Strage del 3 ottobre - La testimonianza video che accusa il ritardo nei soccorsi

La Guardia Costiera circonda il barcone, poi se ne va. Una barca lancia l’allarme ma i soccorsi arrivano solo dopo cinquanta minuti

6 / 2 / 2014

Nessuno riporterà in vita le 368 vittime inghiottite dal mare a poco più di un miglio dall’Isola dei Conigli, a Lampedusa. Così come nessuno riuscirà ai rimuovere dagli occhi dei superstiti le immagini dei loro compagni di viaggio che affogano e quelle degli stupri e delle violenze subite dai trafficanti di uomini. Ma mentre su questi ultimi è in corso un processo, sui fatti di quella notte, sulla dinamica dei soccorsi, sui possibili ritardi, nessuno indaga.
Eppure i ritardi nei salvataggi, per l’Italia, non sono una novità. Anche dalle testimonianze dei sopravvissuti del naufragio dell’11 ottobre, quello che ha coinvolto centinaia di cittadini siriani, emerge il rimpallo di responsabilità tra Italia e Malta.

Che vi fosse una colpa dei governi europei è fuor da ogni dubbio. E’ il funzionamento stesso del confine ad affidare ai trafficanti di uomini la vita di chi fugge per salvarsi dalla guerra. Ma sulla dinamica di quella notte, sulle operazioni di salvataggio, non si è ancora fatto luce. Anzi, le tante testimonianze emerse, che mettono in discussione le versioni fornite dalle autorità, sono state liquidate come frutto della coincitazione del momento.

Ma i superstiti del naufragio non smettono di confermare che quell’incendio è scoppiato proprio dopo che un’imbarcazione che gli aveva intimato di fermarsi se n’era andata. Negli atti del processo aperto contro i trafficanti, le testimonianze raccontano che quella coperta è stata data alle fiamme dopo che il motore era andato in avaria, proprio nel tentativo di attirare l’attenzione di quella che, successivamente, sarebbe stata riconosciuta come una motovedetta della Guardia Costiera, poi dileguatasi.

Molti testimoni intervistati dai giornalisti nei gironi seguenti hanno denunciato le omissioni di quella tragica notte. Mentre loro erano impegnati a salvare vite, sulle imbarcazioni dei soccorritori si scattavano foto e si giravano video, nel rispetto, dicono, di un protocollo assurdo, che prevede la necessità del via libera da parte di una non meglio precisata autorità prima di iniziare le operazioni di salvataggio. Una follia per le leggi del mare.

Abbiamo raccolto la testimonianza di Grazia, abitante di Lampedusa, che quella notte si trovava in barca con il suo compagno ed alcuni amici nei pressi di Cala della Tabaccara.
Melting Pot vi propone il video che contiene la sua verità. Quella di chi, dopo aver lanciato l’allarme, ha fatto in tempo a salvare quarantasette vite umane prima che i soccorsi arrivassero sul posto. Una verità che le ha provocato così tanti guai da farle decidere di non denunciare.

Intervista a cura di Alessandra Sciurba
Immagini e montaggio di Carlo Vitelloni
Testo di Nicola Grigion