Un “sovranismo” senza sovranità

Il nuovo governo di destra italiano si inserisce in una crisi senza precedenti della governance globale

1 / 10 / 2022

L’ascesa al potere di Giorgia Meloni e di F.D.I. nelle ultime elezioni politiche, ovvero della peggior destra, induce alcune riflessioni, sia sul piano nazionale che globale.

Intanto, per chiarire, non sono andati al potere i “fascisti”, bensì una destra moderna, certamente reazionaria, ma perfettamente in linea con i diktat neoliberisti. Certamente con alcune sfumature che vanno sottolineate e che ci costringono a ragionare su un mutamento di scena nel teatrino della politica istituzionale.

Intanto, nonostante i tentativi di Georgia Meloni di rifare il look al proprio partito proprio sulla questione del fascismo, è innegabile che al proprio interno vi siano componenti neofasciste, stimolate dalla vittoria elettorale, pronte a riprendersi la scena pubblica. Come movimenti, dobbiamo organizzarci per tempo, attraverso gli strumenti dell’antifascismo militante e culturale, quest’ultimo fondamentale soprattutto all’interno dei luoghi della formazione, visti i probabili tentativi di riabilitare il ventennio mussoliniano proprio a partire dai programmi scolastici.

Dall’altro punto di vista, bisogna prestare attenzione anche a chi cercherà di riabilitarsi politicamente proprio in nome di un antifascismo di facciata. Partiti, associazioni, sindacati e tutti coloro che, come quando salì al potere Berlusconi, proveranno a riscattare la sconfitta del Pd riscoprendo il gusto della piazza. Non che queste mobilitazioni non siano importanti, ma deve emergere un discorso nettamente anticapitalista, contro quel riformismo socialdemocratico che cova ancora l’illusione di cambiare dall’interno le istituzioni del capitale, ma che spesso si è schierato proprio contro i movimenti sociali. Il fallimento del riformismo era già da tempo sotto gli occhi di tutti; oggi emerge come fatto storico compiuto.

Sono anni ormai che si parla di crisi profonda ed irreversibile della democrazia rappresentativa, di “apocalisse” della rappresentazione parlamentare così come si è costruita nella modernità fin dalle sue origini. Apocalisse nel senso etimologico della parola: togliere il velo che nasconde la sua vera essenza, la maschera dietro cui si nasconde la falsa eguaglianza borghese da una parte e le profonde diseguaglianze sociali dall’altra, la trascendenza del potere rispetto ai bisogni materiali delle moltitudini, la delega di chi è chiamato a votare senza poi contare più nulla sul piano delle decisioni politiche. 

L’alto tasso di astensionismo e disaffezione a questo tipo di autonomia della “politica politicante” lo sta a dimostrare in maniera inequivocabile. Certo, la vasta area dell’astensionismo è un punto rilevante: di per sé poco incisiva, “impolitica”, ma comunque un terreno di lavoro politico, di organizzazione, di costruzione di rapporti di forza di cui tener conto.

L’altro elemento che va rilevato è il crollo del PD che porta a compimento la disastrosa parabola dell’autonomia del politico, il distacco totale dai bisogni materiali delle moltitudini, da ogni valore di classe dalla parte degli sfruttati e degli oppressi, l’incapacità di cogliere le trasformazioni del modo di produzione e della composizione di classe. Il cosiddetto campo progressista o riformista è totalmente subordinato all’ordine neoliberale ed è solo una pallida rappresentazione, del tutto vuota, della vecchia socialdemocrazia, la quale, pur da sempre nemica dei rivoluzionari e dei movimenti autonomi, conservava comunque dei legami con la classe.

L’ascesa di Georgia Meloni, che di fatto svuota il bacino elettorale della Lega, è il frutto dell’opposizione al governo Draghi e che è stato ripagato in termini di consenso, mentre a “sinistra” si proponeva in maniera fideistica l’agenda Draghi, facendo in modo che l’unica forza in grado di “dire qualcosa di sinistra” fosse il MoVimento 5 Stelle, in particolare sul reddito di cittadinanza.

Cosa ha fatto il Pd in tutti questi anni di governi tecnici, se non avallare le decisioni delle banche centrali e dei potentati economici, i tagli della spesa pubblica, la precarizzazione del lavoro, lo smantellamento del Welfare, la riduzione dei salari e l’impoverimento generalizzato?

Il governo della Meloni e del centrodestra non muterà questo quadro strutturale: sono gli orologi delle borse che battono i tempi delle agende politiche degli stati; sono le logiche del capitale finanziario e del mercato, del meccanismo del debito a rendere la funzione di ciò che rimane degli stati nazionali quella di meri esecutori.

Non sorprende neppure la volontà espressa dalla destra di modificare la costituzione in senso presidenzialista: il susseguirsi dei “governi tecnici” e di unità nazionale in tutti questi anni indicava già questa strada, con l’appoggio di tutte le forze politiche. Si tratta del compimento di un processo, di ulteriore centralizzazione del potere esecutivo, con la differenza che questa volta è legittimato dal voto popolare.

Una ultima considerazione: le elezioni italiane si inseriscono in un quadro globale di crisi sistemica del capitalismo, della incapacità, se non impossibilità, da parte della governance globale di dare un ordine alla complessità degli eventi che attraversano il mondo, di dare una forma al caos e alla ingovernabilità. I continui smottamenti, variazioni imprevedibili, confusioni si riverberano dal piano globale a quello delle nazioni. 

Pensiamo alla spaccatura del mondo in due blocchi contrapposti determinata dalla guerra in Ucraina, con relative sfere di influenza regionali, ma anche alle lotte delle popolazioni in ogni parte del mondo contro l’estrattivismo e l’impoverimento generalizzato, oppure agli esodi di massa da terre devastate dalla crisi climatica e dalle guerre. Quale governance è mai possibile in questa instabilità strutturale e permanente, dove il controllo biopolitico si trasforma sempre più in “necropolitica”, distruzione, violenza e morte?

Non c’è alternativa: solo una rivoluzione ci può salvare, una trasformazione radicale dell’esistente, delle forme di vita, di produzione e riproduzione. Rivoluzione non tanto come evento posto nel futuro, in un altrove indeterminato, ma come processo di costruzione delle nuove istituzioni del comune, qui ed ora.