Sentenza Google: la Cina è vicina

25 / 2 / 2010

Si vorrebbe che la condanna di Milano contro Google, non fosse ispirata o non conducesse agli stessi principi che attengono alle censure della rete e nella rete operate da Pechino, Istambul o Teheran.

Lo spettro di un occidente in declino e di una nuova egemonia, economica, geopolitica, culturale di giganti asiatici o regimi teocratico-nucleari, si rende più visibile ogni giorno che passa. E il timore di “apparire” subordinati rispetto all’opinione pubblica europea e americana, viaggia anche nei commenti globali a questa sentenza. Ci si danna, dalle parti “democratiche” italiane ( sempre a favore di qualsiasi magistrato, di qualsiasi tribunale ), a spergiurare che le motivazioni che hanno spinto il giudice a comminare una sanzione penale nei confronti dei quattro manager del piu’ grande browser planetario, a cui appartiene anche youtube, per “violazione della privacy”, non sia un pessimo e grave precedente “storico”, che allinea di fatto questa parte di mondo, la nostra, alle tendenza impartita dai governi che guidano il nuovo turbocapitalismo mondiale di Cindia, o la crociata catastrofista ( e tragicamente terribile ) della rete di potere che va da Bin Laden ad Ahmadhinejad, che lambisce anche l’America Latina a causa delle colpevoli tattiche ( “il nemico del mio nemico - che come vuole tradizione sono sempre gli USA - è mio amico” ) di qualche “caudillo” del nuovo socialismo reale.

E invece è proprio così. Perché non dirlo? Perché Google è una multinazionale, tralaltro microsofizzata, e ci risulta odiosa? Perché l’oggetto della vicenda riguarda le vessazioni di un gruppo di bastardi vigliacchi contro un ragazzo down, e questo carica di indignazione le nostre coscienze che chiedono a gran voce di essere liberate dal disgusto?

Se fosse così, è bene ricordare alcune cose.

Sul fatto che Google non sia né la libertà, né la democrazia, ovviamente non ci può essere il minimo dubbio. Come tutte le imprese capitalistiche, trae profitto dalla vita, come avviene per tutto il resto del lavoro sociale contemporaneo, che è un tutt’uno con il bios, non ne rappresenta semplicemente una parte.

Allo stesso modo, proprio come chiunque si muova in rete, anche noi, con il nostro desiderio di fuggire dalle maglie di uno sfruttamento del genere, così profondo, non possiamo che mettere in campo il bios, per combattere. E cioè non possiamo che starci, fino in fondo, a giocare la partita proprio dove la gioca il capitale, cioè su lavoro, emozioni, produzione, sfruttamento e valorizzazione, che sono un tutt’uno, plasmato come nuova vita, anche antropologicamente parlando, di questa post-modernità.

Quindi è proprio per l’uso, e la produzione, e la ricombinazione che facciamo, in milioni, di Google, al di là e spesso contro le decisioni dei Ceo e dei Top Manager, che possiamo sperare in qualcos’altro che non sia il mondo che abbiamo.

Il cinese Baidù, browser che il Partito e allo stesso tempo i 400 milioni di utenti, molti contro il partito, stanno lanciando sulla rete, è una delle ragioni della guerra con gli USA. L’attacco hacker di pochi giorni fa contro Google e molte corporation ad anima Usa, è partito da università e centri del partito. Non è solo quindi mediattivismo per combattere chi, come il motore di ricerca americano, non ci ha pensato due volte, a suo tempo, a denunciare gli attivisti democratici cinesi, poi incarcerati da quell’amabile e “komunista” regime, per accaparrarsi l’entrata nel più grande bacino di utenti internet del globo. E’ azione combinata anche dello stesso regime, per produrre egemonia sul mondo. Quindi sulla vita. E quindi infine sulle borse, sulla finanza, sulla produzione di automobili e telefonini, sulle obbligazioni di stato acquistati in tutto il mondo, sull’antica osteria veneziana che ho sotto casa e che è gestita da cinesi che hanno la residenza a Napoli e non mettono un centesimo in una banca europea.

