UniCommon a Londra - Fu*k the rich, love and anger in the Uk

Riflessioni su Londra 26 marzo 2011

27 / 3 / 2011

 Ieri mezzo milione di persone hanno trasfigurato il volto di Londra. La città era non solo invasa ma irriconoscibile. La data lanciata dalla TUC (Trade of Union Congress) è andata ben oltre i limiti e le aspettative di una sfilata sindacale. I confini sono saltati e le carrozzine e il Black Block non sono mai stati così vicini. Senza nessuna retorica di unità armoniche e superfici lisce, la giornata di ieri era invece una molteplicità stridente e intensa, confusionaria e paradossale, arrabbiata e ironica.

È inutile elencare le differenti figure che ieri erano in piazza, basti pensare a tutti coloro che non vivono appollaiati sulla rendita e sulla speculazione e che vengono spinti sempre più in basso da un capitale che per sopravvivere si vampirizza e da una crisi che ora più che mai assomiglia all’eccezione che si fa regola.

Qualcuno si chiedeva cosa avrebbero fatto gli studenti. In effetti le lotte studentesche dell’inverno sono state il motore e il risveglio, hanno spalancato gli occhi a questa primavera generalizzata, ma ieri lo spezzone studentesco è durato forse un’ora, poi si è disciolto completamente nella complessità sociale di quella giornata facendo da protagonista ubiquo e imprevedibile nella passeggiata verso Hyde Park, nell’occupazione di Trafalgar Square, nelle vetrine rotte del centro e nell’invasione di banche e negozi di lusso, negli scontri e nei sit-in.

Anche la categoria del nemico si e` allo stesso tempo sfaldata e ridefinita nella giornata di ieri. Se durante le giornate di novembre e dicembre gli obiettivi erano i palazzi della politica e il leit motiv quello della rappresentanza tradita dall’approvazione dei tagli, ieri sembra essere emersa una consapevolezza diversa. Westminster è rimasto ignorato e silenzioso come una cattedrale nel deserto. L’ipotesi di affidarsi alla delega per trasformare l’esistente è semplicemente sfumata e la rabbia sociale si è diretta al cuore della questione: la diseguaglianza. “Tax the rich” scrivevano adolescenti divertiti arrampicati sul cornicione di Fortnum&Mason, un magazzino di lusso (il preferito della regina!) occupato durante la manifestazione e trasformato in un simbolo di riappropriazione con tanto di stappo di bottiglie e cioccolatini distribuiti alla folla. Nel frattempo altri irrompevano in una banca, altri ancora facevano arretrare una polizia nel panico costantemente circondata dalla folla mentre provava a circondarla.

E poi musica, scontri, kettle e azioni si sono susseguiti fino a tarda sera come un’inarrestabile agitazione molecolare che ha tolto il fiato a Londra e chi ieri l’ha vissuta.

Cosa esce da quella giornata e da quella piazza? Che non vogliamo la guerra. Che vogliamo un redistribuzione della ricchezza e una diversa qualità di vita. Che non saremo mai più riconducibili alle rassicuranti categorie della democrazia rappresentativa e nemmeno alle etichette dell’identità politica. Che la misura salta e l’orizzonte si squarcia. E che tutte queste cose sono costituiscono un comune che si fa vita e che da Londra a Roma parla la stessa lingua.

Shendi Veli - UniCommon

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