Veleno mortale

22 / 3 / 2012

Una cacofonia politico-mediatica ha rumorosamente coperto lo sgomento e la prostrazione di milioni di persone, cittadini non solo francesi, appartenenti oppure no ad una comunità. Le immagini del "tiro a segno", una tragedia che non è solo "nazionale" come l'hanno definita i maggiori quotidiani francesi, sono simboliche perché toccano un luogo, la scuola, i cittadini e l'esercito che nei fondamenti di ogni stato ha il ruolo di proteggere la popolazione senza distinzione di origine o di religione.

Una scuola ebraica di Tolosa diventa per un tempo definito uguale a tante altre scuole che non sono connotate da una confessione e trasmette un allarme a chiunque non esporti impropriamente il conflitto nei territori occupati dall'esercito israeliano. Ma la minaccia che non incombe solo sugli "ebrei" sembra scontata solo fino a quando l'assassino predatore finisce nelle mani di cacciatori più esperti di lui. In questo trait-d'union temporale si sta giocando un tempo supplementare della campagna elettorale di Sarkozy, il candidato che rincorre il suo secondo mandato presidenziale. Il profilo dell'omicida fa la differenza, un sadico nazista sembra inquietare meno l'opinione pubblica del fondamentalista islamico, ex-arruolato e tutt'ora affiliato ad una cellula di Al-Qaida, carta di identità che distribuisce in modo più efficace la paura, il senso del pericolo, ed è questo il regalo insperato che coglie un governo democraticamente arretrato come quello francese. Un a città ed una regione paralizzate dal massimo codice dell'emergenza. Un paese intero ostaggio di un addestramento militare su scala nazionale e l'editoriale di Le Monde che esprime "incomprensione davanti all'assurdo" spinge cinicamente a chiedersi in che mondo delle meraviglie si viveva fino a lunedi scorso. L'aspetto sconcertante della tragedia è da leggersi nel corale e reciproco complimentarsi di ciascun candidato sulle reazioni dell'avversario politico e questo la dice lunga sull'intenzione di strumentalizzare a scopo elettorale non il dramma ma la caccia al terrorista. La "sospensione" dello scontro e delle piccole polemiche ha reinserito la contesa politica in una dimensione inedita e nel contempo internazionale. Tutti gli aspiranti costretti ad annullare appuntamenti mediatici in segno di ecumenico e repubblicano lutto. Ma l'unità nazionale ritrovata di fronte al sommarsi delle vittime, tre militari e quattro civili, bersagli dell'odio prodotto da una c ultura che lo fomenta e da decisioni politiche che lo alimentano in Francia e in Europa è durato lo spazio di un rito, la cerimonia funebre. La compassione tanto evocata potrà sciogliersi nel veleno quotidianamente dosato e negli spasmi che esso provoca? C'è chi ha dignitosamente evitato di mostrare una eccessiva solidarietà con la comunità ebraica, ancora una volta segnata e designata. C'è chi, invece chiede il silenzio preludio ad una "riflessione nazionale". Si pesano le parole di fronte al dramma, perché non davanti al dramma dei licenziati e degli sfrattati, o dei sans-papiers? Affermare che "la follia ha radici in una società malata", quella francese, oppure che "violenza e stigmatizzazione stanno aumentando" come dice l'insieme indistinto dei politici attraverso i principali media nazionali e internazionali viene tradotto nei quartieri popolari come impotenza degli stessi attori politici di fronte alle tensioni e alle passioni nella crisi e nell'incalzante insofferenza alla povertà. I quotidiani francesi hanno reagito ad una scarica violenta, quasi tutti parlano di "responsabilità collettiva" cercando di distribuire in modo equidistante un altro tipo di debito e di colpa. Ma il Sarkozy che in questi tristi giorni ha sotto tiro l'odiato professionista della vendetta, "in nome dei piccoli palestinesi" come dichiarano le agenzie stampa, è lo stesso Sarkozy che con premeditazione e l'intimidazione dei lacrimogeni allontana gli operai che hanno perso il lavoro. Nei quartieri popolari il voto lo negano o lo promettono Front National. Anche a Tolosa, non si tratta di antisemitismo latente e sistematico ma piuttosto di un'abitudine al disprezzo della persona, del suo lavoro e della sua vita, come ha detto il Grande Rabbino di Francia, Gilles Barnheim.