Venezia - Grandi Navi. Le Compagnie preparano la controffensiva di primavera

Un invito da Ecomagazine: a chi ha a cuore Venezia ne discuta oggi per non farsi trovare impreparato domani

11 / 2 / 2014

La grande partecipazione all’incontro a San Leonardo “Contorta. Unica alternativa?” organizzato da Ambiente Venezia lunedì 20 gennaio, ha dimostrato, casomai ce ne fosse bisogno, che i veneziani sono ancora sensibili ai temi che riguardano la salvaguardia della loro laguna. Oggi, grazie ad una mobilitazione che non ha avuto precedenti nella storia della nostra città e ad un coraggioso tuffo in mare di un gruppo di attivisti che continuano ancora a vedersi bersagliare da multe e sanzioni, le grandi navi sono state buttate fuori dal Bacino di San Marco ma la questione è tutt’altro che risolta.

Tre consiglieri comunali, Beppe Caccia, Camilla Seibezzi e Sebastiano Bonzio, hanno appena denunciato in un incontro con la stampa, vedi il mio l’articolo su Eco Magazine, che l’assessore Ugo Bergamo ha stipulato un accordo con l’autorità portuale ben diverso da quello che era stato proposto dal consiglio e che riapre alle Grandi navi la possibilità di rioccupare la Marittima. E’ vero che in Senato, grazie ad una mozione presentata da Felice Casson, il Governo si è impegnato ad evitare la temuta scorciatoia della legge Obiettivo che avrebbe bypassato tutte le valutazioni ambientali e ha promesso di discutere sulle possibili alternative senza forzature. Ma è anche vero che, come temevamo, le compagnie di navigazione non hanno nessuna intenzione di giocarsela lealmente e stanno già battendo i media e le televisioni come cassa di risonanza per denunciare le presunte ricadute occupazionali che si riverserebbero sul porto con le porte della laguna chiuse.

Inutile nascondercelo. Siamo di fronte al grande rischio che una vittoria possa trasformarsi in una sconfitta. Tra qualche mese tutto potrebbe tornare come prima. Anzi peggio. Tutto come prima ma con una “grande opera” in più a devastare la nostra povera laguna: lo scavo del canal Contorta. Canale che permetterebbe alle Grandi Navi, gettate fuori dalla porta di rientrare dalla finestra. Col risultato che a Venezia rimarrebbe lo stesso inquinamento di prima con, in più, un’altra cementificazione di cui non se ne sentiva di sicuro la mancanza.

Ora, è chiaro come il sole che, a Venezia, lo scavo del Contorta non lo vuole nessuno. Non lo vogliono gli ambientalisti, non lo vogliono i veneziani. Non lo vuole l’amministrazione comunale. Il sindaco Giorgio Orsoni è stato chiaro in proposito. Non lo vogliono i deputati che hanno aderito alla sopracitata mozione lanciata dal senatore Felice Casson. Non lo vogliono nemmeno i portuali pro Grandi Navi che hanno osservato, non senza qualche ragione, che se gli ambientalisti non avessero sollevato tanto casino Venezia non rischierebbe di ritrovarsi tra qualche mese col problema di prima e con un scavo in più.

Ma allora chi è che vuole scavare il Contorta? Lo vuole, è presto detto, il partito delle Grandi Opere. Quel grande e trasversale partito senza tessere che continua a macinare ambiente (e diritti) per ricavare reddito per pochi, in nome di una economia che ha causato la crisi e della crisi ha fatto una giustificazione per qualsiasi scempio.

Perché, proprio sull’onda delle crisi, ci scommettiamo?, marcerà assieme ai primi tepori della primavera e al conseguente riaprirsi della stagione delle crociere, la controffensiva della compagnie di Crociere. Denunceranno la perdita di clienti, invocheranno la necessità di ridurre stipendi e personale, pregheranno il Governo di sostenere l’occupazione con misure straordinarie, piangeranno sulle famiglie ridotte in miseria, ragioneranno sul senso di colpire, in piena crisi, uno dei pochi settori in crescita, prometteranno di sistemare filtri sui loro puzzolenti camini per ridurre gli inquinanti, giureranno sulla sicurezza dei loro sistemi di navigazione.

E noi allora cosa risponderemo? Noi che ci siamo buttati in acqua, che ci siamo presi le multe, che abbiamo manifestato in tutti i modi possibili, che abbiamo organizzato assemblee, che ci siamo documentati e che abbiamo scritto decine di articoli. Noi che sappiamo che la crisi, la povertà, le devastazioni ambientali, l’inquinamento, non sono imputabile alle nostre idee ma proprio di chi ragiona come ragionano loro, sui binari di una economia di rapina. Noi, cosa risponderemo allora?

In rete sta maturando un grande dibattito a proposito. Le risposte che sono state date sono tante. C’è chi propone Marghera come terminal (ma le Grandi Navi continuerebbero a passare per la laguna, attraverso il canale dei Petroli, ed inoltre c’è il problema delle petroliere in transito), chi preferisce un porto off shore al di là delle dighe del Mose (roba da farsi togliere il saluto dagli amici ambientalisti del Cavallino). C’è chi sostiene che le Grandi Navi debbono traslocare a Trieste (ma questo comporterebbe sul serio un problema occupazionale per tanti lavoratori del porto ed inoltre nessuno ha chiesto l’opinione dei triestini) oppure chi pensa che la costruzione delle Grandi Navi, figlie di un concetto “sviluppista” dell’economia, non dovrebbe neppure essere autorizzata (ma neanche la guerra in Siria o lo Stato di Israele, se è per questo). Poi ci sono quelli che affermano che non spetta a noi trovare le soluzioni. Tutto ci va bene, purché le Grandi navi se ne stiano al largo dalla laguna (ma quante battaglie abbiamo perso per essere saliti solo sulle barricate del No a tutti i costi?)

Ed intanto che l’arcipelago, variegato e qualche volta anche astioso, degli ambientalisti discute a che santo votarsi, quelli del partito delle Grandi Opere non se ne stanno con le mani in mano. Pianificano in stanza chiuse e in uffici paralleli a quelli istituzionali. Poi brigano per velocizzare le pratiche, per bypassare i (pochi) vincoli di tutela ambientale che abbiamo. Loro non si fanno tutte le nostre paturnie. Non ragionano come noi e se ne fregano delle conseguenze a lungo termine. Hanno uno scopo solo: scavare subito, cementare, “mettere in moto l’economia”, devastare, fare reddito veloce col collaudato sistema che le spese ce le mette lo Stato e i guadagni se li pigliano loro.

Che fare, quindi? La proposta che lancio è di usare Eco Magazine come una piattaforma di confronto per schiarirci le idee. Ho pensato ad una griglia di domande da porre ad esperti, politici, intellettuali, ambientalisti… a quanti abbiano qualcosa di intelligente da dire in merito al problema. Un modo come un altro per ragionarci su e contribuire ad un dibattito serio.
Cominceremo a breve a pubblicare le prime interviste. C’è spazio per tutti (è il bello del web giornalismo!) e anche per i commenti che abiliteremo in calce all’articolo.
Perché, se non ci schiariamo le idee tra di noi adesso e ci diamo una bella svegliata, a Primavera ci sveglieranno loro. E non sarà un risveglio piacevole.

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