Sentenza Cucchi: indagate sui Carabinieri

La Corte d'Appello chiede nuove indagini, Stefano è stato picchiato

13 / 1 / 2015

Che Stefano Cucchi "fu picchiato" e che quelle lesioni furono necessariamente legate a delle percosse è da quel maledetto 22 ottobre del 2009 una certezza per i familiari e per tutti coloro che furono impressionati dalle dure immagini del corpo esanime coperto dagli ematomi.

Stefano Cucchi, 31 anni, era entrato in buona salute nella “patria galera” solo sette giorni prima.

E' con ieri che una nuova pagina del processo pare aprirsi dopo che l'indecente sentenza della Corte d'Assise di Roma dell'ottobre scorso aveva assolto da tutte le accuse i tre agenti penitenziari, i sei medici e i tre infermieri dell'ospedale. Malgrado la sicurezza, ovunque condivisa, che botte, e tante, ci furono, quella sentenza aveva però ribaltato le certezze non trovando nessi di causalità tra il trasferimento di Cucchi dalle delicate mani dei carabinieri - durante il fermo - alle altrettanto delicate mani degli agenti del carcere di Regina Coeli.

Non sono bastati infatti due gradi di processo per conoscere la verità giudiziaria, sono rimaste solo delle domande senza risposta: chi ha commesso quelle orribili percosse, chi e perchè ha taciuto pur avendo le conoscenze e gli strumenti per capire che Stefano era stato picchiato?

Ora, nelle motivazioni della sentenza depositata, i magistrati scrivono che “le lesioni subite dal Cucchi (…) debbono essere necessariamente collegate a un’azione di percosse; e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento”. Si aggiunge che le nuove indagini dovranno prendere in considerazione “i carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi dopo la perquisizione domiciliare”.

Sarà la volta buona per avere la verità giudiziaria o dobbiamo aspettarci che quando in Italia si indaga sugli appartenenti alle forze dell'ordine, oltre a sorbirci il solito ritornello di solidarietà senza se e senza ma, e come nella vicenda giudiziaria di Aldrovandi, nonostante ”le condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive(...)” dei suo custodi notturnii colpevoli (le famose “mele marce”) preservano addirittura il posto di lavoro, poi alla fine tutto cade nel dimenticatoio?

Non possono essere momenti come questi, invece, quelle necessari per riaprire un serio dibattito politico a partire da quegli elementi di forte criticità e dai veri nodi contraddittori che emergono nella vicenda Cucchi?

La situazione delle carceri italiane, alle quali va intrecciata la riforma sulle misure cautelari, il tema dell'amnistia e dell'indulto, e la questione dell'impunità delle forze dell'ordine, devono rappresentare un'impellenza per tutti, a maggior ragione in presenza di una crisi materiale e sociale che sta aumentando il numero dei nuovi poveri e nell'assenza di alternative, se non delinquenziali, alla miseria.

Questo dibattito politico nel paese, per via di convergenze giustizialiste in materia di controllo e sicurezza e un'oggettiva difficoltà nel produrre alternativa a questo schematismo, è quasi del tutto scomparso nonostante l'emergenza carceraria e l'aumento dei suicidi in carcere. L'Italia è pur sempre lo Stato che può vantare il triste primato di essere stata condannata dalla Corte Europea per aver sottoposto i detenuti a trattamenti inumani o degradanti, non dissimili dalla tortura.

Sul fronte invece dei troppi episodi di abuso di potere degli agenti in divisa, ancora pochi e isolati sono coloro che hanno il coraggio di denunciare quel clima di impunità e omertà all'interno delle forze dell'ordine che troppo spesso viene silenziato.

Probabilmente nemmeno questa volta emergeranno dei veri colpevoli e saranno svelate quelle verità scomode che grazie alla macchina micidiale fatta di repressione e omertà, di depistamento e (voluta?) caoticità che l'apparato dello Stato sa essere, fanno dire che la morte di Stefano Cucchi rimane un Omicidio di Stato.