We take care of our own

20 / 2 / 2012

Sì, vogliamo prenderci cura di ciò che ci appartiene, di ciò che è nostro proprio. Dovunque sventoli quella bandiera, da Chicago al Superdome di New Orleans –canta il Boss. Per noi quella bandiera sventola sulla Grecia, sull’acqua pubblica, in Valsusa e nelle fabbriche di Marchionne. Anche sull’art. 18 e ben più sulla giungla dei contratti precari. We care, non I care, come salmodiava Veltroni l’Africano, ieri fautore del partito a vocazione maggioritaria, oggi rottamatore dei «santuari del no» al servizio di Monti, Fornero e Marcegaglia. Cioè: non mi preoccupo io per spirito di carità, ma lottiamo noi, insieme, mi ribello dunque siamo.

La Grecia allora. Nessun pathos sulle radici della nostra civiltà –che pure sono Platone e Aristotele, Socrate ed Epicuro ben più che Mosè e Cristo– non pretendiamo che gli inglesi si ricordino di Byron, i tedeschi di Hölderlin, gli italiani di Foscolo o Santorre di Santarosa. Neppure vogliamo ricordare le passate responsabilità: le impunite stragi fasciste e naziste di civili nella seconda guerra mondiale, il sostegno inglese alla repressione delle insorgenze nel 1944 e nel 1947-48, il complice silenzio sul regime dei colonnelli. Acqua passata, diciamo.

Il fatto è che oggi si sta sperimentando in Grecia quanto si imporrà nel giro di pochi mesi alla grande maggioranza dei paesi europei. La miseria programmata, la crescita della diseguaglianza sociale, la catena del debito perpetuo, in certi casi la fame, l’aumento della mortalità infantile, la diminuzione della vita media. Abbiamo un problema di resistenza comune, non di generosa solidarietà. Parliamo di minimo di sopravvivenza, di diritti elementari, di recessione e disoccupazione. Mica stiamo a ricordare l’eccidio di Domenikon, la Marzabotto di Tessaglia (gloria della divisione Pinerolo), mica ci sogniamo che la Merkel si ricordi dell’avventuroso Yperion o Cameron delle mura di Mesolongion (roba letteraria), e che, stiamo a smacchiare i giaguari? Però il diktat della troika segue oggi la stessa logica e procedura della lettera della Bce dello scorso agosto, le misure imposte alla Grecia sono appena una variante della lunga serie di richieste che puntualmente vengono applicate in Italia: dalla riforma delle pensioni a quella del mercato del lavoro. Sempre sulle “riforme” si martella e di “sacrifici” –magari raccontiamoglielo ai più giovani, che un tempo le riforme servivano a distribuire un po’ di benessere per scongiurare le lotte e salvare il sistema, mentre adesso impazza la licenza di massacrare, visto lo scampato pericolo sovversivo. E che dunque un po’ di sovversione servirebbe, se non altro per mantenere (non dico elevare) il reddito minimo.

Alesina e Giavazzi sul Corsera deplorano addirittura l’eccesso di prudenza nelle “riforme”. Non si ha il coraggio di smantellare la scuola media unica reintroducendo il vetusto avviamento professionale come strada maestra, già all’età di 10 anni, per l’apprendistato (con uscita laterale per il riformatorio). Perfino il bravo Rajoy è riuscito a dimezzare il costo per i padroni dell’indennità di licenziamento (ad abolire l’art. 18 ci aveva già pensato Zapatero), ma non se l’è sentita di introdurre il contratto unico, cui i sindacati si opporrebbero –udite, udite!– «perché la presenza di lavoratori precari segmenta il mercato del lavoro e consente di mantenere più elevato il salario di chi ha un contratto a tempo indeterminato». Meno male che, a confutare queste idiozie, ci siano i fatti, i milioni di lavoratori e precari in piazza domenica scorsa in tutte le città spagnole. Manifestazioni oscurate da stampa e Tv italiana, ma ben testimoniate il giorno successivo, vedi l’apertura di El País: «En el primer pulso al Gobierno, una marea humana toma las calles para exigir que corrija la ley laboral». E già si annuncia lo sciopero generale, Ugt in testa. Che la sconfitta elettorale stia facendo rinsavire gli equivalenti iberici di Repubblica e Cgil?

Il ritorno alle lotte, non la compassione per le vittime e i soprusi, è l’unica strada per arginare l’esproprio della democrazia e del reddito che il capitale finanziario sta conducendo su scala europea, incurante (a differenza persino degli Usa) dei devastanti effetti recessivi di tale operazione. Sembra ripetersi uno scenario noto: all’inizio degli anni ’30, mentre in America si gettavano le basi del New Deal, la Germania si teneva a una rigida ortodossia monetaria deflazionista, con il governo del cancelliere Brüning (partito di Centro) e l’avallo del socialdemocratico Hilferding. Ci vorranno Stalingrado e la Normandia per liquidarne gli effetti. Le prediche di Krugman e le pratiche di Obama (di certo interessati alla tenuta del dollaro e alla rielezione) contrastano in modo impressionante con la corsa all’abisso di tutti gli eurocrati. bocconiani e funzionari delle banche, che cercano, commissariando la pur non rimpianta sovranità nazionale, di spremere plusvalore dai più poveri e salvarsi la pelle.

W. Schäuble, il potente ministro delle finanze e mentore di Merkel, vero artefice del micidiale fiscal compact cui Monti si è prontamente adeguato, dalla sua sedia a rotelle impartisce lezioni di austerità a tutti i paesi europei e pretende addirittura di rinviare la data delle elezioni in Grecia. Mi torna in mente Miguel de Unamuno, rettore onorario dell’università di Salamanca, che pure aveva salutato con entusiasmo la ribellione franchista, quando nell’ottobre 1936, poche settimane prima di morire, risponde in faccia al generale Millán-Astray, mutilato di guerra, che aveva gridato ¡Muera la inteligencia! ¡Viva la muerte!: anche Cervantes era un mutilato di guerra, ma la sua grandezza spirituale consisteva nel fatto che non voleva più creare morti e mutilati intorno a sé. Ecco, pensiamo a un altro politico sulla sedia a rotelle, F.D. Roosevelt, che invece creava posti di lavoro e democratizzava politica ed economia del suo Paese. Riapriamo la strada della politica e dello sviluppo sociale, non resuscitando gli spettri dei vecchi partiti, in cui ha fiducia meno del 4% della popolazione italiana, ma facendo crescere un movimento dal basso che contrasti la dittatura commissaria dei tecnici –non uno stato d’eccezione, ma la normalità della governance finanziaria, sobria e arrogante quanto basta.

Oggi in Grecia, domani in Italia. Vale per la misura della crisi, vale per la necessità delle lotte. Wherever this flag’s flown...