Come omaggio a Immanuel Wallerstein – il grande storico, sociologo ed economista statunitense scomparso il 31 agosto – pubblichiamo un suo contributo scritto nell’autunno del 2016, quando il dibattito mondiale si stava interrogando sulla “lunga durata” della crisi economica e dei suoi sviluppi. La lucidità con cui Wallertsein approccia la macro-categoria di stagnazione, inserendola in quel flusso continuo di oscillazioni e riequilibri che ha caratterizzato il “sistema-mondo” nel corso dei secoli, è ancora oggi estremamente efficace.
Gli economisti mondiali stanno lottando con qualcosa che
trovano difficile da spiegare. Com'è che i prezzi delle azioni hanno continuato
ad aumentare nonostante il fatto che quella cosa chiamata crescita sembri
stagnante? Nella teoria economica mainstream, non dovrebbe funzionare così. Se
non c'è crescita, i prezzi di mercato dovrebbero declinare, stimolando di
conseguenza la crescita. E quando la crescita torna, allora i prezzi di mercato
dovrebbero salire di nuovo.
I fedeli di questa teoria dicono che l'anomalia è un'aberrazione momentanea.
Alcuni negano addirittura che sia vera. Ma ci sono altri che considerano
l'anomalia una sfida importante alle teorie mainstream. Questi cercano di
rivisitare le teorie perché tengano conto di quella che molti ora chiamano
“stagnazione secolare”. I critici includono varie persone importanti, tra i
quali alcuni premi Nobel. Ci sono tra loro pensatori tra loro molto differenti,
come Amartya Sen, Joseph Stiglitz, Paul Krugman, e Stephen Roach.
Mentre ciascuna di queste persone ha una linea argomentativa diversa, condivide
le stesse convinzioni. Tutti credono che quello che fanno gli stati ha un
grosso impatto su quello che succede. Tutti pensano che l'attuale situazione è
insana per tutta l'economia e che questo ha contribuito a un significativo
aumento della polarizzazione dei redditi reali. Tutti loro pensano che si
dovrebbe mobilitare l'opinione pubblica perché faccia pressione sulle autorità
governative per agire in modo specifico. E tutti loro pensano che, se l'attuale
insana e anomala situazione potesse continuare ancora per qualche tempo,
esistono appropriate politiche statali che rendono possibile un'economia meno
polarizzata e meno malsana.
In breve, e questo è il mio punto principale, nessuno dei critici è pronto ad
andare oltre e ad accettare il fatto che il sistema capitalistico in sé è
entrato in una fase di inevitabile declino. Questo significa che non esiste
alcuna politica governativa che possa ristabilire il funzionamento del
capitalismo come sistema possibile.
Non molto tempo fa, la stagnazione secolare era un termine utilizzato da molti
analisti innanzitutto per descrivere lo stato dell'economia giapponese a
partire dagli anni '90. Ma dal 2008 l'uso del concetto è stato applicato a
diverse aree – i membri della zona Euro come Grecia, Italia e Irlanda; gli
stati ricchi di petrolio, come la Russia, il Venezuela e il Brasile;
recentemente anche gli Stati Uniti; e potenzialmente forti attori economici
come Cina e Germania.
Uno dei problemi per quelli che cercano di capire cosa stia accadendo è che
analisti diversi usano geografie differenti e calendari differenti. Alcuni
parlano della situazione stato per stato e alcuni stanno cercando di valutare
la situazione nell'economia mondiale in toto. Alcuni vedono la stagnazione
secolare cominciare nel 2008, altri negli anni '90, altri ancora alla fine dei
'60 e alcuni ancora prima.
Lasciatemi proporre ancora una volta un altro modo di vedere la stagnazione
secolare. L'economia mondo capitalistica è esistita in parti del globo a
partire dal 16° secolo. Chiamo questo il sistema mondo moderno. Si è
velocemente esteso geograficamente, abbracciando alla fine il mondo intero a
partire dalla metà del 18° secolo. È stato un sistema di grande successo nel
suo principio guida, l'infinita accumulazione di capitale. Cioè accumulare
capitale per accumulare più capitale.
