Pubblichiamo qui l'appello di #StopBiocidio - Campania. Nell'ambito della settimana di mobilitazione europea convocata dalla rete transnazionale Blockupy, una 16m comune di azioni diffuse sui territori, che parlassero la lingua comune delle comunità resistenti. E il 17m a Roma alla manifestazione per i beni comuni e i diritti sociali

#StopBiocidio, #16m: #ancorainpiena

A sei mesi dal 16nov, ancora contro il biocidio in Campania per la mobilitazione europea mayofsolidarity

8 / 5 / 2014

Il 16 novembre più di 100.000 persone hanno invaso il cuore della città di Napoli.
Donne e uomini, cittadini, comitati, uniti dall’idea che si potesse e dovesse fermare il biocidio che da almeno vent’anni devasta la regione Campania.
Vent’anni di accordi tra la camorra e lo stato, vent’anni di commissariamenti utili unicamente a proteggere gli interessi di chi doveva speculare sulla nostra vita e sui nostri territori, vent’anni di leggi speciali, vent’anni in cui l’esercito era il paravento e la magistratura la mano che doveva colpire chi denunciava quello scempio. Vent’anni di discariche legali ed illegali, di inceneritori, di rifiuti tossici interrati senza scrupoli, con la complicità dell’imprenditoria locale e delle imprese settentrionali. Vent’anni in cui qualcuno aveva deciso che la nostra terra doveva essere la più grande discarica a cielo aperto d’Europa e il più impressionante dei laboratori di cancerogenesi esistenti.
Ma anche vent’anni di resistenza. La temporalità lunga dell’emergenza rifiuti è stata infatti la stessa temporalità delle lotte ambientali, dei presidi permanenti, dei comitati di base, dei cortei, delle occupazioni, della controinformazione, delle inchieste dal basso.
In questi vent’anni le comunità in lotta hanno saputo tessere relazioni, creare meccanismi di solidarietà e mutualismo che da subito hanno decostruito la retorica del nimbismo, l’odiosa accusa, costruita ad arte per difendere chi traeva profitto dall’emergenza, secondo la quale chi protesta lo fa per egoismo campanilista, per scongiurare un inconveniente a pochi metri da casa propria e non invece per opporsi alla logica di messa a profitto dei territori ovunque essa si manifesti.
Le centomila persone in piazza il 16 novembre smentiscono questo teorema, come lo hanno smentito le migliaia di persone protagoniste delle lotte contro le devastazioni territoriali in Campania: dai cortei nazionali contro la discarica di Chiaiano alle 10.000 persone che, ancora lo scorso autunno, si opponevano alla costruzione di un nuovo inceneritore a Giugliano.
In questi vent’anni le comunità in lotta hanno prodotto saperi e analisi, sfidando la controparte sul piano dell’alternativa. Oggi esiste un modello differente di gestione dei rifiuti, sostenibile per i territori e le comunità che li abitano, fondato sul controllo popolare dei meccanismi messi in campo.
Un modello che veniva articolato nella piattaforma di #fiumeinpiena, scolpito nella memoria di chi, a fine corteo, il 16 novembre ha attraversato la partecipatissima assemblea di Piazza Plebiscito.
Da questo patrimonio di relazioni, di conoscenze, di conflitto, di radicamento territoriale è andata consolidandosi una mobilitazione così grande ed importante da non avere pari nella storia recente della nostra regione. Una mobilitazione che – proprio per questo – per la storia che incarna, per la materialità viva delle esperienze che la animavano, non poteva essere e non è stata un evento ma ha trovato connessioni con il lavoro quotidiano di tanti sui territori.
A fronte di quest’esperienza la risposta delle istituzioni appare oggi non solo insufficiente, ma imbarazzante: se all’inizio sembrava dovesse sbloccarsi qualcosa per l’avvio delle bonifiche, le politiche di austerity che blindano l’azione politica dei governi degli ultimi anni hanno scavalcato anche chi provava a fare vaghe promesse elettorali sull’onda dello scandalo, del lutto e della sofferenza che riempivano le prime pagine dei giornali.
L’attuale governo – con la precisa volontà di archiviare la questione e imporsi come governo del nuovo, del consenso – ha messo in campo misure assolutamente insufficienti, che in qualche caso hanno addirittura significato deresponsabilizzazione e agevolazioni economiche per gli stessi inquinatori. Misure che facevano il paio con l’azione degli enti locali che, anzi – in primavera – hanno paventato la possibilità di aprire nuove discariche a Varcaturo e a Chiaiano.
Mentre le istituzioni non facevano nulla, però, i comitati hanno continuato a muoversi, a discutere tra loro, a crescere e a confrontarsi. Il tema del biocidio è stato un vettore di ricomposizione che ha travalicato la specificità campana, parlando ai tanti che sul territorio nazionale subiscono il ricatto di chi avvelena e specula e riuscendo a costruire comune senso politico tra le lotte contro tutte le contaminazioni ambientali e le altre esperienze di espropriazione delle risorse collettive: le lotte contro le grandi opere, i grandi eventi, le privatizzazioni.
