Nel testo della bozza di decreto legge sulle
liberalizzazioni circolato in queste ore suscita particolare sconcerto la
disposizione di cui all'art. 20. Tale disposizione, marginalizzando l'ambito di
applicazione dell'azienda speciale ex art. 114 del testo unico sugli enti
locali, rischia di vanificare di fatto il vittorioso esito dei referendum dello
scorso giugno contro la privatizzazione dell'acqua, in attuazione del quale il
Comune di Napoli ha (primo in Italia) provveduto a trasformare la natura
giuridica del soggetto incaricato di erogare il servizio idrico integrato.
In altri termini, escludendo il ricorso all'azienda speciale dall'ambito dei
servizi di interesse economico generale, si tenta di relegare l'ultimo baluardo
del diritto pubblico esistente nel nostro ordinamento ad un ruolo residuale, se
non addirittura meramente ornamentale. Si tratta, evidentemente, di
un'operazione di barbarie giuridica, costituzionalmente illegittima.
In
primo luogo, nella fattispecie, si segnala un abuso dello strumento giuridico
del decreto legge, con il quale si procede ad un riforma ex abrupto di interi
settori dell'economia nazionale (servizi pubblici locali, commercio, trasporti,
professioni), in assenza di adeguata meditazione, nonché dei requisiti previsti
dall'articolo 77 Cost. Si realizza, in tal modo, per il tramite di un
illegittimo ricorso alla decretazione d'urgenza, un tradimento della volontà
popolare espressa a seguito dei referendum.
Il decreto in oggetto, così come
già l'art. 4 del decreto di Ferragosto, ripropone la medesima disciplina
contenuta nell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito
nella legge 6 agosto 2008, n. 133 e successivamente abrogato tramite lo
strumento offerto dall'art. 75 della Cost. La giurisprudenza costituzionale ha
avuto più volte modo di affermare l'illegittimità della riproposizione
sostanziale di normative abrogate con referendum. Lo stesso art. 18 della bozza
di decreto ("Promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali"),
riaffermando di fatto una disciplina abrogata (e limitandosi semplicemente ad
eliminare i riferimenti al servizio idrico), comporta un'indebita restrizione
dell'ambito di applicazione del referendum (che ha avuto ad oggetto l'intero
art. 23-bis e non certo il solo servizio idrico). Anche volendo ammettere la
legittimità delle parti del decreto richiamate, la disciplina dei servizi
pubblici locali che ne deriva appare decisamente sbilanciata in favore di modi
di gestione privatistici, in assoluta violazione del diritto comunitario.
Infine, del tutto ambigua è la riconducibilità del servizio idrico integrato
al novero dei servizi di interesse economico generale, attesa la peculiare
natura del bene acqua, strettamente collegato a diritti fondamentali (si pensi
al diritto alla salute). È evidente che ci troviamo di fronte ad un subdolo
disegno eversivo di disarmo del diritto pubblico e delle garanzie ad esso
collegate, concepito ad arte per neutralizzare l'imponente movimento politico e
culturale sorto in questi mesi a tutela dei beni comuni.
* Assessore ai beni
comuni e alla democrazia partecipativa Comune di Napoli
Una barbarie giuridica incostituzionale
14 / 1 / 2012