Un ragazzo di sedici anni soffocato, due sopravissuti, uno dei quali
ricoverato in condizioni problematiche. Non sono i primi ma soprattutto,
purtroppo, non saranno gli ultimi a subire la violenza della frontiera.
Il confine dell’Adriatico continua mietere vittime. Ai porti di Venezia,
Ancona, Brindisi, poco illuminati dai riflettori della ribalta
internazionale, si muore silenziosamente, sotto le ruote di un camion o
senza ossigeno nelle stive e nei containers.
Eppure non è un segretola disumanità del trattamento riservato ai
migranti che attraversano il territorio ellenico.
Così, le rotte disegnate nelle carte navali che guidano il viaggio delle
imbarcazioni tra la Grecia e l’Italia, sembrano sempre meno percorsi
neutrali in cui si consumano tragedie e violazioni dei diritti.
Grecia ed Italia: complici nella morte di centinaia di migranti che
cercano di superare i respingimenti illegittimi, così come sempre più
drammaticamente accomunate dallo scenario di crisi e dalle politiche di
austherity che le attraversa.
Non sarà allora un caso che proprio i due paesi europei in cui è più
basso il livello di protezione per i migranti (o meglio più alta la
violenza esercitata sui loro corpi) siano anche i due paesi su cui in
maniera più brutale la crisi sta schiacciando la vita di migliaia di
persone.
C’è un nesso inscindibile tra la gestione della crisi e la violazione
dei diritti che sulla vita di quei ragazzi che provengono
dall’Afghanistan si rivela in tutta la sua crudeltà.
Quelle morti, la violazione delle norme sulla protezione internazionale,
i respingimenti illegittimi, la guerra ai migranti in fuga, non sono
altra cosa, ma anzi l’esempio più lampante della degenerazione delle
democrazie di questi due Paesi.
Ieri, con una conferenza stampa/presidio improvvisato davanti al Porto di Venezia le associazioni hanno denunciato quanto ancora silenziosamente al Porto accade.
N.G.