Senza risparmiare niente

Verso l'assemblea del 29 giugno allo Sherwood Festival - Padova

24 / 6 / 2014

L'annullamento del vertice di Torino è una scelta primariamente a tutela del semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea, non solo e non tanto per quello che essa rappresenta nelle personali prospettive politiche di Renzi o nel quadro politico italiano, quanto piuttosto per il ruolo che essa è chiamata a svolgere nello scenario europeo, riconfigurato dopo la tornata elettorale di maggio.

Nell'oramai imminente semestre di presidenza italiana converge un insieme straordinario di condizioni. 

Nonostante l'Italia appartenga a pieno titolo al circuito “reietto” dei PIIGGS, il premier che ne ha assunto le responsabilità di governo è ad oggi l'”azionista di maggioranza” del PSE, il che gli attribuisce nel versante europeo un peso politico-istituzionale che va ben oltre i confini nazionali. Il suo team di “giovani operatori di governo”, pragmatici e post-ideologici, forti di una solida (seppur, forse, temporanea) dotazione elettorale, rappresenta nel contesto economico e finanziario europeo la migliore garanzia di un dispositivo governamentale in grado di far fronte ai rischi di deriva economica e sociale del “Belpaese”. Una garanzia concreta che passa  attraverso una profonda ristrutturazione dei fondamentali politici e normativi, l'abbattimento delle residue garanzie lavoristiche, l'incremento della flessibilità lavorativa e della precarietà sociale, l'espulsione di migliaia di lavoratrici e lavoratori dalla pubblica amministrazione, l'attacco frontale ai processi sociali di riappropriazione che, con il “piano-casa”, arriva addirittura alla cancellazione civile (né residenza, né utenze, né accesso alle graduatorie) di chi osa occupare un'abitazione.

Ma oltre a tutto questo Renzi arriva alla presidenza europea anche con un altro asso che non tiene nella manica ma ben visibile nel taschino della giacca: la battuta di arresto che è riuscito ad imporre al Movimento 5 Stelle, preziosa merce di scambio in un'Europa in cui formazioni nazionaliste e populiste conquistano terreno vitale.

L'insieme di queste condizioni che caratterizzano la rapida ascesa  renziana precipita in un contesto europeo in cui la necessità e l'urgenza di un cambio di strategie nella gestione della crisi e dei processi ristrutturativi che essa ha generato, diventano sempre più pressanti. Un cambio di strategia che investe necessariamente un duplice piano. Un piano riguarda le politiche strettamente economiche, nel contesto delle quali la pratica dell'austerità tout court, del raschiare il fondo della vita di milioni di persone senza alcun elemento di compensazione appare sempre più rischioso e sempre meno efficace. Una gestione “utile” della crisi impone in tempi brevi un cambio di marcia, il recupero di qualche margine di manovra in più per mediare le tensioni sociali e garantire maggiori spazi di operatività alle imprese.

L'altro piano riguarda i processi decisionali che si determinano nello spazio europeo ed il loro rapporto con gli assetti istituzionali dell'Unione e dei singoli Stati.       

La crisi nel corso degli anni, pur nel quadro di decisioni e strategie che sono riuscite ad imporsi nei diversi contesti statuali, ha messo a nudo i limiti e le contraddizioni di una governance europea calata all'interno di un quadro disomogeno, caratterizzato da dinamiche economiche diversificate e da una molteplicità di assetti istituzionali che di volta in volta dovevano essere ricondotti alle decisioni assunte dalla Troika passando attraverso i processi di legittimazione e legificazione dei singoli parlamenti nazionali. Gli anni della crisi hanno evidenziato come nel medio/lungo periodo la mancata istituzionalizzazione dei processi decisionali trans-nazionali, e dei vincoli formali e di legittimazione che ne derivano, tenda a risolversi in un loro limite, in una “complicazione” che può sempre trasformarsi in uno spazio d'azione della conflittualità sociale o divenire ostaggio delle pulsioni nazional-populiste. E' prevedibile che nell'immediato futuro un “cambio di passo” nelle politiche economiche a livello europeo sia accompagnato da una rinnovata istituzionalizzazione dei processi decisionali, propagandata come allargamento della base democratica delle decisioni ma in realtà volta ad estenderne la potenzialità coattiva, a semplificarne i dispositivi esecutivi ed a ridurne le contraddizioni.

