Acqua “privata” in Messico

18 / 5 / 2011

Inondazioni e siccità, questo il maggior contrasto ecologico di Città del Messico. Una metropoli con oltre venti milioni di abitanti – se comprendiamo tutta la macchia urbana – che vive questa alternanza fin troppo concreta. Certo, nonostante il cambiamento climatico che anche qui fa sentire tutti i suoi effetti, l’alternanza tra stagione delle piogge – prossima ad iniziare – e stagione «secca» continua ad esistere.

A complicare le cose, c’è il pessimo sistema di distribuzione delle acque nella valle che ospita la capitale messicana. Ma non solo: vi è pure la noncuranza o, meglio detto, l’interesse della classe politica. Solo poche settimane prima del vertice dell’Onu sul clima a Cancún (la sedicesima Conferenza delle parti sul Cambiamento Climatico, o COP16), il governo di Città del Messico, guidato da un centrosinistra ormai proiettato verso le elezioni presidenziali del 2012, aveva ospitato il Consiglio Mondiale dei Sindaci sul Cambiamento Climatico.

Dalla riunione era sorto il Patto di Città del Messico, in cui i rappresentanti politici s’impegnavano ad adottare misure autonome e «cittadine» per la riduzione dei gas serra. Tra queste misure vi è quella di «sviluppare strategie locali di adattamento per far fronte alle ripercussioni locali del cambiamento climatico, applicando misure per migliorare la qualità della vita dei poveri nelle aree urbane» (punto tre del Patto). Dev’essere per questa ragione che il sindaco-governatore di Città del Messico, il «presidenziabile» Marcelo Ebrad, ha recentemente promosso la possibilità di privatizzare l’acqua nella capitale da lui governata, incapace di comprendere il concetto di «beni comuni» pur premiato in passato con il Nobel.

Il 16 febbraio scorso dunque l’esecutivo locale ha inviato una proposta di legge con cui cerca di trasformare l’attuale ufficio amministrativo «Sistema delle Acque di Città del Messico» (SACM) in un’impresa parastatale con autonomia finanziaria e di gestione. L’idea, argomenta il governo, è quella di rendere più efficiente il servizio, ora soggetto ai capricci del Ministero delle Finanze e alla burocrazia locale.

Argomenti plausibili, ma che la cittadinanza conosce bene per averli ascoltati ogni volta che un’impresa o servizio pubblico sono passati a mano privata. Tra le facoltà che la nuova legge darebbe al Sacm vi è quella di vendere determinate quantità d’acqua ai privati perché questi, a loro volta, la rivendano all’utente finale; quella di permettere ai privati di partecipare nella costruzione di infrastrutture utili al servizio; quella, infine, di stabilire le tariffe del servizio svincolandosi dall’attuale controllo esercitato dal parlamento locale.

Le voci contrarie, denunciando l’imminente privatizzazione del servizio pubblico e dell’acqua, si sono immediatamente fatte sentire. E il governo ha dovuto frenare, suggerendo che la «patata bollente» è ora in mano del potere legislativo, già in preda alle pressioni dei settori privati – interessati al nuovo affare – e della società civile.

Ma mentre a Città del Messico il dibattito appena comincia e probabilmente riuscirà a limitare i danni di un’iniziativa legislativa dai chiari contorni elettorali, nel vicino Stato del Messico – che comprende buona parte della cosiddetta «area metropolitana» e dove governa l’altro possibile candidato presidenziale, Enrique Peña – la privatizzazione è già un fatto. Il 27 aprile il parlamento locale ha approvato la nuova Legge dell’Acqua che permette al governo di dare in concessione il servizio di distribuzione, raccolta e riciclaggio dell’acqua. Con buona pace del «patto di Città del Messico» e delle belle parole di Cancun.