Vicenza: No Dal Molin Tuor

Inizia questa settimana il NoDalMolin Tour: 15 incontri pubblici in 20 giorni per presentare a tutti il percorso verso Vicenza libera dalle servitù militari e discuterlo collettivamente.

18 / 11 / 2013

Inizia questa settimana il NoDalMolin Tour: 15 incontri pubblici in 20 giorni per presentare a tutti il percorso verso Vicenza libera dalle servitù militari e discuterlo collettivamente. Di seguito il documento che sarà presentato durante gli incontri.

Vicenza libera dalle servitù militari: la mobilitazione continua

1. Ieri, oggi, domani
A nostro avviso, gli ultimi mesi sono stati, per Vicenza, importanti. L’inaugurazione della nuova base Usa al Dal Molin, infatti, avrebbe dovuto, secondo alcuni, mettere una pietra tombale sul movimento che, in questi anni, ha animato la vita democratica di questa città, sancendo la fine di esperienze pluriennali che, nate per opporsi a un progetto scellerato, hanno maturato idee e pratiche che parlano di beni comuni, democrazia, partecipazione, facendo dell’opposizione alla guerra un nodo non mediabile e discutibile.

Invece, le vicende degli ultimi mesi hanno dimostrato quanto netto sia il taglio con un passato fatto di silenzi e rassegnazione. La nostra città, in questi anni di mobilitazione, ha cambiato radicalmente volto. Non solo perché ha maturato in sé la consapevolezza dei danni che le arrecano le installazioni militari. Ma, soprattutto, perché ha scoperto la voglia dello stare in piazza e la capacità di costruire sogni e prospettive comuni e collettive.

E’ da questo percorso che è nato il Parco della Pace, vero punto di svolta nella storia ormai decennale delle installazioni militari a Vicenza. Quell’area, infatti, è la prima da cinquant’anni a questa parte a passare da servitù militare a territorio libero e destinato a usi civili. Un cambio non da poco se pensiamo che, fino a sette anni fa, gli statunitensi volevano fare della città del Palladio il centro nevralgico del pugno di ferro con il quale controllare Africa e Medioriente, costruendo proprio in quell’area strappata dai vicentini alla militarizzazione una pista di volo.

Non è un caso se, a partire dalle suggestioni che ci offre la vicenda del Parco della Pace – ovvero la possibilità di strappare metri alle servitù militari – in questi mesi le recinzioni delle basi statunitensi hanno iniziato ad andar giù, recise dalle cesoie di centinaia di vicentini. Tagliare le reti non significa cacciare istantaneamente i militari, lo sappiamo. Ma porta con se significati fortissimi, sia per noi, sia per gli statunitensi: per noi l’idea che aprire le basi e portarci dentro la voglia di vivere la nostra terra senza confini è possibile e praticabile; per i militari, di riflesso, la consapevolezza che inviolabilità, segretezza, inaccessibilità non sono più intoccabili cardini del proprio sistema di controllo del territorio e delle proprie strutture di guerra.

Abbiamo imparato tante cose, in questi anni. Siamo partiti dalla foga di opporci a un cantiere, convinti che la forza di decine di migliaia di persone scese nelle strade lo avrebbe fermato; abbiamo imparato, nostro malgrado, quanto può essere forte l’imposizione; ma abbiamo scoperto, anche, quanto può essere importante la nostra mobilitazione nel cambiare il segno e la prospettiva di una vicenda dalle mille sfumature globali. Perché, oggi, anche a causa dei cambiamenti geopolitici e strategici, il Dal Molin non è più il centro nevralgico del dispiegarsi del sistema militare Usa nel Mediterraneo, ma una cattedrale nel deserto, monca dei suoi spazi più importanti. E quest’assenza – che ai militari costa cara – è il frutto del nostro essere cittadini attivi di questa città.

Sono queste le convinzioni che ci fanno pensare che la nostra è una battaglia sempre aperta. Ancora nelle mani dei vicentini. Ma, anche, come abbiamo affermato negli ultimi mesi, che è tempo di cambiare. Perché se, rispetto a sette anni fa, è diverso il contesto, anche la nostra lotta, con il bagaglio di esperienze e strumenti che porta sulle spalle, deve costruire linguaggi e pratiche nuove.