Su entrambi i piani, quello politico-economico e quello politico-istituzionale, svolgerà un ruolo determinante proprio il partito socialista europeo e, con esso, Renzi: gli orientamenti emersi dal summit del Pse che si è tenuto a Parigi confermano tale prospettiva politica ed il ruolo che Renzi a chiamato a giocarvi.

L'annullamento del vertice di Torino è, dunque, una decisione direttamente connessa alla preservazione del semestre italiano: il vertice, se mantenuto, avrebbe segnato in maniera fortemente negativa un semestre strategico, non solo per le contestazioni di cui sarebbe stato oggetto, ma anche e soprattutto perchè il vertice era inevitabilmente destinato al fallimento.

Ma è proprio dalla lettura delle ragioni che hanno portato all'annullamento del vertice che è possibile ridefinire le nostre prospettive. Se il semestre italiano di presidenza europea riveste un ruolo indubbiamente strategico non solo nel contesto italiano ma nello stesso contesto europeo, è inevitabile che esso diventi anche uno spazio ed un tempo politico dentro cui collocare l'azione conflittuale dei movimenti.

Il vertice di Torino nel corso delle settimane si stava sempre di più configurando come un importante momento di espressione conflittuale dei movimenti italiani ed europei. La decisione di annullare (o spostare) il vertice ci pone difronte alla necessità di darci da subito una prospettiva più  ampia, di cimentarci con la possibilità di costruire nel cuore del semestre italiano, una dinamica di mobilitazione generalizzata e coordinata nello spazio europeo, autodeterminata rispetto agli scadenzari istituzionali ed in grado di dare adeguata espressione nel contesto di un semestre strategico alle ragioni sociali dei conflitti che vivono nei territori europei.

Il semestre italiano di presidenza europea può costituire una “cornice” temporale e politica all'interno della quale scommettiamo in un innalzamento della capacità di mobilitazione a livello europeo, coordinando date, appuntamenti, momenti di lotta che possono trovare espressione unitaria in una o più giornate di mobilitazione diffusa e contemporanea. In questa prospettiva è importante mantenere vivo l'impianto sia di contenuti che di relazioni emerso nel percorso di avvicinamento al vertice di Torino, già consapevolmente assunto, prima ancora del suo annullamento, come un passaggio verso un autunno di grandi mobilitazioni: l'obiettivo rimane e con esso dovrebbe rimanere lo spirito che lo ha animato.

Nelle prossime settimane dobbiamo sollecitare un ampio dibattito affinchè importanti esperienze europee di movimento come Block Occupy sviluppino una riflessione fattiva sul prossimo semestre di presidenza europea e sul ruolo che esse possono svolgere, andando oltre alle specifiche tematizzazioni intorno alle quali sono nate, nel consolidamento di uno spazio comune europeo che sia in grado di generalizzare i passaggi di lotta e di potenziarli attraverso la connessione temporale e politica delle azioni. Connessione che, ovviamente, non significa omogenizzazione o annullamento delle differenze, ma, al contrario, la loro valorizzazione, perchè uno spazio europeo dei movimenti esiste solo nella misura in cui i conflitti riescono a sedimentarsi realmente e concretamente nei territori, assumendone la specificità delle condizioni materiali e politiche. 

La prospettiva di un autunno veramente “caldo”, che si organizza e cresce sin dalle prossime settimane, è una prospettiva reale, alla portata dei percorsi di lotta che ci hanno accompagnato fino a questo inizio estate: dobbiamo praticarla fino in fondo, senza risparmiare niente, perchè oggi più che mai non ci sono “rendite” utili ma solo “investimenti” da fare con la generosità del nostro tempo, delle nostre menti e delle nostre azioni (e senza perdere di vista il famoso vertice sulla disoccupazione giovanile che, semmai venisse fatto, meriterebbe sempre un nostro “#ci vediamo l'...”).