The dark side of Humanity

9 / 7 / 2019

Attraversiamo un momento storico in cui la forza dirompente delle parole e delle immagini costituisce un potenziale e importante terreno di riflessione e approfondimento, soprattutto in opposizione alla logica delle notizie, frasi e slogan flash svuotati di elementi critici dell’epoca digitale dei social network. Per questo motivo sentiamo la necessità di indagare sul significato del termine umanità, sempre più sdoganato e utilizzato da parte di svariate forze politiche e sociali per quanto riguarda il problema dei profughi e migranti.

Le codificazioni linguistiche ripetute creano infatti un ‘’immaginario comune’’ che si traduce poi in modi di vita, azione e pensiero.  Proprio l’ideologia umanitaria, non solo per quanto riguarda i profughi, ma per tutti i soggetti sociali subordinati - i poveri, gli esclusi, gli emarginati - non è altro che l’altra faccia dell’ordine neoliberista e del dominio del capitale.

Naturalmente, ciò non significa negare l’importanza delle pratiche di solidarietà, di aiuto, di mutua assistenza, salvare vite umane e non, adoperarsi con tutti i mezzi per allievare le sofferenze e garantire un’accoglienza degna. Esse si iscrivono profondamente nell’etica, nell’empatia, nel senso di comunanza della parte migliore dell’essere umano e vanno sviluppate, promosse, stimolate e diffuse con la massima forza.

Ciò non toglie che il concetto di umanità riservi delle criticità ideologiche, politiche, storiche e sociali e che quindi vada sottoposto a una attenta analisi sulle tracce non solo del materialismo storico, ma anche degli studi post-coloniali e del pensiero femminista. Dobbiamo riuscire a immaginare un orizzonte che vada oltre l’ancora radicata tradizione dell’Umanesimo e che rimetta al centro non più l’Uomo nella sua posizione universalistica e antropocentrica, bensì una moltitudine di soggettività complesse in continua compenetrazione e trasformazione, come rivelano gli interessanti studi post-umani di Rosi Braidotti.

L’idea di Umanità non è qualcosa di fisso e immutabile, bensì una costruzione storica, legata alle diverse formazioni sociali e modi di produzione-riproduzione che si sono succedute nel tempo. Come diceva Pico della Mirandola già nel Rinascimento, l’uomo non è un’essenza già data una volta per tutte, ma un divenire aperto alla continua trasformazione. Questo significa l’abbandono di ogni concezione teologico-metafisica della natura umana, portatrice di convenzioni normative, con un elevato potere regolamentare e quindi strumentale all’esclusione di tutto ciò che non corrisponde alla ‘’normalità’’ data dallo standard umano. Gli emarginati diventano così oggetti a disposizione dei potenti che ne abusano per confermare e perpetuare la propria posizione di prestigio all’interno del circuito capitalista. È così che donne, uomini, animali, foreste subiscono continuamente gli effetti disastrosi delle artificiose dicotomie umani-non umani, ricchi-poveri, donne-uomini, bianchi-neri, sani-folli/malati che sanciscono dei confini statici e all’origine delle disuguaglianze di genere, specie, razza ed etnia.

Varie sono nel corso della storia le concezioni di “umanità”: per i greci non esisteva un concetto analogo, ma tutti coloro che non appartenevano alla polis erano considerati stranieri, “barbari”, da bar-bar, ovvero i suoni incomprensibili di chi non parla la stessa lingua e come tali esclusi da ogni riconoscimento. Il termine barbaro, per una sorta di slittamento semantico, si è codificato in senso negativo fino ai nostri giorni. Con i Romani nella fase dell’espansione imperiale emerge il concetto di Humanitas, in una prima proiezione universalistica, dove però essa indicava solo l’umanità civilizzata sotto il dominio di Roma ed entro i confini dell’impero, in contrapposizione con tutto il resto: i barbari, i non umani, più simili alle bestie, al mondo animale. Questo passaggio rende quindi saliente il rapporto dialettico tra costruzione del senso comune di umanità e l’esclusione effettiva dalla cittadinanza, dai diritti, dalla vita sociale e politica, creando così un circolo vizioso di emarginazione che produce, come direbbe Bauman, ‘’vite di scarto’’.

Con il Cristianesimo l’idea di umanità come fratellanza universale incondizionata si pone a fondamento politico e religioso durante tutto il Medioevo, mettendo in luce due principali contraddizioni:

a) la dottrina dell’amore universale tra tutti gli uomini, puramente morale, non tocca alla radice il problema dell’assoggettamento da parte delle classi dominanti, anzi lo mantiene tale e quale, mistificandolo dietro posture compassionevoli, caritatevoli e paternaliste, confermando così all’infinito le condizioni delle classi subordinate.

b) La religione cristiana, cattolica e soprattutto protestante nella versione calvinista, come ampiamente analizza Max Weber, ebbe un ruolo centrale nella formazione di una massa di salariati sottoposti alla disciplina di fabbrica nei paesi europei e lo sfruttamento del lavoro e della natura nelle colonie, fautrici dell’accumulazione originale e della conseguente nascita del capitalismo.