Ciò che è avvenuto in Campania esprime un potenziale politico di mobilitazione che può divenire patrimonio comune di tutti quei territori le cui comunità hanno il compito di disegnare la geografia di una mobilitazione unitaria e, per questo, dirompente. L’avvelenamento della Val Pescara ad opera della Edison che per decenni ha smaltito a Bussi rifiuti tossici; il Lazio in cui si stanno ricostruendo ad arte le dinamiche antidemocratiche dell’emergenza rifiuti e dove interi territori, come la Valle del Sacco e la provincia di Latina, sono avvelenati dallo smaltimento di rifiuti industriali operato da criminalità e imprenditoria. Le speculazioni e i project financing che sottendono progetti come i cantieri della Orte-Mestre, del terzo valico TAV, dell’ EXPO 2015 a Milano. L’avvelenamento delle popolazioni residenti intorno alle centrali di Vado Ligure e Porto Tolle; la terra dei fuochi che sempre più è un’immagine che unisce tristemente l’Italia, dalla Puglia alla Lombardia, e non riguarda solo la Campania; la devastazione operata dalla Caffaro a Brescia dove, nella mobilitazione del 10 maggio, la parola biocidio e i temi della devastazione ambientale, in un territorio in cui è vietato toccare la terra perché avvelenata, vengono associati allo slogan “per una sola grande opera: casa, salute, reddito e dignità”; i 250.000 siti da bonificare in tutta Europa. Queste lotte emblematiche e tutte le altre qui non citate che intorno a questi temi si muovono, dimostrano la centralità delle lotte ambientali e come esse vadano ben oltre il problema dello smaltimento dei rifiuti, connettendosi alla necessità di imporre al modello produttivo il rispetto del limite ecologico contro ogni forma di deregolamentazione economica e ambientale finalizzata agli interessi del capitale.
Di fondo, ad essere chiamate in causa sono questioni nodali: da un lato, evidentemente, il diritto ad una partecipazione deliberante rivendicato dalle comunità contro ogni restringimento dell’agibilità democratica nel nostro paese. Ciò significa restituire sovranità alle comunità e immaginare forme di autogoverno che tutelino e gestiscano nell’interesse collettivo i beni comuni continuamente sotto attacco.
Dall’altro lato la lotta contro un modello di sviluppo all’interno del quale si esplica il meccanismo comune che aziona le molteplici forme dello sfruttamento e dell’accumulazione, basato sullo sfruttamento dei territori, del lavoro vivo e dei saperi vivi, quello che aggredisce la vita perché pochi si arricchiscano.
Attorno a questi nodi proveremo a costruire coalizioni sociali, forme inedite di sinergia e cooperazione da sperimentare nella pratica politica, nella produzione di discorso, di immaginario, di lessico, di mobilitazione.
Il 16 novembre abbiamo annodato le prime intuizioni sulle quali è stata configurata una giornata plurale e interessante, che ha rimbalzato dalle migliaia di persone in corteo contro il tav, alla manifestazione contro il CIE di Gradisca, alla difesa degli spazi sociali praticata a Pisa, al fiume in piena dei 100.000 che a Napoli si opponevano alla devastazione ambientale.
Dopo sei mesi le risposte latitano e la rabbia degna delle comunità in lotta si agita sui territori, costruisce alleanze, agenda politica, saperi critici, alludendo ad altri modelli di sviluppo e ad altri mondi possibili. Il meeting europeo di Napoli è stato uno dei tanti momenti di confronto, nel quale è stato possibile conoscere esperienze simili alle nostre, da chi resiste nel nord della Grecia allo sventramento minerario, agli attivisti di Gezi Park che si opponevano alla gentrificazione e all’urbanistica imprenditoriale.
Da qui l’individuazione nel 16 maggio di una data comune di azioni diffuse sui territori, che parlassero la lingua comune delle comunità resistenti.
Un percorso che proveremo a restituire anche all’interno della mobilitazione nazionale del 17 maggio a Roma, all’interno di un corteo tra le cui parole d’ordine – assieme all’opposizione ad austerità e privatizzazioni, la difesa del reddito, del diritto alla casa, dei beni comuni, dei diritti sociali e della democrazia – trova centralità il tema delle devastazioni ambientali.
Due giornate nelle quali come comunità resistenti porteremo in piazza, con le mille lingue delle donne e degli uomini che le incarnano, un messaggio chiaro: stiamo tornando.
Aqui estamos!

 

#StopBiocidio  - Campania



(La colonna sonora del video è una parte del brano Stop Biocidio di Shotgun Studio - Mezzocannone Occupato , in uscita tra poche settimane nella versione integrale)

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