Val di Susa: l'inizio della guerra ai movimenti per i beni comuni

Storia di una campagna mediatica di disinformazione.

7 / 7 / 2011

L’operazione mediatica che in questi giorni la stampa bipartisan sta conducendo contro i fatti del 3 Luglio scorso in Val di Susa è grave per più ordini di motivi. Innanzitutto, perché semplicemente tende a mistificare la realtà, attraverso il riferimento retorico alla classica dicotomia “buoni-cattivi” che viene rispolverata ogni qual volta in Italia, da Genova in poi, si assiste a scontri di piazza tra manifestanti e forze dell’ordine in occasione di manifestazioni di massa. Ecco allora che la fantasia al potere del giornalista di turno si sbizzarrisce e, in mancanza (del tutto volontaria) di una rigorosa e attenta lettura della realtà e di categorie concettuali in grado di cogliere i fenomeni osservati, va a recuperare perfino spettri che sembravano appartenere alla storia passata, o più specificamente, alle prime pagine dei quotidiani di tanti anni fa. Ecco, quindi, il ritorno del black bloc, questa fantomatica figura “cattiva” (l’aggettivo ricorre ossessivamente negli editoriali del “Corriere della sera” e di “Repubblica”) che nulla avrebbe a che vedere con le tante mamme coi bambini, coi sindaci con le fasce tricolori e con le signore attempate che sfilavano pacificamente a poche centinaia di metri dalla zona degli scontri. Questi “professionisti della violenza” – questa è la tesi che ricorre – sono semplicemente agitatori e violenti per i quali le manifestazioni sono solo un pretesto (ieri uno dei tanti vertici G8, oggi la Tav, domani chissà – si legge su “Repubblica” del 4 Luglio) per atti di teppismo e di vandalismo e per provocare disordini. Addirittura, quasi in un delirio allucinante che sa di grottesco, “Il Giornale” si spinge oltre, assimilando i disordini delle manifestazioni No Tav al terrorismo delle Brigate Rosse, una montatura ben più ridicola dei provocatori manifesti di Lassini sull’equiparazione BR-pm.

Ma nell’epoca del web 2.0 e dei social network, le “bugie” dei media mainstream hanno le gambe corte: basta guardare le foto e i filmati che circolano in rete (tra tutti la conferenza stampa dei comitati No Tav) per accorgersi che la realtà è un’altra. A difendere la Valle dalla devastazione ambientale economicamente redditizia dei lavori per la realizzazione dell’Alta velocità c’era l’intera comunità valsusina e centinaia di manifestanti provenienti da tutta Italia, accolti con solidarietà e gratitudine dai primi. A difendersi dai manganelli e dai lacrimogeni delle forze dell’ordine c’erano padri e figli della Val di Susa. A soccorrere i “terribili”, “pericolosi” e “cattivi black bloc” c’erano medici e infermieri dei comitati No Tav e un’intera comunità accogliente e solidale con quei “ragazzi” venuti da fuori a combattere la loro lotta, o meglio una lotta “che riguarda tutti”, che parla di resistenza a quel tentativo di esproprio e di saccheggio del territorio “bene comune” perseguito a suon di manganelli e zone militarizzate.

Al di là di queste evidenze, sottaciute e mistificate dalla campagna di disinformazione in atto, ciò che appare emergere è la volontà del mondo politico e dei media di arrestare la primavera italiana, quel “ vento di cambiamento” che il PD e “Repubblica” hanno tentato di cavalcare e che, in nome della difesa dei beni comuni e di una rinnovata partecipazione politica dei cittadini, dei movimenti, e delle reti territoriali ha condotto alla straordinaria vittoria referendaria e al successo delle elezioni amministrative. La difesa dei beni comuni e, più in generale, il “comune” come categoria politica che tenta di superare la dicotomia pubblico/privato nella gestione dei servizi e nelle forme di produzione e redistribuzione del welfare oggi vive tanto nelle lotte sociali (il movimento degli studenti di quest’autunno e il conflitto operaio contro la Fiat di Marchionne ne sono degli esempi), quanto nelle sperimentazioni di inedite forme di partecipazione democratica che stanno cambiando il volto della democrazia, occupando gli spazi vuoti prodotti dalla crisi della rappresentanza e rinnovando le forme e gli stessi processi democratici. È indubbio, ad esempio, che senza l’attivismo e l’azione politica dei comitati per l’acqua bene comune non si sarebbe arrivati a promuovere il referendum e soprattutto a vincerlo; così come è evidente il ruolo dell’azione svolta dalle reti associative e di movimento nel sostenere i “nuovi volti” della politica milanese e napoletana e, soprattutto, nella capacità di incidere sul programma politico, fattore non poco rilevante per il successo delle amministrative di Milano e di Napoli (tanto da far parlare di “modello Pisapia e De Magistris”).

