle varie forme di assistenza accordata ai ribelli. Quest'ultima clausola è stata richiesta da diversi esponenti della camera alta, tra cui il repubblicano John McCain, gia' avversario di Obama nelle presidenziali 2008. Oggi il provvedimento sara' sottoposto al voto del plenum della commissione, mentre per quello dell'assemblea nel suo complesso occorrera' attendere la ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva, il 9 settembre.

Analogo iter dovra' essere seguito alla camera bassa, davanti alla cui commissione Forze Armate compariranno in giornata il segretario di Stato, John Kerry, il leader del Pentagono, Chuck Hagel, e il generale Martin Dempsey, capo dello stato maggiore interforze. I tre avevano avuto ieri un'audizione analoga di fronte alla commissione Esteri del Senato. Una volta che l'autorizzazione sara' stata approvata in termini identici da entrambi i rami del Congresso, andra' alla firma di Obama per la conseguente promulgazione. E' stato raggiunto un accordo tra i leader dei due principali partiti americani in seno alla commissione Esteri del Senato federale sulla bozza di autorizzazione al presidente Barack Obama per l'impiego della forza contro il regime di Bashar al-Assad: prevede tra l'altro un termine di novanta giorni per l'intervento .Come gia' era trapelato, il compromesso concordato tra il senatore democratico Robert Menendez, presidente della commissione, e il numero uno repubblicano della stessa, Bob Corker, esclude categoricamente il dispiegamento di forze terrestri.  A Obama si impone inoltre di mantenere costanti consultazioni con il Parlamento di Washington, e di sottoporre alle commissioni Esteri del Senato medesimo e della Camera dei Rappresentanti una strategia precisa per negoziare una soluzione politica al conflitto siriano, ivi compresa una revisione delle varie forme di assistenza accordata ai ribelli.

Quest'ultima clausola è stata richiesta da diversi esponenti della camera alta, tra cui il repubblicano John McCain, gia' avversario di Obama nelle presidenziali 2008. Oggi il provvedimento sara' sottoposto al voto del plenum della commissione, mentre per quello dell'assemblea nel suo complesso occorrera' attendere la ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva, il 9 settembre. Analogo iter dovra' essere seguito alla camera bassa, davanti alla cui commissione Forze Armate compariranno in giornata il segretario di Stato, John Kerry, il leader del Pentagono, Chuck Hagel, e il generale Martin Dempsey, capo dello stato maggiore interforze. I tre avevano avuto ieri un'audizione analoga di fronte alla commissione Esteri del Senato. Una volta che l'autorizzazione sara' stata approvata in termini identici da entrambi i rami del Congresso, andra' alla firma di Obama per la conseguente promulgazione.

Una guerra aereo-missilistica ad alta intensita, come abbiamo gia scritto, è quella che si profila. Quale commento prponiamo questo articolo di Michele Pierri dal sito formiche.net:

Perché i droni non saranno utili nella guerra in Siria

L’uso dei droni ha rivoluzionato il modo di affrontare la guerra. La loro capacità di assolvere a compiti delicati, riducendo al minimo i rischi di perdite umane e di intraprendere conflitti protratti nel tempo, ne ha fatto l’arma privilegiata dell’Amministrazione Usa.

ARMA STRATEGICA
Basti pensare che George W. Bush ha autorizzato meno di 50 attacchi con droni durante il suo mandato, mentre il presidente democratico Barack Obama ha dato il proprio consenso a più di 400 interventi di questo tipo di velivoli durante i suoi primi 4 anni alla Casa Bianca, rendendo il programma il fulcro della strategia militare degli Stati Uniti.

UNA GUERRA COMPLESSA
Eppure, evidenzia Audrey Kurth Cronin, professoressa di Politiche pubbliche alla George Mason University, questi strumenti sono e saranno praticamente inutili negli ultimi due conflitti che gli Usa hanno dovuto affrontare, prima in Libia e ora in Siria. Perché?

È innegabile – spiega un’analisi pubblicata su Foreign Policy – che i droni siano stati utili in più di un’occasione (il loro primo uso risalirebbe addirittura al primo conflitto mondiale) e che possano avere una duplice funzione, preventiva o di supporto alle truppe su campo durante un conflitto più articolato. Sono in molti, dunque, a chiedersi perché non siano stati usati prima per distruggere gli arsenali dove secondo gli Usa Assad conserverebbe le armi chimiche con le quali lo scorso 21 agosto avrebbe ammazzato oltre 1400 cittadini inermi.

QUESTIONE APERTA
Secondo la docente – autrice del libro “How Terrorism Ends: Understanding the Decline and Demise of Terrorist Campaigns” – la risposta va ricercata nelle modalità d’uso dell’arma e nelle sue caratteristiche.

I droni armati – spiega la Cronin – sono formidabili ma hanno anche grosse limitazioni che la situazione in Siria mette a nudo. Essi sono utili solo quando chi li usa ha libero accesso allo spazio aereo, un target ben definito e un obiettivo chiaro. In Siria agli Stati Uniti mancano tutti e tre gli elementi.

In primo luogo lo spazio aereo. Finora i droni armati sono stati utilizzati sia su Paesi che non controllano il proprio spazio aereo (Somalia, Mali, Afghanistan) o dove il governo ha dato agli Stati Uniti ha un certo grado di consenso (Yemen e Pakistan). Tali circostanze sono rare. Quando il nemico può effettivamente difendersi, l’uso di droni armati è straordinariamente difficile e potrebbe costituire un vero e proprio atto di guerra, che potrebbe facilmente trarre gli Stati Uniti nel cuore di un conflitto. Inoltre i droni sono lenti, rumorosi, volano a bassa quota e richiedono tempo per librarsi sopra un potenziale bersaglio prima di essere utilizzati, secondo la docente. La Siria ha una forza e una difesa aerea che potrebbe facilmente neutralizzarli. L’unico vero modo per usarli sarebbe per gli Stati Uniti quello di distruggere prima gli aerei e poi le batterie antiaeree siriani. Ma questo non sarebbe diverso da un intervento su vasta scala e anullerebbe il vantaggio tattico e il senso stesso di un’operazione a distanza.

Secondo, il bersaglio. Utilizzando i droni armati contro le scorte di armi chimiche del governo siriano, gli Usa rischierebbero di provocare il rilascio di agenti molto mortali. Proprio ciò che stanno cercando di evitare. I droni sono precisi ma non perfetti. Come per i missili Cruise, la loro efficacia dipende principalmente dalla qualità delle loro informazioni di targeting. O peggio ancora, spiega la professoressa, un attacco imperfetto potrebbe inavvertitamente dare al governo di Assad la copertura politica per utilizzare le armi impunemente, magari motivando il rilascio di agenti chimici con un attacco statunitense finito male. Infine, aprire una breccia nei depositi potrebbe anche significare renderli accessibili alle frange terroriste infiltrate nei gruppi ribelli.

Terzo, l’obiettivo. Gli Stati Uniti vogliono punire il regime siriano per l’utilizzo di armi chimiche contro il popolo siriano e per impedire che siano utilizzate di nuovo. Gli attacchi con i droni sono poco adatti a questo scopo. È improbabile che siano in grado di infliggere danni sufficienti a scoraggiare altri tiranni dal seguire l’esempio di Assad. Tale obiettivo può essere raggiunto soltanto con una risposta internazionale forte.