Solo una rivoluzione ci può salvare

30 / 5 / 2018

Ci permettiamo di civettare, solo per un momento, con la celebre espressione di M. Heidegger: «Solo un Dio ci può salvare», riferita alla modernità come dominio della tecnica e distruzione del mondo ambiente in cui viviamo. Un manifesto del nichilismo moderno che, pur rilevandone la radicalità estrema e i toni paradossali, dichiara l’impotenza dell’umanità a cambiare il destino dell’essere, cosi come esso è stato concepito fin dalle origini del pensiero occidentale.

Questa posizione si ricongiunge, seppure da prospettive diverse, ai teorici neo-hegeliani della fine della storia, come Francis Fukuyama, che trova il suo compimento nell’ordine liberista e nella sovranità assoluta del mercato. Da questo punto in avanti gli eventi spazio-temporali accadono dentro un orizzonte insuperabile, in maniera del tutto circolare, come in un eterno presente senza storia o possibilità di trasformazioni radicali. Cosi la sfera del Politico, inteso come capacità degli uomini associati di trasformare la realtà, costruire nuove forme di vita, istituzioni, organizzazione sociale, o viene negata, oppure ridotta a processo meramente autoreferenziale: la ripetizione del sempre uguale, pura formalità, finzione, simulacro. Insomma, un nuovo tentativo post-moderno di negare il potere costituente e ricomprenderlo continuamente all’interno del potere costituito, che già ha attraversato tutto il pensiero reazionario borghese-capitalistico fin dall’origine della modernità.

Solo una rivoluzione ci può salvare, un nuovo potere costituente del Comune! Non uno slogan, ma una necessità vitale e biopolitica. Non un’attesa messianica e palingenetica, «aspettando Godot», bensì un processo attuale, del tutto immanente, profondamente incarnato nelle trasformazioni del modo di produzione e riproduzione della vita, della composizione di classe degli sfruttati, delle forme di dominio ed assoggettamento dei corpi e delle moltitudini.

Un potere costituente come insieme complesso di accumulo di forme di lotta e di resistenza sul piano globale, una rete di contropoteri in cui si coniugano la resistenza e l’insorgenza con la creazione di nuove forme di vita e cooperazione sociale alternativa. Contro ogni trascendenza del potere sovrano, contro ogni autonomia del politico, contro ogni ingannevole mistificazione tardo-populista.

La situazione politica in Italia: paradigma della crisi delle istituzioni rappresentative

Non è intenzione qui considerare gli eventi comico-grotteschi che hanno portato - dopo mesi di trattative, cambi di scena, promesse, inganni, repentini avanzamenti e arretramenti – ad una situazione diventata quasi schizofrenica. Neppure i più quotati autori di telenovelas o di fiction televisive avrebbero potuto donarci simile spettacolo, con la giusta dose di suspance data dai media e dal copione - ormai consolidato - dello spread, dei mercati, della superiore volontà e della trascendenza quasi teologica dell’Europa. Ma questa non è solo ironia o giusto sarcasmo: è la verità del politico rappresentativo postmoderno, svelata nella sua nuda essenza come fiction, spettacolo, significante vuoto, nel senso di Laclau e delle teorie del simulacro di Guy Debord. 

Questo significante vuoto è la democrazia rappresentativa, la legittimazione popolare nel quadro della sovranità nazionale: ogni forza e gruppo politico, ogni interesse particolare che tende a rappresentarsi come universale e rappresentante dell’interesse generale, cerca di riempirlo alla sua maniera, ripetendo il circolo autoreferenziale di un’autonomia del Politico svuotata di ogni reale significato e condannata all’impotenza.

L’andamento della vicenda italiana dimostra inesorabilmente quanto andiamo dicendo da tempo: i pilastri su cui è stato fondato il potere sovrano della modernità tra XVIII e XIX secolo - popolo, rappresentanza, Stato-nazione - nel quadro dell’ accumulazione originaria e del successivo sviluppo capitalistico fino alla creazione del mercato mondiale preconizzata da Marx, sono irreversibilmente in crisi o quantomeno mutano di funzione all’interno delle gerarchie del comando imperiale e del nuovo ordine mondiale.