Se il “comune” è il nuovo orizzonte dell’agire politico, al tempo della crisi della democrazia rappresentativa e della crisi capitalistica, come non leggere nella lotta dei No-Tav una battaglia per la difesa dei beni comuni (ed è innegabile che il proprio territorio lo sia) e, al tempo stesso, contro l’assenza di una democrazia reale, capace non solo di ascoltare la domanda dei cittadini, ma di coinvolgere gli stessi, attraverso meccanismi di inclusione democratica, nelle scelte e nei processi decisionali riguardanti la loro vita?

Quando Fassino sostiene, dopo anni di tentativi goffi e mal riusciti di “costruzione del consenso” da parte del PD sulla Tav, che non sia giusto ignorare le richieste di chi si oppone al progetto ma “un conto è chiedere di essere coinvolti per fare, un altro è manifestare per impedire” l’impressione che si ha è quella di essere presi in giro. Se essere coinvolti significa infatti mostrare consenso (sembra questa l’accezione del verbo “partecipare” per Fassino) alle decisioni imposte dall’alto è chiaro che non solo non siamo di fronte ad alcuna forma di democrazia partecipativa ma, nella misura in cui le amministrazioni locali si sono espresse contrarie al progetto, si assiste ad un vero e proprio fallimento della democrazia rappresentativa reale.

Di fronte a ciò, c’è davvero da stupirsi se ad un certo punto, nella misura in cui non sia più possibile alcuna via democratica, l’unica alternativa praticabile rimane quella di tentare di impedire lo svolgimento dei lavori, cioè quella del sabotaggio? E se di fronte a questo tentativo la polizia reagisce, come prevedibile, con la repressione e la difesa del “cantiere” è davvero impensabile l’esplosione della rabbia?

A ben guardare, quindi, il popolo No-Tav (tra cui gli stessi protagonisti dei duri scontri avvenuti il 3 Luglio) è lo stesso popolo che ha lottato per la difesa dell’acqua “bene comune”, contro il nucleare, contro la riforma Gelmini di privatizzazione e di smantellamento dell’università pubblica, contro il modello schiavista del lavoro voluto da Marchionne. È lo stesso popolo che ha contribuito al successo elettorale alle amministrative e alla vittoria referendaria; lo stesso popolo “indignato” che in Spagna chiede democrazia reale, in Grecia contrasta le misure anti-sociali dell’austerity e a Londra è stato protagonista del più grande sciopero generale degli ultimi venti anni.

Chi sta cercando di cavalcare questo vento di cambiamento, il “partito di Repubblica” in primis, oggi si ritrova a compiere un’operazione subdola di contenimento di questo vento, quando non di vero e proprio tentativo di arresto. Finché, infatti, i movimenti e il risultato referendario possono prestare il fianco all’antiberlusconismo e spianare la strada a quell’opposizione dietro cui si celano gli interessi dell’asse De Benedetti-Montezemolo essi rappresentano un’occasione ghiotta per gli alfieri del post-Berlusconi. Quando, però, essi mostrano la forza di un reale potere costituente che vive nel “comune” delle relazioni sociali e politiche e che cerca di costruire dal basso nuove forme di istituzioni sociali (qualcuno li chiama “istituzioni del “comune”) attraverso il coinvolgimento effettivo di realtà autorganizzate di cittadini e movimenti nei processi decisionali e nella produzione e diffusione del welfare (cosa accadrebbe ad esempio se i comitati per l’acqua bene comune partecipassero politicamente ed economicamente alla gestione del servizio pubblico?), allora questo vento comincia a incutere paura. E di fronte alla paura, si reagisce sempre con la repressione e con la menzogna, con le classiche strategie del “dividi et impera”. Peccato per loro, la primavera ha appena cominciato a bussare le porte del nostro Paese e non abbiamo alcuna intenzione di arrestarla, né di vivere un giorno in più in questo inverno.