Il sistema mondo moderno, come tutti i sistemi, oscilla. Ha anche meccanismi
che limitano le fluttuazioni e spingono il sistema verso l'equilibrio. Questo
somiglia a cicli in su e in giù. Il solo problema è che i “giù” non ritornano
mai al precedente punto minimo, ma piuttosto a uno un po' più alto. Questo
perché, in complessi sistemi istituzionali, c'è resistenza ad andare sempre in
giù. La vera forma dei ritmi ciclici è quella di due passi in su, e un passo in
giù. Il punto di equilibrio è quindi mobile. In aggiunta al ritmo ciclico, ci
sono tendenze secolari.
Se si misura l'ascissa delle tendenze, queste si muovono verso l'asintoto del
100%, che ovviamente non può mai essere passato. Un po' prima di quel punto
(diciamo verso l'80%), le curve cominciano a fluttuare in maniera selvaggia.
Questo è il segno che siamo entrati in una crisi strutturale del sistema. Si
biforca, cioè ci sono due, quasi opposti, modi differenti di scegliere il
successore del sistema. La sola cosa che non è possibile è fare funzionare il
sistema attuale nel suo modo normale precedente.
Mentre prima di quel punto, grandi sforzi di trasformare il sistema finiscono
in piccoli cambiamenti, ora è vero il contrario. Tutti i piccoli sforzi di
cambiare il sistema hanno grandi impatti. La mia tesi è che il sistema mondo
moderno sia entrato nella sua crisi strutturale all'incirca nel 1970 e vi
rimarrà per altri 20-40 anni. Se vogliamo valutare azioni utili, dobbiamo
tenere a mente due diversi orizzonti temporali, il breve termine (al massimo 3
anni) e il medio termine.
Nel breve periodo, quello che possiamo fare è di minimizzare il dolore per
quelli che sono colpiti più duramente dall'aumento della polarizzazione in
atto. Le persone reali vivono nel breve termine e hanno bisogno di soccorso
immediato. Questo soccorso, però non cambierà il sistema. Il cambiamento può
avvenire nel medio periodo a seconda che i sostenitori di questo o di quel
successore del sistema ottengano sufficiente forza per piegare la biforcazione
in quella direzione.
Qui sta il pericolo di non spingersi abbastanza avanti nell'analisi critica del
sistema. Solo se si vede chiaramente che non c'è via d'uscita dall'attuale
stagnazione si può diventare forti abbastanza per vincere la lotta morale e
politica. Una punta della biforcazione si dirige verso la sostituzione del
capitalismo con un altro sistema che sarà altrettanto terribile o forse ancora
peggio, mantenendo le caratteristiche cruciali della gerarchia, dello
sfruttamento e della polarizzazione. L'altra punta va verso un nuovo sistema
che è relativamente egualitario e relativamente democratico.
Negli anni a venire potranno esserci rialzi che sembreranno indicare che il
sistema funziona di nuovo. Anche il livello di disoccupazione del sistema
intero, la misura chiave dello stato del sistema, può aumentare. Ma questi
rialzi non dureranno a lungo perché la situazione globale è troppo caotica. E
il caos paralizza la prontezza sia dei potenti imprenditori che delle persone
semplici di utilizzare il capitale rimanente in modi da rischiare perdite e
quindi da mettere a rischio la propria sopravvivenza.
Stiamo facendo una corsa pazza, una corsa davvero spiacevole. Se vogliamo
comportarci in maniera ragionevole, la chiarezza dell'analisi è il primo
requisito, seguito dalla scelta morale e dal giudizio politico. La linea di
fondo è che abbiamo abbondantemente passato il punto in cui c'è un qualsiasi
modo in cui il capitalismo come sistema storico possa sopravvivere.
Articolo tradotto da Lorenzo Battisti per marx21.it