Un processo costituente per l'alternativa politica

30 / 8 / 2011

La portata epocale di quello che sta accadendo non ha più bisogno di essere ribadita. La crisi capitalistica complessiva, che ha nei crolli finanziari e nel default dei bilanci degli stati la sua caratteristica più evidente, si è talmente consolidata da divenire sistema. Il sistema della crisi è economico, sociale, politico. La ricchezza prodotta collettivamente è sottratta con violenza alla maggioranza dei cittadini, e si concentra in poche mani. Essa non viene reinvestita in alcun processo produttivo, ma alimenta la rendita e la speculazione. E’ un modello vorace, ingiusto, che crea infiniti problemi di vivibilità a milioni di persone in Europa, a miliardi nel mondo. La manovra agostana del governo, conferma e rafforza, anche per l’Italia, lo scenario globale ed europeo: la cancellazione attraverso i tagli e le privatizzazioni dell’idea stessa di stato sociale, sacrificato dal dirottamento di soldi pubblici al pagamento di un debito che nessuno sa più in virtù di cosa sia stato contratto, e soprattutto per quale maledetta ragione debbe essere pagato e a chi dai singoli stati. Ma vi è un’altra fondamentale operazione contenuta nella manovra bis. E’ quella che cancella il contratto nazionale e i diritti del lavoro. In questo modo tutte le lavoratrici e i lavoratori sono messi sotto ricatto. Dunque il sistema della precarietà, che tutti dicevano di voler combattere, ha fatto scuola. Dopo un anno di lotte dalle fabbriche all’Università, la risposta è stata questa. Il fatto che il Governo si sia limitato a mettere in pratica e peggiorare ulteriormente ciò che per iscritto gli è stato impartito dalla Banca Centrale Europea, conferma che il processo in atto è politico, nella misura in cui determina la fine di qualsiasi parvenza di sovranità, popolare, nazionale, continentale. Ciò significa dunque che la stessa democrazia liberale cade sotto il tiro pesante deglle centrali della speculazione privata. Che cosa dire se non che siamo difronte ad uno tsunami, a qualche cosa che era fino a poco tempoi fa inimmaginabile? Se la portata dell’attacco alla democrazia, alle tutele e ai diritti, allo società del welfare è storica, storica potrebbe però essere anche l’occasione. Che nessuno sia autosufficente lo andiamo dicendo da un anno con il percorso di uniticontrolacrisi e pare che in tanti l’abbiano capito. Le vecchie certezze identitarie le possiamo usare come ninnoli per far addormentare i bambini, agitarle non può servire ad altro. Ma oggi contro questa manovra bisogna far partire il processo costituente dell’alternativa. Una mobilitazione permanente che dal 5 di settembre sotto piazza Navona con la Fiom, si allarghi ad uno sciopero generale, quello del 6, che alimenti e diffonda l’idea che insieme possiamo farcela. E continui con la maniferstazione contro la Lega il 17 settembre a Venezia, e poi le università, le scuole, con il Cile a far da lezione anche qui da noi. E ancora le mille lotte per i beni comuni, per difendere ciò che viene devastato dalle grandi opere inutili. Ma tutte queste lotte, questa resistenza, questa sacrosanta rabbia, può non diventare mai alternativa politica? Possiamo continuare ognuno a far finta di fare la sua parte, ordinatamente, pensando più al posizionamento politico, sia di autorappresentanza che di rappresentanza, mentre i signori della finanza formano e disfano governi, e stracciano le nostre vite? Se il momento è storico, nel male e nel bene, dobbiamo essere capaci di qualcosa di nuovo e di grande. La mobilitazione non può che essere per far cadere il governo, prima possibile. Una cosa diversa, enormemente diversa, la fine naturale del ciclo politico berlusconiano, e la caduta di un governo a causa della mobilitazione sociale nel paese. Dobbiamo pretendere elezioni subito, contro qualsiasi ipotesi di governissimi, governi tecnici o di unità nazionale: l’alternanza, cioè la continuità delle politiche neoliberiste del sistema di crisi, passa di lì. Elezioni subito anticipate da primarie. Le primarie vere, costruite attraverso spazi pubblici di formazione del programma, nei quali chi si è mobilitato e continua a farlo possa, nella reciproca autonomia con i diversi soggetti politici, contribuire attivamente. per sottoporre a tutti i cittadini su quali programmi chi si impegna a portarli a termine, chiede il voto per cambiare. Mobilitazione e programma debbono tornare ad essere due aspetti comunicanti tra loro, in relazione: dobbiamo sapere noi perché scendiamo nelle strade e dobbiamo permettere che anche altre milioni di persone, come con i referendum, lo capiscano, possano condividere. E proprio su questo cambiano i ruoli, si mescolano le competenze: sull’economia, che vogliamo improntata sulla possibilità di generare un sistema giusto e di redistribuzione equa della ricchezza prodotta, su cosa produrre e come, nel senso di una società ecologica e rinnovabile, sul reddito di cittadinanza e la protezione collettiva dei beni comuni, e su molto altro, i primi a scrivere possibili vie d’uscita contro la crisi, sono proprio coloro che si stanno impegnando a resistere al saccheggio. La mobilitazione permanente per la caduta di Berlusconi e contro le manovre del suo governo, commissariato o meno che sia, potrebbe sfociare in una grande, unitaria e trasversale manifestazione dell’alternativa. Il 15 ottobre è già stata proposta dalle realtà spagnole del movimento degli indignados, una mobilitazione europea. E’ utile ed importante ri-fare l’europa, non vi è dubbio. Ma la maniera migliore di contribuire è quella di ri-fare innanzitutto l’italia. Vi sono condizioni storiche, politiche e di fase nel nostro paese che consentono di poter immaginare che da qui, come si è visto con i referendum, una anomalia sociale ed istituzionale potrebbe concretizzarsi, e sarebbe utilissima anche a tutti gli altri nel continente. Per capirci se il 15 ottobre in italia diventa una cosa di popolo, di mezzo milione di persone a Roma che mostrino l’alternativa italiana, la indichino, ci convergano da mille storie e posizioni diverse, allora avremo dato una mano alla nuova europa. Per fare questo bisogna imprimere un moto virtuoso, largo, coinvolgente, non settario alla costruzione unitaria di questa scadenza. E bisogna saper essere semplici e concreti, diversi da prima, perché questo treno non passa due volte.


Gianni Rinaldini, Luca Casarini*


*uniticontrolacrisi

Pubblicato su Il Manifesto del 30 agosto