Questo cosa significa?

Che l’idea dell’armonica separazione tra bene e male, tra giusto e ingiusto, tra politica e impresa addirittura, è semplicemente assurda quando si è in buona fede, reazionaria quando diventa un prodotto ideologico.

Google non è proprietaria di Internet, e qui passiamo al secondo punto.

La sentenza di Milano afferma che essa si comporta come un “editore”. Questo significa negare che vi è la possibilità di una autonomia della rete e che in realtà Google agisce sulla nostra cooperazione, e affermare invece che la organizza e ne dispone come vuole, che non è vero.

Il giudice ha tentato di driblare la questione della proprietà dei contenuti, difficilmente, per fortuna, attribuibile a chi non ha prodotto, chiesto, pagato, visionato alcunchè ( e tralaltro rimosso da youtube rispondendo alle pressioni degli utenti ), assolvendo per la “diffamazione”, ma contemporaneamente ha condannato Google per “violazione della privacy”. Tradendo quindi la forte volontà di forzare sull’elemento né pubblico, né privato, della rete.

Né pubblico né privato: è questo che fa impazzire la politica, cioè la sovranità.

Perché è proprio nel non pubblico e nel non privato che l’unica affermazione positiva, cioè che non si erga su una negazione ( non-non), è il “comune”.

Sotto attacco oggi in rete, grazie anche a questa sentenza, c’è questo. La possibilità che si affermi un qualcos’altro non sottoposto al comando. Ovviamente per tentare di strozzare le spinte che tendono a fuggire dal controllo pubblico o privato, cosa si utilizza? La pedofilia, il pestaggio di bimbi down, il terrorismo, la pornografia, la criminalità.

Ma perché quando si devono fare leggi restrittive dei diritti, cosa si utilizza scusate? Quando da Genova a Teheran si devono massacrare e uccidere movimenti, che cosa si utilizza se non la paura e l’indignazione suscitata da campagne stampa, manipolazioni, o costruzione di simboli negativi ( una vetrina rotta diventa il simbolo di un movimento che rompe tutte le vetrine )?

Il tema dunque è chi controlla la rete perché in essa vi è potenzialmente lo spazio del comune.

Questa sentenza non vuole proteggere noi, né quando siamo down vittime di soprusi, né quando siamo bambini sottoposti allo sfruttamento, né donne e uomini alla violenza.

Essa traccia un pericoloso precedente, che ci dice molte cose: l’egemonia dell’autoritarismo, combinata alla capacità capitalistica di mettere la vita al lavoro, sta dilagando dalla Cina a tutto il pianeta.

L’America è in declino, e dopo mezzo secolo c’era anche da aspettarselo ( prima erano stati gli inglesi, gli olandesi, gli spagnoli, i francesi e quindi perché il dominio imperiale americano dovrebbe durare per sempre?) e con essa il capitalismo che è stato anche “sex, drugs & rock’r’roll, beat generation, black panther e MalcolmX, il campus di Berkley e Hollywood". Con il dominio cinese, Confucio misto a Bretton Woods e Mao, noi non abbiamo idea di che cosa accadrà.

Di sicuro, e questo spiega i tentativi di riproporre qui da noi modelli sempre più autoritari, oggi la Cina è 5000 condanne a morte e PIL più alto del mondo. Partito unico e 400 milioni che usano internet.

E chi guida il mondo, fa tendenza.La sentenza di Milano allude anche ad un’altra cosa, sempre facendo leva sulle nostre paure indotte e sull’egoistico diritto alla sicurezza come se essa fosse solo individuale e lineare, e infatti il motto classicamente utilizzato è “la libertà finisce dove inizia quella dell’altro”.

Indica la strada: un sodalizio tra pubblico e privato, contro il comune.

Si mettono d’accordo, le corporation con la politica, tendenzialmente. Tenteranno di promulgare leggi e regole che garantiscano entrambi, contro la libertà nostra di non essere sotto padrone. L’hanno già fatto, parlando di Google, in Turchia e in Tahilandia, in Giappone e in Cina, e lo stanno facendo anche qui.

Luca Casarini