Una giornata nera e il sistema Taranto

29 / 11 / 2012

E’ la giornata del dramma e della paura a Taranto. Quella in cui sembra che la natura si sia ribellata improvvisamente a cent’anni di scempi ambientali. Una violenta tromba d’aria, infatti, ha colpito proprio quel triangolo compreso tra il porto, l’Ilva ed il centro abitato di Statte, il posto più inquinato in Europa. Nel centro siderurgico, in particolare, forse, si sono vissuti i momenti più drammatici: quando un fulmine ha causato il crollo di un camino alto ottanta metri delle batterie 1 e 2 dello stabilimento, nelle cokeria, reparto sotto sequestro senza facoltà d’uso dal 26 luglio, e dove nonostante, invece, si continua a distillare il carbon-fossile per la produzione del coke da destinare poi agli altiforni.

C’è stato un fortissimo shock, tra gli operai, quando i pezzi di cemento caduti dalle ciminiere si sono riversati su due tralicci dell’alta tensione, paventando rischi di incendio gravi; mentre le sirene delle valvole di sicurezza degli impianti continuavano a strillare impazzite, e forti odori di gas si sprigionavano nell’aria rendendola irrespirabile. Una giornata nera, come il colore di quelle polveri che oggi più che mai hanno inondato le case del quartiere Tamburi. Nero come il colore di quella unica nuvola innaturale che ha avvolto oggi l’intera città. E nero come quel mare in tempesta che ha inghiottito una giovane vita operaia, Francesco, attualmente ancora disperso, caduto in mare per il crollo della cabina in cui si trovava, mentre stava pilotando una gru, al terzo sporgente del porto. In un'area che è sotto sequestro con facoltà d'uso da anni. Dove si lavora In condizioni lavorative disumane, privati delle più elementari regole di sicurezza. A spiegarlo è Cataldo Ranieri, operaio Ilva, uno dei fondatori del comitato 'Cittadini e lavoratori liberi e pensanti', il quale, intervenuto ad una conferenza stampa indetta dal presidente dei Verdi e consigliere comunale tarantino Angelo Bonelli dice chiaramente “che la gru sulla quale si trovava a lavorare l'operaio è provvista di un anemometro, sistema di sicurezza che, in caso di condizioni meteorologiche avverse come quelle di oggi, blocca automaticamente l'impianto”. E quindi conclude Aldo Ranieri “almeno che non sia stato disattivato il sistema di sicurezza non si comprende come mai con condizioni atmosferiche di quel tipo, l’operaio si trovasse nella cabina a manovrare la gru”. Puntuale, in serata, arriva la minaccia del gruppo Ilva, “annunciando che si rivarrà in tutte le sedi giudiziarie nei confronti del signor Ranieri e di chi riprenderà le sue affermazioni".

Si contano, intanto, i feriti di questa giornata scura e apocalittica, venti operai feriti, e altrettanti cittadini del comune di Statte. Il ministro Clini riferisce in aula “dichiarando che non accetta azioni intimidatorie e manovre attuate da gruppi stranieri che praticano la concorrenza sul nostro acciaio in maniera sleale”. Monti e Napolitano si incontrano al Quirinale per studiare il decreto che proporranno nell’incontro che si terrà domani a Palazzo Chigi con i rappresentanti di enti locali e parti sociali, gli stessi che sono indagati nell’inchiesta della procura di Taranto denominata “environment sold out”, che ha portato due giorni fa allo svelamento definitivo di un sistema, il sistema Ilva, il sistema Taranto. Fatto di complicità, connivenze e corruzione. Una tempesta che coinvolge e chiama in causa l’intera rappresentanza politico-sindacale tarantina.

Quel decreto sarebbe l’escamotage studiato dal governo per far continuare all’Ilva la produzione, in barba alla legge: prevedendo, ad esempio, che per un tempo determinato l’autorizzazione integrata ambientale possa essere considerata parte integrante del decreto legge esplicando in ogni caso effetto immediato. Autorizzando la prosecuzione delle attività nello stabilimento, condizionandola all’osservanza di tutte le prescrizioni impartite nel provvedimento stesso. Magari prevedendo anche, a chi spetterebbe la responsabilità nella conduzione degli impianti. Che in tal caso potrebbe essere, imputabile direttamente all’impresa che sarebbe titolare dell’autorizzazione all’esercizio degli impianti sotto il controllo dell’autorità amministrativa competente. Si arriverebbe così al paradosso che sarebbe l’Ilva, a controllare se stessa! O chissà se in quel decreto ad aziendam che i tecnici del ministero dell’ambiente stanno preparando non ci sia la previsione che la fabbrica possa diventare sito di interesse strategico nazionale consentendo così la produzione nonostante il sequestro. E stato lo stesso Clini ieri ad avanzare questa ipotesi facendo riferimento all’inceneritore di Acerra, che nel 2008 fu definito sito di interesse strategico nazionale e quindi presidiato dai militari giorno e notte, e ad ingresso limitato. Si aprirebbe in questo modo la strada all’esercito, alla repressione di ogni dissenso, alla militarizzazione del territorio e alla gestione commissariale del siderurgico.

