Ugo Russo, uaglione

4 / 3 / 2020

Davvero tanto si è scritto in questi giorni sulla vicenda dell’omicidio di Ugo Russo, quindicenne di Napoli che, nel tentativo di una rapina malriuscita, rimaneva ucciso da due colpi di pistola ad opera di un carabiniere ventitreenne, in servizio da pochissimi mesi.

Il ragazzo era in compagnia di un sodale di due anni più grande, aveva il volto coperto da un casco integrale e, dopo esser sceso dal motorino, si avvicinava al soggetto individuato impugnando una pistola, poi rivelatasi una riproduzione della Beretta.

Dall’altro lato vi era un carabiniere, anch’essi giovanissimo e napoletano, il quale si trovava nella sua Mercedes in compagnia della fidanzata, portando con sé – anche se in licenza – la pistola d’ordinanza.

Le indagini balistiche ed autoptiche fissate nei prossimi giorni dimostreranno quanto davvero accaduto la notte di sabato scorso: Ugo restava ucciso in uno sproporzionato intento di “autodifesa” (personale e/o patrimoniale) del carabiniere o, invece, per via della volontà giustiziera del militare mentre il ragazzo si dava alla fuga?

La seconda ipotesi, secondo quanto si apprende, sembrerebbe venir confermata dal secondo proiettile che ha raggiunto Ugo Russo alla nuca, dopo che il primo sparo già lo aveva stanato in pieno petto.

Per questa ragione, il Pubblico Ministero se dapprima aveva iscritto il reato di eccesso colposo di legittima difesa ha derubricato nel ben più afflittivo reato di omicidio volontario.

È sul serio inopportuno, finanche pietoso, che al centro della diatriba vi sia stato un orologio. Tuttavia non parliamo di un semplice monile di metallo, ma di un Rolex, status symbol di agiatezza, merce di scambio che non perde mai valore, facilissimo da scambiare in soldi cash.

A farne le spese, però, è stata la vita di un giovane ragazzo, morto dopo aver lasciato fiumi di sangue sull’asfalto del Quartiere Santa Lucia di Napoli.

La retorica della Teoria delle Finestre Rotte, sventolata a più mani dai fautori della politica della Tolleranza Zero, si è azionata in men che non si dica. Univoco è il commento che si eleva in una disturbante polifonia: “ecco cosa succede quando manca lo Stato”,  “serve più Stato”.

Se da un lato tale richiesta può, in apparenza, sembrare opportuna, bisognerà subito specificare, dall’altro, che nasconde latenze ben più recondite. Quando ci si riferisce alla locuzione “Stato-mancante” si intende senza mezzi termini la mancanza di controlli polizieschi (fisici e differiti), di forze dell’ordine sul territorio, di repressione immediata ed efficace. Un intervento, per così dire, “muscolare”.

Sfugge ai più che il nocciolo della questione attiene invece nei confronti di quell'idea di Status, più che di Stato, che, volenti o nolenti, si sovrappone alle più formali istituzioni. 

Questo Status, che potremmo denominare “O’ sistem”, è una base su cui, di decennio in decennio, si sono depositati detriti ed attriti, formulari e azioni, mansioni e mestieri, sulla quale molti, sull’orlo del precipizio e in mancanza di un’alternativa, si aggrappano per sopravvivere.

È un sistema che disgusta ma al contempo disseta, anche se le mani, dopo un po’, puzzano terribilmente.

Il “sistema” è una mentalità ormai divenuta humus, dalla quale germogliano di volta in volta esperienze spiacevoli e spiazzanti.

Quel che manca è una contrapposizione seria ed eterogenea che stravolga completamente lo Status, che non è una blanda quanto buonista richiesta di attenzioni particolareggiate per Napoli, ma una vera e propria risposta che riparta da parole chiare e concise: lavoro, reddito, welfare, istruzione, cultura.

L’alternativa a una vita “malavitosa” non la si crea col braccio militarizzato dello Stato, ma con un’iniezione quotidiana e diffusa di benessere, capace di concedere la possibilità di vivere una vita diversa da standards fin troppo diffusi sin da divenire modelli da seguire.

Il fine della rapina, in base a quanto riferito dal ragazzo concorrente, sarebbe stato quello di recuperare soldi per andare in discoteca. Non è strano che dei ragazzi tanto giovani abbiano voglia di divertirsi, di frequentare luoghi che, per via di questioni economiche, possono rivelarsi oscuri e desiderabili.

Parliamo di ragazzi che, chi a quasi 16, chi a 17, passano gran parte del proprio tempo in strada, fuori da circuiti scolastici, associazionistici, sportivi, ben lontani dallo sguardo attento e premuroso di genitori fin troppo occupati da lavoro, debiti e problemi. Ragazzi che agiscono per emulazione o per via di desideri in apparenza irraggiungibili per chi viene da posti miserabili, che hanno deciso di mettere in scena una prosopopea famosa in fiction e nella vita reale: la rapina a mano armata “a quelli ricchi col rolex”.

Una “cazzata”, perché quella era nella loro testa, che non meritava una pena di morte. A meno che non si applichi la giustizia dettata dal Codice di Hammurabi.

Una morte che fa riflettere e sulla quale dovremmo evitare di parlare a sproposito.

Facciamolo per Ugo, per il suo compagno, per tutti i uagliuni di Napoli che meritano di andare oltre lo status in cui son conficcati.