Al di là di quello che accadrà nelle prossime ore, la svolta di Mattarella avvenuta domenica scorsa merita alcune riflessioni perché sono lo specchio di qualcosa che va oltre una crisi istituzionale contingente . Il veto su Paolo Savona è chiaramente stato condizionato dalla tecnocrazia neoliberista europea. Ma non possiamo, con le armi della critica, cadere nel gioco delle illusioni rappresentative. Savona è solo un pretesto: tutta la sua storia lo indica come uomo di punta del potere ordo-liberista, strenuo difensore delle grandi opere, vedi il MOSE o lo stretto di Messina, nonché uomo di Confindustria. Si tratta di un personaggio assolutamente esemplare per comprendere cosa rappresenti la Lega di Matteo Salvini, sovranista e neo-nazionalista ma nel contempo neo-liberista, particolarmente intrecciata con il capitalismo di saccheggio, fondato sull’esproprio dei beni comuni, ambientali e sociali. Basta vedere dove essa governa nei territori del nord, Veneto in testa, la nuova terra dei fuochi. Ma allora perché il blocco perentorio da parte del Capo dello Stato? Talmente devastante da operare una vera e propria scissione nel corpo istituzionale? Una scissione che spacca in due l’Italia in una sorta di referendum tra chi sta con l’Euro e l’Europa e chi è contro?

Intanto, si tratta di un problema politico: da Napolitano in poi, ma anche prima, l’Italia si sta trasformando di fatto in una Repubblica presidenziale, affidata ad un “decisore” che governa lo stato d'eccezione, ovvero l’instabilità politica permanente. Questo processo non è ancora compiuto, poiché ciò comporterebbe la modificazione della carta costituzionale: nel frattempo, in fase transitoria, il presidenzialismo sostanziale si affida ad una sorta di “dittatura commissaria”, che, direttamente o indirettamente, anche attraverso figure terze apparentemente neutre, si fa carico di obbedire agli organismi del comando capitalistico trans-nazionale.

Lo scontro-teatrino in atto, che sta destrutturando le istituzioni della vecchia Repubblica nata dalla resistenza, è uno scontro egemonico del tutto interno al capitalismo globalizzato che sta costruendo, tra difficoltà e contraddizioni di un processo non lineare né predeterminato, la sua nuova figura di comando imperiale.

Le vecchie categorie di destra e sinistra, oppure la dicotomia tra il ritorno alla sovranità nazionale o l'asservimento ai potentati politico-economico-finanziari transnazionali, non sono opposte e antagonistiche. Queste si muovono nello stesso quadro di riferimento: l’insuperabilità del modello di sviluppo capitalistico ordo-liberista, la barbarie dello sfruttamento e il dominio sulla riproduzione della vita. Sono in realtà opposizioni fittizie, speculari ed omologhe, del tutto funzionali alla riproduzione del potere, quasi una riedizione della dialettica hegeliana di cui già Marx rilevò il carattere mistificante: il “negativo” viene ricompreso e sussunto in una sintesi superiore, l’elemento conflittuale trasfigurato e mediato nella pacificazione di un ordine più alto, spezzando ogni sua forza autonoma, ogni differenza reale, ogni sviluppo delle sue potenzialità di costruire un mondo alternativo.

Ebbene, questo processo di disgregazione dei poteri costituiti, della democrazia rappresentativa, dei suoi simulacri e trappole dialettiche, rappresenta un’occasione per i movimenti. Mai come in questo momento è necessario riaffermare un’orizzonte che guardi a un nuovo potere costituente, capace di tessere la miriade di trame che ci offrono le pratiche di  resistenza contemporanea e di contropotere. Solo così potremmo rompere realmente quella visione di “fine della storia” propria del nostro tempo.