2. Una città alternativa alla militarizzazione.
Vicenza libera dalle servitù militari è uno degli slogan che, da sempre, accompagnano la nostra mobilitazione. Ma uno slogan è anche una pratica. E, per noi, Vicenza libera dalle servitù militari significa costruire le condizioni sociali, politiche e ambientali per un progressivo allontanamento delle truppe statunitensi dalla terra che viviamo.

E’ un obiettivo di lungo periodo. In qualche modo, progressivo. Da praticare a partire da quelle strutture che gli stessi statunitensi dichiarano inutilizzate – come Site Pluto e Base Fontega – ma che continuano, inspiegabilmente, a occupare sottraendo terra e vita ai vicentini.

Ma è, anche, un percorso da costruire a partire da un’idea alternativa di città. Fatta di socialità, cultura, tutela della terra, valorizzazione dei beni comuni, costruzione di nuovi legami, anche micro-economici. Perché Vicenza libera dalle servitù militari non è soltanto un territorio senza filo spinato, ma un luogo in cui la guerra e i suoi tanti significati non hanno cittadinanza.

Per questo vogliamo costruire una rete capace di attraversare tutta la città. Fatta di luoghi d’incontro, spazi artistici e culturali, attività economiche e commerciali che sappiano praticare l’alternativa quotidiana alla militarizzazione della terra e ai suoi significati. Lo vogliamo fare insieme alle tante e ai tanti che, in questi anni, hanno attraversato – rendendola viva – la mobilitazione NoDalMolin.

Quel che proponiamo è continuare a camminare insieme, valorizzando le qualità di ognuno e mettendo al centro del nostro lavoro comune la capacità di esprimere alterità e alternatività al sistema della guerra e inospitalità ai suoi strumenti e ai suoi servitori.

In questo percorso, mettiamo in gioco prima di tutto noi stessi. E la nostra casa, il nostro spazio comune: il Presidio Permanente NoDalMolin.

3. Difendiamo la terra dalle basi di guerra: il nuovo Presidio Permanente NoDalMolin
Per migliaia di vicentini, NoDalMolin significa anche un campo di sorgo, due tendoni freddi d’inverno e caldi d’estate, decine di panche e sedie per le assemblee e un falò intorno al quale cantare.

Il terreno di Ponte Marchese, che abbiamo acquistato in centinaia nel 2008, è infatti uno dei simboli di una mobilitazione che ha visto gran parte della nostra città scendere in piazza. Quei tendoni hanno ospitato assemblee, cene, eventi culturali; ci hanno visto gioire e arrabbiarci, ridere e imprecare. Ma, soprattutto, ci hanno visto cambiare. Perché è nelle nostre infinite discussioni e nella continua ricerca di uno spazio comune che è cresciuta la voglia di alzare la voce e opporsi. E se il cambiamento è il metro della nostra capacità di essere protagonisti nelle vicende che riguardano la nostra terra, noi non abbiamo paura di mettere, ancora una volta, tutto in discussione. A partire dalla casa che condividiamo.

Non vogliamo smantellare o chiudere. Vogliamo, insieme, ripensare. Affiancando la storia del Presidio al suo futuro. Facendone un luogo che, oltre a essere spazio di socialità e mobilitazione, è anche luogo di sperimentazione.

Ed è qui che, ancora una volta, ci viene in soccorso uno dei nostri storici slogan: “difendiamo la terra dalle basi di guerra”. Parole che ci accompagnarono nella nostra prima grande manifestazione, il 2 dicembre 2006, e che vogliamo rendere pratica, attraverso un percorso sperimentale di orticoltura comune laddove oggi ci sono prati. Il Presidio, insomma, come uno dei luoghi della città in cui si pratica l’alternativa, concretizzando il motto “terra e libertà” e rendendo palese la differenza tra chi la terra la distrugge cementificandola e chi, invece, la difende coltivandola.

Quel che immaginiamo è un nuovo spazio sociale nel quale l’orticoltura è una pratica di mobilitazione. Uno spazio nel quale far crescere piante capaci di rafforzare le radici dell’opposizione alla guerra. Una dimostrazione pratica di quanto possiamo e potremo fare liberando la nostra città dal filo spinato che la soffoca.

Su queste proposte e su questi percorsi chiediamo ancora una volta a tutte e tutti di prendere parola. A partire dalla sottoscrizione di questo documento, per poi costruire, insieme, la strada verso Vicenza libera dalle servitù militari.