Sospendere i responsabili, una campagna comune

26 / 5 / 2010

La recente sentenza di condanna di tutti gli attuali vertici della polizia italiana per il massacro compiuto alla Diaz durante il G8 di Genova, rappresenta qualcosa in più di un semplice, e sacrosanto, aggiustamento della vergognosa assoluzione del primo grado. 

Le motivazioni non si discosteranno molto dalle tesi dell'accusa, che hanno denunciato pubblicamente il ruolo di “mandanti” e organizzatori degli alti gradi, evitando di far passare l'abominio compiuto quella notte come un eccesso di zelo di qualche celerino. Lo spessore politico cambia: quegli ufficiali, tutti nel frattempo promossi e oggi dirigenti di ps, antiterrorismo e servizi segreti, hanno deciso e ordinato quanto è poi accaduto. È lo Stato, nelle sue articolazioni più importanti, ad avere la piena responsabilità. Non il singolo. Non si trattò dunque di una “deviazione”, ma di consapevole illegalità e abuso, orchestrata da tanti, posta in essere in maniera articolata e precisa. Questo prima che i fatti accadessero, quando cioè si prese quella terribile decisione, e dopo, quando si organizzarono i depistaggi, le prove false. Tutto in nome di un “fine superiore”, che si pone fuori dalla costituzione vigente. In poche parole, per la Diaz si è finalmente detto in un tribunale ciò che è vero per l'intera vicenda di Genova. Importante, certo. A patto di non perderci però a guardare troppo indietro, a stabilire se tre anni o cinque bastino per chi ha diretto una “macelleria messicana”. 

Se così facessimo resteremmo tutti smarriti peggio che prima, perché i tribunali sono anche quelli che ai manifestanti presi come vittime sacrificali li hanno condannati a quindici anni di galera per le vetrine. I conti non tornerebbero mai. La verità su Genova, storica e politica, la conosciamo già, e chi vuole la può utilizzare o meno. Assai più interessante è ciò che invece è accaduto dopo il pronunciamento della sentenza d'appello. I capi della polizia condannati non solo sono rimasti al loro posto, ma anche gli si è costruito attorno, in termini bipartisan, un salvagente da eroi. Lo ha fatto il governo, per bocca di Maroni, e lo hanno fatto molti politici, da una parte e dall'altra. A questa vicenda viene spontaneo associare quella che vede coinvolto un altro grande capo, dei carabinieri questa volta, il Generale Ganzer. 

La pubblica accusa, dopo aver ricostruito attraverso una impressionante serie di riscontri l'attività illegale di 17 appartenenti ai Ros capeggiati dal Generale, ha chiesto per lui 27 anni di condanna per traffico internazionale di droga e altri gravi reati. Ora il tribunale dovrà pronunciarsi, ma nel frattempo Ganzer ha dichiarato “continuo a fare il mio lavoro con serenità”. A non essere “sereni” sono tutti quelli che hanno, loro malgrado, a che fare con lui. E' dunque mai possibile che tutto il gruppo di comando del Raggruppamento più potente dei carabinieri sia sotto accusa, e possa, mentre c'è il processo, continuare a ricoprire il ruolo di prima, che non è propriamente quello da impiegati del pubblico impiego, ma di chi ha a disposizione prerogative che tutti gli altri cittadini non hanno? Dalle intercettazioni alle armi, dal potere di inquinare le prove a quello di intimidazione verso i giudici. Anche per lui dunque, stesso trattamento di quelli della Diaz: è ancora dov'era, difeso e omaggiato dalla politica. Ora, se in un paese l'unica categoria che rimane sempre al suo posto nonostante sentenze gravissime di condanna come quelle in questione, è quella che comprende Forze armate, carabinieri e polizia, cosa sta veramente accadendo? Per i politici inquisiti si chiedono e a volte si ottengono le dimissioni. Se questo non accade monta la polemica pubblica. I giornalisti rischiano il posto se vengono condannati, i magistrati anch'essi vengono sospesi o dimessi o cambiano mestiere. Non parliamo poi dei cittadini normali. Ma poliziotti, carabinieri e militari, in particolare se sono pezzi grossi e quindi, paradossalmente, hanno più grandi responsabilità, niente da fare. 

Può un paese dirsi anche solo un pochino democratico se gli unici che hanno l'impunità totale per reati commessi durante le loro funzioni, sono coloro che hanno “il monopolio dell'uso della forza”? Quelli che poi hanno, in ultima istanza, il potere sulle vite degli altri, dal carcere alle piazze? Credo che se questo accade il rapporto tra democrazia e autoritarismo sia pericolosamente, e sempre più, sbilanciato a favore del secondo. Giustamente da più parti si denuncia la corruzione fatta sistema. Grillo e i “viola”, Repubblica e Travaglio, si battono anche per una legge che impedisca agli inquisiti e condannati di sedere in parlamento. E a un capo della polizia che ha ordinato un massacro, lo lasciamo stare al suo posto? A un generale dei carabinieri che ha organizzato una banda armata, continuiamo ad affidare la “sicurezza nazionale”? È troppo pensare di costruire insieme una battaglia pubblica per ottenere che gli appartenenti ai corpi armati dello stato vengano immediatamente sospesi se inquisiti per reati che riguardano l'esercizio delle loro funzioni, sospesi se condannati in primo grado e definitivamente dimessi se le condanne vengono confermate? E sarebbe troppo pensare di mobilitarci tutti per le dimissioni di un Ministro degli Interni che plaude e indica nel comportamento anticostituzionale e criminale di quei vertici di polizia, la maniera giusta di svolgere i loro compiti e di essere ben visti dal governo, destinati a brillanti carriere perché depositari di inconfessabili verità?

** Luca Casarini è imputato al processo d'appello di Catanzaro per associazione sovversiva e cospirazione politica per i fatti del G8 di Genova. L'inchiesta che coinvolge oltre a lui altri 12 attivisti, si basa su documentazione fornita dai Ros del Gen. Ganzer.

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