Un enorme cimitero

di Luca Casarini

19 / 3 / 2012

Le immagini della macelleria umana che deriva dalle guerre globali, “democratiche” o meno che siano, si arricchiscono ultimamente di nuovi protagonisti: i bambini. Ovviamente quelle immagini, non importa se carpite da coraggiosi videomaker che si oppongono ai dittatori, o montate da scaltri analisti della comunicazione di qualche centrale d’intelligence occidentale, cambiano immediatamente di significato appena entrano nel campo controllato dell’infosfera. Da orribili fotografie della realtà, capaci di fissare quanto sia inaccettabile il cinismo e la ferocia del potere, si trasformano in strumento per la negoziazione diplomatica, politica economica e militare di quell’arcipelago caotico che è la governance policentrica e variabile che agisce sul mondo della crisi. Una governance incerta, a geometrie che mutano rapidamente, nella quale solo coloro capaci di contrabbandare l’ipocrisia per saggezza, o realpolitik, o peggio, per amore della democrazia, possono rimanere infilati. I bambini, e le loro immagini strazianti, hanno un mercato: quelli dilaniati a Gaza ad esempio, sono l’equivalente dei titoli spazzatura nella finanza, non valgono nulla, non le vuole nessuno. In Quatar o In Arabia Saudita, paesi dove il livello dei diritti umani è tale e quale a quello siriano, le immagini dei bimbi uccisi nei massacri di Ohms valgono molto. E’ da lì, dalle capitali wahabite, che partono le armi per l’esercito siriano di liberazione ( Esl) che sta combattendo la guerra civile contro il regime degli Assad. Ma se i mitragliatori e i fucili di precisione sono importanti in una guerra, specialmente se dall’altra parte il regime può scaricare bombe sulle città ribelli dagli aerei forniti dalla Russia in grande quantità, sono ancora le immagini a giocare un ruolo ben più centrale.  L’emiro Al- Thani, il ppiù autocratico fra i petromonarchi del Golfo, oltre ad essere il sovrano assoluto del Quatar, è anche il vero “editore” di AlJazeera che ha sede nel Quatar. Il precedente direttore della Tv che più “sponsorizza”, per impadronirsene, le rivolte arabe, è stato sostituito dal cugino dell’emiro, dopo che Wikileaks lo aveva smascherato rivelando la sua vera attività: agente di punta della Cia. Le petromonarchie sono regimi assolutisti islamici che coniugano il purismo religioso pubblico

( in privato non gliene può fregare di meno, agli emiri, dei precetti del Corano ), al vincolo strategico con gli Stati uniti, fondato sullo scambio tra energia e asset militari, fondamentali questi ultimi a contrastare il nemico ( e produttore concorrente di petrolio ) Iran. Ora è evidente che dei bambini, quelli uccisi a Gaza come quelli massacrati in siria, non importa né alla politica europea, né a quella americana. Non importa ai dittatori arabi, ai regimi contrapposti, alle missioni internazionali. Non importa, come non interessano le sorti di quelli fatti annegare dall’Italia in mezzo al Mediterraneo, o rispediti ad essere abusati e torturati nei lager dell’ex amico Gheddafi. Sono immagini, strumenti di pressione, carte da giocarsi per cercare legittimità rispetto ad opinioni pubbliche ormai lobotomizzate da anni.  Ad esempio, la storia dei bimbi soldato, all’indomani della diffusione del video, realizzato da “Invisible Childrenche ha come protagonista Joseph Kony, capo dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA) che agisce tra Uganda, Congo e Sud Sudan, “tocca le nostre coscienze”. Come se

 Kony non fosse uno dei nostri prodotti, uno dei mille mostri che la nostra ipocrisia ha sguinzagliato in giro per questo mondo disgraziato. No, preferiamo accarezzare l’idea che Kony, come gli altri mille simili a lui, sia solo un pazzo, un’anomalia del sistema. Come classifichiamo da “incidenti” e danni collaterali, i morti di Gaza, o quelli dei barconi rovesciati davanti alle nostre coste. L’ipocrisia non fa sentire la puzza di cadavere, di morte, che dovrebbe soffocarci, renderci impossibile la vita normale. Vediamo solo immagini asettiche, senza odori e senza calore. Vediamo bambini ammonticchiati in mezzo ad uno sperduto villaggio nella provincia di Kandahar, in Afghanistan, dopo essere stati trucidati dal sergente dell’esercito americano Robert Bales, e da altri, anche se la versione ufficiale accredita solo il gesto isolato. Si dice del trentottenne massacratore di donne e bambini, che è “un soldato modello, decorato per le ferite subite in dieci anni di guerre fatte in Iraq e Afghanistan”, che è “un padre premuroso di due figli”, che la moglie sul suo blog lo aveva visto “stressato” per una mancata promozione che gli avrebbe consentito di chiedere un trasferimento “in Italia oppure in Germania”. Bales non è Kony e nemeno Assad. Nel goffo tentativo di ridimensionare l’atrocità, mano a mano che passano i giorni, gli analisti del Pentagono costruiscono particolari che servono a cambiare la realtà: è saltato fuori ad esempio che il “povero” Bales aveva perso un “pezzo di piede” in seguito all’esplosione di una granata in Iraq, la stessa che gli aveva causato anche “un lieve danno cerebrale”. Con una menomazione permanente e danni al cervello, è noto che si rimane in servizio per di più in zone di guerra. Ma anche Bales è un’anomalia, un errore del sistema. I testimoni della carneficina dicono chiaramente che i militari, che hanno stuprato due donne prima di ammazzarle, erano un gruppo. Ma questo non passerà, perché quando le anomalie sono troppe e tutte insieme, rischia di essere messo sotto accusa il sistema. In questo periodo non facciamo altro che parlare di finanza, di soldi, di debito. Bisognerebbe ogni tanto ricordarsi che dentro quei numeri ci sono cadaveri, a centinaia di migliaia ogni anno, di innocenti. Ci sono i bambini siriani come quelli palestinesi. Negli schermi digitali delle Borse di tutto il mondo, se guardiamo bene, i numeri compongono immagini sempre più nitide: morti, massacri, guerre, ferocia. Bisognerebbe saperle riconoscere, e ricordarsene, quando parliamo di spread e di economia. La base su cui poggia il mercato mondiale, è un’enorme cimitero.