Taranto - 17/2 processo ILVA, per noi siete già colpevoli!

18 / 2 / 2012

"Fummo creati per vivere in paradiso, il paradiso era destinato a servirci. La nostra destinazione è stata cambiata; che questo sia accaduto anche con la destinazione del paradiso non viene detto."

Dopo la storica sentenza del procuratore Guariniello, che ha riconosciuto per la prima volta in Italia il reato di disastro ambientale, e ha condannato per disastro doloso e omissione di cautele i massimi dirigenti dell’Eternit di Torino, è l’incidente probatorio sull’Ilva di Taranto, al centro dell’interesse nazionale, ora. Oggi,17 febbraio, nella città pugliese si aprirà il confronto fra la magistratura, i periti e le parti e si avvierà la discussione della maxiperizia, che fa il punto sull'inquinamento da diossina e sull'Ilva, e che ha individuato in quest'ultima una fonte significativa e determinante, anche per quanto riguarda le sostanze cancerogene emesse. E mentre da ieri, è anche ripresa la lotta degli ex lavoratori somministrati dell’Ilva, con una decina di loro che hanno montato una tenda sul cavalcavia che porta all’ingresso della direzione della fabbrica, chiedendo, come accadde nel dicembre del 2010, la riassunzione all’interno dello stabilimento siderurgico dei dipendenti con almeno 24 mesi di lavoro e premesse per un binario preferenziale dentro il quale far scorrere le assunzioni dei lavoratori interinali con meno di 24 mesi; la garanzia in pratica di lavorare in quella fabbrica di morte con un contratto stabile. In quelle aule di tribunale, che a chi scrive appaiono irreali e claustrofobiche, dall’aria torbida, e fosca, tra poche ore si comincerà a celebrare il processo che vede imputati Emilio e Nicola Riva, padre e figlio, proprietari dello stabilimento siderurgico tarantino, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento, e Angelo Cavallo, responsabile del reparto Agglomerato 2, accusati di disastro ambientale relativamente alle emissioni di diossina da parte dello stabilimento Ilva di Taranto, avvelenamento colposo di sostanze alimentari e getto pericoloso di cose.

L’Ilva è una società per azioni del Gruppo Riva, che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell'acciaio, oggetto già di diversi processi penali per inquinamento, che si sono conclusi in alcuni casi e gradi di giudizio con la condanna di Emilio Riva e di altri dirigenti. Ma a Taranto c’è tanto, molto altro, con cui fare i conti: c’è il 92% della diossina emessa dalle industrie italiane che proviene dall’Ilva di Taranto; ci sono i dati forniti dal Registro dei Tumori salentino, da cui emerge un aumento del 30% dei tumori nella nostra città, rispetto alla pur alta media regionale. E c’è un mostro marrone scuro, un enorme mantello di ruggine che si estende per 1500 ettari, e che sforna circa la metà delle  26milioni di tonnellate di acciaio prodotte in Italia ogni anno. Una vera e propria siderlandia che non dorme mai, calata dall’alto nei primi anni ’60, nella terza città meridionale, un posto in cui non si è imparato a distinguere da un benessere inteso come un mero indicatore economico, dallo star bene, ovvero da quello che riguarda l’aria che respiriamo, i cibi di cui ci alimentiamo, e l’ angoscia che quotidianamente si vive, a fare i conti con malattie, morti, con il lavoro che uccide. In cui a volte, ci si rassegna, oltre che a respirare le polveri sospese nell’aria, anche a vivere in quartieri dove le case sono impregnate di un rosso scuro, quasi marrone, a tratti nero.

Semplicemente e maledettamente la città più inquinata d’Europa. Un posto in cui, l’Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del Lavoro, un organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale, ha stimato che i bambini che vi vivono, inalano valori di benzopirene equivalenti a centinaia di sigarette l’anno, e in cui coloro che lavorano in quel cuore nero, in quell’acciaieria che si mangia la superficie della metà di quella che un tempo antico era la capitale della Magna Grecia, sono condannati a morte, paradossalmente per poter continuare a vivere.

Indipendentemente da quale sarà l’esito del processo nei prossimi mesi, la Città di Taranto, è comunque già condannata a morte da cinquanta anni. E così lo stesso processo, ad oggi, appare solo una mescolanza di tragedia inspiegabile e di vuoto grottesco ben rappresentato da quella macchina inutile, qual è la giustizia italiana oggi. Inutile fino ad ora, è stata sul tema anche l’attenzione dimostrata dalle istituzioni: non sono certo serviti né i protocolli ne atti d’intesa a chi l’aria dell’acciaieria e degli altri stabilimenti del polo industriale la respira quotidianamente. Da diversi anni, solo l’opera di associazioni, movimenti e singoli che cittadini hanno posto all’attenzione dell’opinione pubblica la vicenda della provincia ionica è servita.

E’ un rapporto complesso, quello che Taranto detiene storicamente con la grande fabbrica, perché il problema dell’Ilva non è solo ecologico e territoriale, ma anche economico, perchè in quello stabilimento sono occupate circa 13 mila persone più altre parecchie migliaia come indotto. E' geopolitico, perché da quello che è uno dei porti più grandi del mediterraneo, strategico anche per la Nato, con le sue portaerei e i suoi sottomarini nucleari, nastri trasportatori lunghi una decina di chilometri raccolgono il materiale ferroso dalle grandi navi provenienti dalla Cina, dal Brasile, e lo consegnano al “Mostro”, che le accumula e trasforma quell’ossido di ferro in acciaio mescolandolo con il carbon-coke.

Convinti invece, che ora più che mai, sia stringente la necessità di avviare un processo di conversione ecologica dei cicli industriali inquinanti, e dell’urgenza di porre al centro dell’attenzione il presente ed il futuro dei cittadini e delle cittadine di Taranto, ma anche quello di chi, in quello stabilimento ci lavora. Domani saremo davanti al tribunale, in tanti e diversi, a ribadire che c’è un diritto, riconosciuto dall’art 32 della nostra Costituzione che non accetta contemperamenti e limitazioni, il diritto alla salute.

Fino all’ultimo respiro!

"No," disse il sacerdote, "ma temo che finirà male. Sei ritenuto colpevole. Forse il tuo processo non andrà neppure oltre un tribunale di grado inferiore. Almeno per il momento, la tua colpevolezza si dà per dimostrata." "Ma io non sono colpevole," disse K., "è un errore. E poi, in generale, come può un uomo essere colpevole? E qui siamo pure tutti uomini, gli uni quanto gli altri." "È giusto" disse il sacerdote, "ma è proprio così che parlano i colpevoli."

Franz Kafka, il Processo

*attivisti C.S. CloroRosso-Taranto