Un processo collettivo per cambiare

23 / 1 / 2011

Il movimento studentesco è vivo, radicale e determinato. Riprendersi il futuro, vivendo qui ed ora, provando con efficacia a cambiare il presente, questa è la nostra battaglia. Nella pratica concreta ciò si è tradotto in una inedita capacità di porre all'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche il tema dell'università pubblica e del futuro di una generazione. Siamo partiti dall'opposizione al ddl Gelmini ma siamo riusciti ad andare molto oltre, a far emergere la rabbia, il dissenso e il protagonismo di una generazione che ha finalmente preso parola, irrompendo sulla scena politica per stravolgerla.
Abbiamo messo in campo l'opposizione al ddl con intelligenza strategica e politica, con la capacità di non impiccarci all'iter parlamentare e al suo esito scontato, aprendo egualmente uno spazio di vittoria, inserendoci nei tempi della crisi di governo e del paese.

Abbiamo scelto il nostro interlocutore, non più una politica sorda, autoreferenziale e delegittimata ma ci siamo rivolti ai lavoratori e alle lavoratrici che pagano il prezzo della crisi, ai migranti, ai comitati in lotta per difendere il proprio territorio dai veleni di un'aggressione ambientale senza precedenti. Ci siamo spinti ben oltre i temi e i tempi della mobilitazione, abbiamo aperto possibilità e scenari nuovi che ci mettono nelle condizioni di osare, di essere protagonisti del nostro tempo. La prima vittoria è stata quella di essere stati in grado di invertire, seppur in modo parziale, le tendenze culturali e politiche.
Spetta a tutti noi, affrontare al meglio la fase che si apre ora. Occorre affrontarla senza torsioni identitarie, con una visione strategica complessiva che sia in grado di diventare un orizzonte condiviso, ponendo la costruzione dell'alternativa come faro di una pratica politica che a questo punto deve divenire quotidiana e duratura. Sappiamo quanto sia difficile, a maggior ragione a meno di un mese dall'esito parlamentare, ma questo è un ragionamento che va totalmente ribaltato. La partita è tutt'altro che perduta. La legge sull'università non è neanche al giro di boa, arriveranno a breve i decreti attuativi e la definizione degli statuti nei singoli atenei ci autorizza a pensare che possiamo ancora fermarla. Ma fermare la Gelmini non significa salvare l'università pubblica dal baratro. Serve un processo collettivo, di cui il nostro movimento è miccia indiscutibile, capace di indagarne la funzione sociale tramite una proposta credibile su cui intraprendere una battaglia tutta politica, senza fare sconti a nessuno.

Non possiamo, perciò, disperdere la ricchezza che abbiamo prodotto, ma renderla sistemica, evitando ricadute burocratiche o di mera rappresentazione del conflitto. Sarà, ad esempio, fondamentale mantenere la duplice connessione tra le battaglie universitarie vertenziali e per la ripubblicizzazione e la grande questione generazionale e sociale della precarietà. Il seminario di Marghera sui saperi rappresenta una tappa di un percorso di elaborazione e analisi che vivrà nei luoghi della formazione. Ma sul tavolo abbiamo già un appuntamento tutt'altro che secondario, il 28 gennaio saremo al fianco della Fiom, per rinsaldare quel legame che va oltre la scontata solidarietà, ma vive della necessità di continuare a praticare un terreno comune di mobilitazione che punti a invertire i rapporti di forza nel paese, abolire la precarietà, trovare un senso nuovo al rapporto tra la formazione e il lavoro, che ci vede tutti uniti contro la crisi per costruire l'alternativa reale di cui tutti noi abbiamo bisogno.
*Portavoce nazionale Link