Verona - Una giornata senza di noi: verso lo sciopero sociale del 1 marzo

In preparazione allo sciopero sociale del 1 marzo

1 / 2 / 2010

La tragica, recente vicenda di Rosarno allude a due cose, evidentemente.

La prima: all’esistenza di un razzismo di stato diffuso nel nostro paese. Diffuso dalla retorica politica della sicurezza, dagli apprendisti stregoni della paura, quelli che hanno voluto a tutti i costi le ronde spiegandoci che esse sarebbero state volute dalla cittadinanza e organizzate in forme perfettamente legali.

Che la cittadinanza le volesse ben poco, lo dimostra il fatto di come il reclutamento sia andato deserto. Di come i soldi stanziati per esse, a dispetto dei tagli nel frattempo prodotti al sociale, alla scuola e alla cultura, fossero del tutto inutili.

Che cosa siano le ronde che la lega voleva, lo hanno dimostrato le violenze, l’autentico pogrom, scatenato contro i lavoratori migranti nella campagna calabrese. Ci dicevano che solo chi lavora può restare. Bene, i migranti di Rosarno lavoravano, ma questo non li ha sollevati dal fatto di essere oggetto di tiro a segno. Dei colpi di pistola dei razzisti. E delle indegnità sparate dal ministro Maroni. “Troppa tolleranza”, egli ha detto. Forse  si augurava che ci scappasse il morto.

La seconda: essa allude a che cosa materialmente sia il lavoro precario in questo paese. Non solo il lavoro schiavile, controllato dalla camorra. Ma il complesso del lavoro invisibile, sfruttato, in nero, in molti casi estorto e non pagato, che colpisce non solo il lavoro agricolo, ma buona parte del lavoro nelle catene dei subappalti.

A Verona, non in Calabria, la vicenda della Finservice ci ha fatto vedere tratti simili. Ancora i lavoratori aspettano di essere pagati per il lavoro regolarmente svolto. E nelle campagne dell’Est veronese abbiamo già avuto modo di denunciare situazioni di sfruttamento e di ricatto in tutto simili a quelle di Rosarno.

Migranti e precari vivono sulla propria pelle la gravità della crisi. Non solo perché perdono il lavoro. Ma perché perdendo il lavoro perdono la casa, non ce la fanno a pagare le rate dei mutui o dei prestiti bancari, cadono vittime di strozzini che non si preoccupano del colore della pelle.

Migranti – che noi preferiamo chiamare nuovi cittadini, anzi cittadini tout court, ma che forse si vogliono considerare migranti a vita e per generazioni - visto che la Gelmini – con l’accordo del centrosinistra - li vuole tenere relegati in una condizione di parziali soggetti scolastici - al 30% - sono trattati come merce, come invisibili animali  da lavoro, trattenuti sul limite della cittadinanza e del diritto. Sono crocefissi ad una situazione che rende permanente un transito. Li si vede o come soggetti in ingresso – sul punto di diventare cittadini; sul punto di ottenere contratti a tempo indeterminato – o come soggetti in uscita, da espellersi o da sempre considerati in esubero.

La battaglia che si apre è una battaglia per il “right to stay”. Per il diritto di restare e di essere riconosciuti per quanto migranti e precari producono: ricchezza, valore, una cittadinanza nuova, inaugurata da incomprimibili processi di soggettivazione politica e moltitudinaria.

Riteniamo che sul terreno del lavoro e della scuola, vadano create forme di intreccio tra lotta per la cittadinanza e lotta per il diritto all’istruzione; che una nuova cittadinanza debba formarsi dal basso di lotte condotte in comune per il reddito, i diritti, la dignità; che debba essere riappropriata la ricchezza socialmente prodotta, rifiutandosi di pagare il conto della crisi alle banche già ampiamente sostenute dal governo nonostante fosse stato in esse riconosciuto il detonatore della crisi.

Do you remember Robin Hood? Noi la crisi non la paghiamo. Ed è questa la risposta al razzismo che la vuole far pagare a noi. Che ci tratta come bestie da lavoro, come precari dell’esistenza, che ci priva dei progetti e dei nostri sogni. Ma noi i progetti e i sogni, la vita, la vogliamo, e subito.

Contro tutto questo, contro il razzismo di stato e lo sfruttamento, circa due anni fa proponemmo "Un giorno senza di noi": uno sciopero sociale dei migranti, la loro assenza dai luoghi della produzione formale e informale, dalle agenzie di riproduzione della cittadinanza coloniale, uno sciopero delle badanti e dei bambini, dei soci di cooperativa e degli ambulanti, degli operai e degli operatori dei call centers.

Oggi, se i tempi sono maturi, crediamo che quella giornata possa essere l’atto di ribellione della potenza degli sfruttati, dei migranti, dei precari, l’inizio della nuova cittadinanza.

CITTADINANZA GLOBALE

Prime adesioni:
Lavoratori Finservice in lotta
Lavoratori Coop Europromos Università di Verona
Lavoratori della Coop Genius di Veronella
Anwar - Associazione Algerini di Verona
Hassan - Consulta Immigrati Verona