La giornata nera e drammatica di oggi seguiva quelle dei giorni scorsi, in cui il sistema è svelato, si può dire ufficialmente. Perché quello che emerge leggendo le quattrocento pagine di intercettazioni telefoniche e che sono alla base dell’inchiesta environment sold out, non è il sistema Archinà, dal nome del personaggio chiave Girolamo Archinà, ex responsabile relazioni istituzionali Ilva che si intratteneva piacevolmente al telefono con giornalisti, sindacalisti e politici di ogni colore concordando una linea d’azione comune da tenere sulla questione ambientale. E’ il sistema Ilva. E’ il sistema che ha governato Taranto dal 1995 ad ora, anno in cui i Riva comprarono la fabbrica. E’ la logica del profitto, da salvare ad ogni costo. Perché quel “che minchia ce ne fotte per due tumori in più all’anno” pronunciata da uno dei Riva al telefono, non è altro che la traduzione tarantina di quei dialoghi tra i membri di quella cricca, imprenditori, e funzionari della protezione civile che la notte del terremoto a l’Aquila rideva pensando agli affari speculativi post- terremoto.

E chissà se anche qui a Taranto non si ascolteranno presto quelle paroline magiche che giustificano la logica della repressione di ogni dissenso, quelle che abbiamo già sentito pronunciate ai tempi della crisi dei rifiuti campani e del terremoto in Abruzzo: commissario ed emergenza. Già emergenza, una parola che a noi ricorda il dramma di oggi, perché nessuno lo dice, ma la Prefettura di Taranto lo ha confessato nei mesi scorsi che “sono ancora in fase di aggiornamento i “Piani di Emergenza Esterna” (PEE) relativi ad entrambi gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante della provincia: ovvero l’ILVA S.p.A. e la Raffineria ENI S.p.A”. Tradotto, che queste aziende non si sono ancora adeguate al Decreto Legislativo 17 agosto 1999, che obbliga le aziende particolarmente impattanti a dotarsi di tale piano, per evitare i così detti casi di “incidente rilevante”: ovvero un evento quale “un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verificano durante l’attività di uno stabilimento, che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose”.

Tra poche ore, se sarà annunciato all’incontro che si terrà a Palazzo Chigi alla presenza dei rappresentanti locali di cisl-uilm e fiom e degli enti locali, comune, provincia, e regione,  il varo di un decreto con cui l’Ilva verrà riconosciuta come sito di interesse nazionale strategico, non solo si starà configurando una deroga alle leggi costituzionali che la magistratura di Taranto sta cercando di far applicare. Ma sarebbe soprattutto l’ennesimo furto di diritti per i cittadini di Taranto, attuato dallo Stato, in concorso con quelle stesse rappresentanze politico-sindacali, che come risulta dalle intercettazioni, sono complici del disastro ambientale tarantino.

A questi ultimi, i cittadini di Taranto, derubati da sempre del diritto alla salute, e gli operai, il corpo vivo di quella fabbrica privati della tutela nei luoghi di lavoro, chiedono da mesi di fare un passo indietro. Quello che il popolo argentino chiese a quei burattini della finanza che lì avevano derubati dello stesso diritto all’esistenza. Que se vayan todos. E non perché banalmente sono tutti uguali. Ma perché la scoperta del sistema Ilva chiama in causa direttamente, ed immediatamente, chi negli ultimi venti anni ha governato a suon di proclami, scandali, malaffare, cialtronate, furberie di ogni tipo. Chi avrebbe dovuto controllare e non l’ha fatto. Quei giornalisti che avrebbero dovuto raccontare e non l’ hanno fatto. Quei sindacalisti che avrebbero dovuto garantire i diritti e la dignità dei lavoratori e non l’hanno fatto. Sono loro che hanno ferito a morte Taranto. E certo molto di più che una tromba d’aria.

*giornalista,attivista occupyarcheotower