Venezia non può essere ostaggio del turismo

28 / 2 / 2021

Il crollo del turismo ha dimostrato che Venezia, più che beneficiare dei flussi turistici internazionali in crescita, ne è ostaggio. La Fondazione che gestisce i Musei Civici, perfettamente in linea con questo quadro, ha dichiarato senza remore di essere disposta ad aprire solo in presenza di turisti in città. Ciò accade nonostante numeri ed incassi (e relativi dividendi) costantemente in crescita nell'ultimo decennio. La decisione adottata, ossia chiudere ogni museo e sospendere ogni attività - salvo una breve riapertura di pochi giorni in occasione di una temporanea presenza turistica - non solo priva i cittadini di servizi, ma espone a rischi la conservazione e interrompe la ricerca: situazione che fa il paio con la sospensione o l’impossibilità di accedere a determinati servizi ormai da un anno, come nel caso di diverse biblioteche e archivi. Un atteggiamento che è logica conseguenza di un sistema culturale basato su privatizzazioni e sfruttamento, frutto di una deriva politica pluridecennale, a vantaggio di pochi gruppi d’interesse che lucravano e lucrano sul grande turismo di massa. Una situazione non limitata al settore culturale, che comporta un ​grave abbassamento ​qualitativo del servizio appaltato ed uno sfruttamento e impoverimento diffuso, contribuendo a moltiplicare il modello di lavoro precario e flessibile che ci ha portato a questo disastro socioeconomico, cui la pandemia ha solo dato l’accelerazione finale. 

Con queste parole Sale Docks e Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali hanno lanciato sabato 27 febbraio un presidio a Venezia, ai piedi del ponte di Rialto, per denunciare l’inadeguatezza delle politiche culturali a Venezia. Un presidio che ha raccolto l’adesione di numerosi gruppi e collettivi che, a vario titolo, nel corso degli anni si sono battuti per un cambiamento di queste politiche che, se all’ombra della pandemia hanno svelato tutta la loro inadeguatezza, in realtà risultavano insostenibili anche prima, quando i bilanci delle istituzioni culturali crescevano, gli stipendi dei dirigenti crescevano, crescevano le rendite di chi aveva spazi da affittare, ma crollavano i diritti e il reddito dei lavoratori e delle lavoratrici. “Negli ultimi 20 anni, con la cultura, a Venezia, chi era ricco è diventato sempre più ricco, chi era povero, è diventato sempre più povero” dice Marco Baravalle, portavoce di Sale Docks. “La pandemia, quindi, deve essere un’occasione per ripensare un modello doppiamente sbagliato, un modello che sfruttando e precarizzando lavoratori e lavoratrici, aumenta lo spopolamento della città, un modello tutto sbilanciato sul turismo”.

Ad essere attaccate sono state l’amministrazione cittadina e il gruppo dirigenziale della Fondazione Musei Civici di Venezia, che negli ultimi 20 anni hanno ridotto la cultura a mera parte dell’offerta turistica, privandola di qualsiasi funzione sociale o civica. Di conseguenza, se non ci sono turisti, che senso ha investire su di essa? Di seguito l'intervento di Corinne Mazzoli per Art Workers Italia.

È necessario ripensare completamente la cosiddetta “economia dell’evento”, fondamentale per tutte le maestranze dello spettacolo, ieri presenti in Campo San Bortolo. In tal senso, è stato ripetuto più volte nel corso del pomeriggio, occorre pensare a un’economia di programmi a misura di residente, non di turista, e dare avvio a una campagna per il reddito di base universale e incondizionato. Una misura che non si applica, naturalmente, solo al comparto della cultura e dello spettacolo, ma di cui questo potrà godere appieno, come testimoniato anche dal manifesto di Art for Universal Basic Income (UBI) letto da Roberta Da Soller.

Ad intervenire è stata anche Chiara Buratti di ADL Cobas, sindacato di base promotore alcuni giorni prima, di un presidio per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del settore alberghiero, tra i più colpiti dalla pandemia. Le/i dipendenti sono generalmente esternalizzatə e i contratti precari lə privano di qualsiasi tutela. Anche il loro lavoro dipende interamente dall’affluenza di turistə in città, motivo per cui ieri hanno deciso di aderire al presidio.

Ha preso parola anche la rete veneta delle Maestranze dello spettacolo, un gruppo nato durante il primo lockdown per chiedere misure a tutela di tutte le figure impiegate, a vario titolo, nel mondo dello spettacolo: attrici, tecnici, cantanti…a raccontare l'esperienza dell'ultimo anno e a portare solidarietà a chi lavora nel mondo della cultura sono stati Emanuele Broccardo (Cento) dei Tecnici Antifascisti e Jacopo Pesiri.

A testimoniare la propria solidarietà è stato anche Ruggero Tallon del collettivo universitario Li.S.C., nel cui racconto emerge la paradossale contraddizione di un’università che, anziché farsi promotrice di formazione critica e battersi perché i/le propriə laureatə possano accedere a posizioni lavorative dignitose, da anni ha avviato un percorso di stage curricolare proprio con i Musei Civici, fornendo loro manodopera gratuita e dando la possibilità alla fondazione di licenziare centinaia di dipendenti, ormai sostituiti da tirocinanti.

Tra le voci che hanno animato il campo anche quelle di Non Una Di Meno, impegnata nella costruzione dello sciopero dell’8 marzo. Oltre ad invitare tuttə ad aderire alla giornata di mobilitazione, sono stati forniti alcuni dati che, nelle ultime settimane, hanno spesso occupato il dibattito pubblico. Si tratta delle cifre sulla perdita di posti di lavoro negli ultimi mesi: nel dicembre 2020 sono stati 101mila le occupazioni perse. Di queste, 99mila appartenevano a donne: si tratta del 98% del totale. In generale, nel 2020, il 77% dei posti di lavoro andati perduti erano posti di lavoratrici. Sono dati, specifica Francesca Belia di Non Una di Meno, naturalmente sconcertanti, ma non inattesi.