“Now is the winter of our discontent
Made glorious summer”
Richard III, act I, scene I
Camminavo alle tre di notte su Kingsland
Road, a Dalston, rientravo a casa con lo stomaco pieno di birra. Le
solite auto della polizia con le tipiche sirene ansiogene di Londra
solcavano veloci la strada. Nemmeno me ne accorgevo, il suono delle
sirene è onnipresente nelle notti londinesi, ti ci devi abituare. Poi ad
un certo punto qualcosa mi costringe a chiedermi che succede: le auto
della polizia che passavano ad intervalli regolari diventano un fila
ininterrotta di camionette con i finestrini protetti da grate.
Allora
già lo so cosa è successo, lo aspettavo da mesi, dalla prima volta che
ho attraversato la periferia inoltrata per andare all’Ikea. Quel giorno
di ottobre avevo pensato che quei sobborghi fantasma che si stendevano
sotto la pioggia erano una cassa di tritolo dimenticata nell’umido di
una cantina. E poi i devastanti tagli al welfare approvati a fine
ottobre mi avevano fatto pensare ancora: qui non regge più.
Poi c’è
stato il movimento studentesco, dalle periferie i ragazzi dei licei
raggiungevano i palazzi del centro si mischiavano alla folla di studenti
universitari, attivisti, cittadini indignati, sfuggivano alle kettle
della polizia, spaccavano i vetri, resistevano negli scontri, ballavano
intorno ai pannelli bruciati. Erano una componente fondamentale delle
mobilitazioni, i ragazzi dei licei, delle periferie, quelli che
all’università forse non ci sarebbero andati e quelli a cui stava per
essere tolta anche la possibilità di frequentare le scuole superiori
visto che l’assegno di mantenimento previsto dallo stato inglese per i
liceali (EMA) era stato semplicemente smantellato da
Cameron&friends.
Che rapporto c’era tra le lotte universitarie e
questi scatenati adolescenti in branco? Non lo so. Nessuno lo sa. Ogni
risposta netta sarebbe una falsità. Dire che erano la stessa cosa
sarebbe ipocrita. Dire che erano lotte separate sarebbe miope. In piazza
in qualche modo ci si ricomponeva per scomposizione: la dinamica di
piazza inglese non richiede e non ricerca azioni di massa centralizzate,
succede sempre che ci si perde, ci si divide in gruppi, per affinità,
per casualità o per strategie di fuga. Le pratiche scelte da un gruppo
influenzano poco quelle scelte da un altro e alla fine si solidarizza
(dato non scontato) tutti insieme con arrestati e feriti, che alla fine
siamo tutti sulla stessa barca. Basta questo a parlare di ricomposizione
sociale? Forse è una premessa ma ci vuole uno sforzo ulteriore.
I
riot delle due notti precedenti accadono a Londra dopo 30 anni di calma
nelle periferie, non a caso, a mio avviso, nell’anno in cui
l’Inghilterra comincia a sentire la crisi sui dati occupazionali, si
tagliano benefit su disoccupazione, case e maternità e soprattutto si
danno dei, seppur embrionali, processi di soggettivazione che
coinvolgono nuovi soggetti, come gli ultra-giovani delle periferie. Dopo
le linee tracciate nell’inverno, ad agosto è scoppiato un nuovo
incendio. Nessuna data lanciata da sindacati stavolta, nessuna assemblea
preparatoria o volantino, ma non per questo mancanza di organizzazione
nella “burning and looting night” di Tottenham.
La faccenda è
partita da una scintilla tipica della dinamica banlieu francese, e a
questa somiglia anche da molti altri punti di vista: l’uccisione, a
quanto pare ingiustificata, di un giovane del quartiere da parte della
polizia. Cosa succede quindi da Tottenham in avanti?
Nelle interviste
sul posto del giorno dopo c’era una parola che colpiva l’orecchio per
l’assiduità in cui veniva ripetuta: “community”. La comunità incazzata,
la comunità contro lo stato, contro le istituzioni violente e cieche,
estranee e discriminatorie. Molti degli elementi tipici dei riots di
periferia, inglesi e non, ricorrono. Della banlieu francese, come si
diceva, ritroviamo anche le pratiche, la linea del colore e l’effetto
domino, le dinamiche di impoverimento, razzismo e marginalità delle
periferie metropolitane. A Londra però diversamente che a Parigi il
confine tra banlieu e centro è più sfumato, mobile e a macchia di
leopardo, la banlieu è più vicina, a volte è “dentro” circondata dal
resto della città, questo spiega perché io abito a dieci minuti da
Tottenham, ed esco a bere a Brixton la sera.
E ricorrono anche le
analisi: le visioni di sinistra che accentuano l’elemento
dell’esclusione sociale dei giovani suburbani e solidarizzano con i veri
poveri, il vero popolo; le letture antiautoritarie che spiegano tutto
nell’ottica azione- reazione tra guardie e ladri e le interpretazioni,
ma più che interpretazioni in questo caso direi versioni romanzate ma di
scarso valore letterario, che si immedesimano semplicemente nel ruolo
di tifosi del riot.
Ma tutto ciò basta a comprendere il fenomeno, a
coglierne le potenzialità, le possibili derive problematiche, gli spazi
dell’azione politica? Il rapporto movimenti sociali e dinamiche di riot
delle periferie urbane ci fanno piombare nella complessità della
metropoli produttiva che abbiamo da anni individuato come terreno di
nuova insorgenza. Come questa insorgenza diviene nuova soggettivazione?
Come si evita il rischio di chiusure comunitarie dei ghetti urbani?
Saremo davvero capaci di inventare un linguaggio comune?
Sono le
quattro e sono in un pub, la BBC si divide tra il crollo dei mercati e
il fatto che la “polizia sta perdendo il controllo della città”. Non
sono solo le speculazioni finanziare a far tremare il potere costituito
nei giorni e nelle notti di mezza estate. L’attacco ai mercati vede
aperto un altro fronte, non solo la Borsa, la City, Wall Street, ma
anche Tottenham, Hackney, Peckham, da qui soffia un vento monsonico
carico di conflitti, si segna la fine della sopportazione e
dell’isolamento.
L'impressione è che un tessuto di lotte si stia
costituendo, fragile e fatto di strappi improvvisi, ma allo stesso tempo
ricco di richiami e stratificazioni, di fili intrecciati. L'impressione
è che dei processi si siano avviati come ingranaggi fuori controllo,
come uno stereo a tutto volume con un unico tasto, quello forward!
In
questo momento la proprietaria del pub mi chiede di uscire perché la
polizia li ha invitati a chiudere l’attività per pericoli di ordine
pubblico, il tumulto dilaga.
tratto da unicommon.org