Spagna, il ricatto dei mercati nel codice penale

di Giansandro Merli

25 / 4 / 2012

In Spagna e in molti altri paesi europei si è diffusa l’usanza di nascondere dietro la parola “riforma” le misure di “smantellamento”. La riforma del mercato del lavoro equivale allo smantellamento dei diritti dei lavoratori. La riforma del sistema di previdenza sociale alla distruzione dello stesso. I prossimi provvedimenti di riforma del sistema universitario e scolastico segneranno la fine dell’istruzione come diritto e la sua definitiva consacrazione a privilegio (da Madrid si prevede che le tasse saliranno del 50% e le borse di studio saranno decimate).

 

Come tutte le regole, anche questa ha un’eccezione: la riforma del codice penale non puzza di austerity. Al contrario, il governo Rajoy si sta dimostrando particolarmente generoso nel proporre aumenti di pene e nuovi reati. Inizialmente, l’attenzione si è concentrata sull’inasprimento delle pene per i “multi-recidivi”, seguendo la logica per cui contano più i precedenti di chi commette un crimine che l’effettiva rilevanza dello stesso. In poche settimane, però, la scala delle priorità è cambiata: l’urgenza riguarda ora i reati legati all’alterazione dell’ordine pubblico.

 

Le proposte non si sono risparmiate. Vediamone alcune. Il governo vorrebbe elevare fino a 2 anni le pene per i reati contro “gli agenti dell’autorità” (art. 551), rendendo possibile l’utilizzo dell'arresto cautelare (cioè precedente al processo). La stessa categoria di reati dovrebbe essere ampliata attraverso l’introduzione del crimine di “resistenza passiva grave” (art. 550), evidentemente indirizzato contro alcune delle pratiche più usate dal movimento 15-M. Perfino più grave risulta la proposta di punire chi commette piccoli episodi di violenza durante i cortei con la legislazione antiterrosimo prevista per la kale borroka (strategia conflittuale degli indipendentisti baschi che le autorità spagnole classificano come “terrorismo di bassa intensità”). Altre misure vorrebbero imporre la responsabilità pecuniaria dei genitori di minori che provocano danni; la responsabilità penale di chi convoca, soprattutto attraverso internet e reti sociali, manifestazioni in cui si verificano reati (con la possibilità dell’“associazione a delinquere”); e infine, udite udite, far  rispondere penalmente partiti e sindacati del comportamento dei loro affiliati che partecipino ad azioni illegali (allargando anche a queste organizzazioni la responsabilità penale delle persone giuridiche, recentemente introdotta nel codice).

 

Per completare il quadro segnaliamo un’iniziativa della polizia autonoma catalana, i Mossos d’Esquadra: stanno per aprire una pagina web dove pubblicheranno le foto di chi prende parte alle azioni di protesta più radicali, per facilitarne il riconoscimento attraverso la delazione di massa. Tutti i cittadini sono invitati ad accusare i loro conoscenti che protestano. Per il momento non saranno accettate spie anonime, assicurano. Siamo pur sempre in democrazia!

 

Tanto sforzo e tanta fretta per modificare il codice penale e aumentare i dispositivi di controllo autorizzerebbero a pensare che la Spagna soffra di un’improvvisa ondata di criminalità (comune o legata ai reati di piazza), o che il paese sia un covo di organizzazioni eversive ormai pronte a lanciare l’attacco allo stato. Eppure, come riportato da el País nei giorni scorsi, non solo la Spagna è il paese con il più alto tasso di detenuti dell’Europa occidentale, non solo il periodo medio di detenzione è raddoppiato in 15 anni, ma i tassi di criminalità sono tra i più bassi a livello europeo e hanno persino una tendenza negativa, stanno diminuendo. 

 

Rispetto al piano dell’ordine pubblico, poi, risulta difficile comprendere a quali indicatori faccia riferimento il ministro della giustizia quando agita il rischio che le proteste si trasformino in guerriglia urbana. Le pratiche di piazza adottate dai movimenti spagnoli ci parlano di un rifiuto della violenza a volte ideologico e volutamente ostentato (vedi lo sgombero degli indignados da plaza del Sol). Escludendo Catalunya e País Vasco, vedere volare un sasso durante un corteo è molto, molto difficile. I veri violenti, in genere, sono altri: Guardia Civil, Mossos d’Esquadra e Ertzaintza (polizia autonoma basca), che proprio in questo periodo sono oggetto di numerose denunce per abusi di vario genere e violenze gratuite. La più grave risale a meno di un mese fa, quando la polizia basca ha sparato e ucciso Iñigo Cabacas Liceranzu, un tifoso dell’Athletic Bilbao raggiunto da un proiettile di gomma durante i festeggiamenti per la vittoria della sua squadra contro lo Schalke 04 (a quelli che nei mesi scorsi hanno chiesto di dotare i reparti antisommossa italiani di tale arma consigliamo di guardare attentamente questo blog http://vacanzeabarcellona.tumblr.com/).

 

Ufficialmente le proposte di inasprimento di pene e reati vengono giustificate con gli scontri di Barcellona dell’ultimo sciopero generale. La città catalana è fonte di allarme perché il 2 maggio sarà sede di una riunione della BCE (per cui verrà sospeso Schenghen e saranno chiuse le frontiere terrestri). In realtà, a terrorizzare il governo è la consapevolezza che i compiti a casa imposti dai mercati provocheranno una macelleria sociale che difficilmente resterà senza conseguenze sul piano del conflitto. Al di là dei singoli provvedimenti, quindi, l'obiettivo generale è quello di intimorire chi sceglie di opporsi e di organizzarsi. La disoccupazione ha ormai sfondato il 23% (e tra i giovani il 50%), lo spread è intorno ai 400 punti, le previsioni di riduzione del deficit devono essere riviste, la spesa pubblica ulteriormente tagliata. La Spagna continua ad essere additata come il nuovo anello debole della catena europea: i mercati e gli speculatori finanziari premono, il governo deve dare continuamente prove di forza. I mercati chiedono interventi strutturali di lungo periodo: per investire serve fiducia, servono certezze a lungo termine che nessuno possa mettere in discussione in un prossimo futuro, né la pressione sociale, né un cambio di governo (che comunque è lontanissimo). Le proteste radicali e di massa incrinano queste certezze e, come ha dichiarato il ministro della giustizia, “mettono a rischio l’immagine della Spagna di fronte ai mercati”. 

 

Oggi, è il consenso dei mercati che i governi devono costruire per poter governare, non quello del “popolo”, né tantomeno quello del proprio elettorato. Se questa trasformazione sia il segnale di un definitivo divorzio tra capitalismo e democrazia (ammesso e non concesso che questo matrimonio sia mai stato celebrato) o il preludio di imprevedibili trasformazioni istituzionali, è ancora difficile da dire. Di certo, possiamo aggiungere un nuovo tassello al quadro complessivo disegnato dal ricatto dei mercati: un tassello in cui meno dissenso e meno libertà significano più carcere.