Tribunale di Francoforte: l’Italia è un Paese pericoloso per i rifugiati

L’identificazione dello straniero non è sufficiente per la riammissione ai sensi del regolamento Dublino

26 / 8 / 2013

L’Italia non è un Paese per rifugiati.
E’ quanto ha stabilito il Tribunale Amministrativo di Frankfurt Am Main il 2 aprile 2013 a proposito della vicenda di un giovane afgano di 24 anni che, dopo quattro mesi in Grecia, il 14 dicembre 2010 è giunto in nave nel nostro paese.
Nell’ospedale di Lecce, dove è stato ricoverato qualche ora, ha ricevuto la visita di un paio di poliziotti, che parlando un inglese approssimato, senza l’ausilio di alcun mediatore, gli hanno preso le impronte digitali. Pare che nessuno dei poliziotti e tanto meno lui, abbia pronunciato la parola “asilo”.
Il 25 gennaio 2011, dopo un viaggio con tappe Roma, Parigi e arrivo finale a Francoforte, con relativo fermo da parte della polizia tedesca, l’Italia ha concesso il permesso di riammissione nel proprio territorio. Le autorità tedesche hanno autorizzato il rinvio verso l’Italia in applicazione del regolamento Dublino, ma il giovane afgano ha presentato ricorso contro la rinvio in Italia aggiungendo al suo dossier un certificato medico psichiatrico che attesta la sofferenza di uno stato post traumatico.
La rilevazione delle impronte, si legge nel dossier, non sono una prova della presentazione di domanda d’asilo e tanto meno il documento sgrammaticato della “Questura in Lecce (Otranto)”.
Infatti la domanda d’asilo è tale quando l’autorità riceve una richiesta scritta dall’interessato e tale richiesta è protocollata. Niente di tutto ciò è stato fatto.
Le autorità tedesche respingono dunque il rinvio in Italia del giovane ritenendo inadeguato il Bel Paese alla presa in carico del ragazzo.
Le stesse autorità italiane riconoscono di non avere una visione d’insieme sulle capacità effettive del sistema di accoglienza.
Il sistema di accoglienza italiano è tortuoso e segmentato: prevede la presa in carico dei richiedenti in centri di accoglienza chiamati CARA per una permanenza di 20 giorni durante i quali avviene l’identificazione. In tutto il paese ci sono 9 CARA gestiti da privati scelti dalle prefetture secondo una procedura di scelta con domanda scritta. Esistono inoltre dei centri, non per richiedenti asilo, ma che li accolgono ugualmente, chiamati CDA.
Successivamente, passati i 35 giorni, il richiedente è preso in carico dallo SPRAR, il sistema di protezione per i domandanti asilo e i rifugiati. Tali centri sono gestiti dai comuni, dalle province, e da organizzazioni private che ricevono una sovvenzione su richiesta scritta.
Tutte queste strutture sarebbero in fase di miglioramento se ci fossero i fondi. Attualmente sono paragonabili a gironi danteschi in cui sovraffollamento, promiscuità sono i fenomeni meno gravi.

Nel frattempo il richiedente asilo si perde nei meandri di una burocrazia tortuosa capace di creare incertezze, tante ansie e momenti di “limbo” istituzionale nei quali intervengono in modo naif diverse strutture, comprese quelle religiose.
Spesso durante questi periodi non sono coperti dall’assistenza sanitaria e il disagio che ne consegue è notevole, tanto da fare scaturire un pronunciamento di tale gravità da parte del tribunale tedesco.
L’Italia non è un Paese per rifugiati.

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