Sono due aspetti dello stesso processo: non c'è accumulazione originaria senza dominio coloniale, senza la schiavitù mascherata del lavoro salariato nella metropoli e senza il lavoro schiavistico “sans phrase”, come dice Marx, nelle colonie. La totale subordinazione su basi etniche e razziali delle popolazioni colonizzate, i fiumi di sangue, di orrore e di stragi verso i “non –uomini”, gli “inferiori”, l’espropriazione, la rapina delle risorse e forme di vita, la distruzione della loro autonomia ed indipendenza culturale in nome di una religione e di una civiltà superiore, bianca, cristiana, patriarcale sono l’origine dell’accumulazione originaria.

Anche la caccia alle streghe iniziata nel XV e secolo ci rivela una storia emblematica di de-umanizzazione, assoggettamento e criminalizzazione all’origine dell’accumulazione originaria, dello sviluppo della società capitalista e della formazione del proletariato moderno. Le donne medievali, soprattutto quelle contadine, di estrazione popolare, venivano additate dalla classe dominante come ‘’non umane’’, vittime del peccato originale, impossessate dal demonio e quindi una potenziale minaccia verso il nascente modello dell’uomo razionale, calcolatore e individualista. Questo immaginario è stato poi funzionale alla giustificazione teorica e pratica dei roghi e delle torture che hanno portato alla morte di decine di migliaia di donne, stroncando la nascita di una possibile forza rivoluzionaria femminile contro i dogmi della Chiesa e l’assetto dello Stato e contemporaneamente formando la concezione della donna sottomessa ed addomesticata, come ci ricorda la femminista Silvia Federici.

Tutto ciò in nome di quell’ idea di umanità che si era foggiata tra XV e XIX secolo, tra colonialismo ed imperialismo e che è profondamente iscritta nello sviluppo del capitalismo. Una universalizzazione delle relazioni di potere, di dominio ed assoggettamento che attraversano i rapporti di classe, di genere, di razza, le gerarchie e stratificazioni sociali. Si tratta di dispositivi di potere sulla vita e sui corpi, di disciplinamento e controllo fino in fondo biopolitiche, che producono soggettività asservite ed addomesticate “messe al lavoro”.

In tutti questi processi, che ancora permangono al di là delle concezioni lineari e deterministiche della storia nell’ attuale ordine neoliberista, sinistramente illuminati dall’idea di civiltà, di progresso, di giustizia, di sviluppo illimitato delle forze produttive, si delinea un’idea di Umanità eurocentrica ed esclusiva, che presuppone la riduzione “dell’altro” a subumano, non umano.

Si tratta di un’operazione culturale complessa, con varie stratificazioni, che si manifesta già nel XV-XVI secolo, con la scoperta delle Americhe e la colonizzazione da parte dei conquistadores. Anche in questo caso l’idea di Umanità nella sua accezione universalistica e cristiana fu utilizzata per giustificare le violenze e il genocidio. Le popolazioni conquistate e sottomesse venivano così viste come ‘’selvagge’’, portatrici di un ordine non umano, più vicino alla natura, all’animalità, nemico della civilizzazione e del progresso bianco ed europeo. Non uomini, ma esseri inferiori, “cose viventi”, strumenti parlanti e quindi uccidibili e ridotti in schiavitù, sui quali si esercita il «potere di far morire o di lasciar vivere», per usare una efficace espressione di Foucault per quanto riguarda l’essenza del biopotere. La conversione evangelica accompagnata dalla violenza sui corpi è la pre-condizione della sistematica distruzione dell’identità e della cultura del soggetto indigeno, che deve piegarsi alla disciplina di una religione e morale superiore, accettare la riduzione in schiavitù come naturale ed interiorizzare il rapporto di subalternità tra dominante-dominato.

L’ Umanità viene costruita sulla disumanizzazione: non è solo un tragico paradosso, ma una ben precisa e strutturale relazione di potere, alla base dell’accumulazione e sviluppo capitalistico, della stessa produzione di soggettività addomesticata ed asservita. L’ ideologia umanitaria, in questo contesto, attraverso categorie morali, compassionevoli e caritatevoli cerca di colmare il divario tra principi universali e realtà materiale, addolcire ed attenuare la sofferenza dei poveri e dei dominati, ma senza intaccare la struttura della dominazione perché porta con sé l’idea che migranti, profughi ecc... abbiano bisogno della protezione e dell’intervento dei più ‘’fortunati fratelli occidentali’’, perdendo così un elemento imprescindibile nell’unico strumento di liberazione: la soggettivazione nella lotta di classe, nella rivolta, nell’insurrezione.

L’uso del termine umanità in senso generico e astratto, senza coglierne la genealogia storica profondamente intricata con l’origine stessa del capitalismo, del colonialismo e del patriarcato, più che rappresentare una contraddizione in sé, ha la funzione, al di là delle intenzioni, di rimuovere, occultare, mascherare le contraddizioni che attraversano questo modo di produzione e riproduzione. Come la religione, un oppio per i popoli, per la lotta di classe, la sostituzione del lessico “morale” al lessico politico pone un ostacolo al conflitto e alla lotta di liberazione dal dominio. In questo senso solo un processo di radicale trasformazione rivoluzionaria, culturale e sociale, può creare i presupposti per una futura umanità liberata.