Se anche la Libia trema, trema la Fortezza Europa

Il Colonnello Gheddafi nella morsa delle rivolte. Brucia il Palazzo del Governo. E’ il momento di far cadere anche gli accordi con la Libia

21 / 2 / 2011

Gheddafi trema insieme ai Raìs del Maghreb e del bacino orientale.
In giornata le fiamme sul Palazzo del Governo, il simbolo di un’era e del controllo militare e politico sui migranti nel Mediterraneo.
E la Libia, le piazze della Grande Repubblica (Jamāhīriyya) Araba di Libia Popolare e Socialista, è a doppio filo legata all’Europa che intorno al controllo dei migranti ha piazzato interessi e businness nell’altra sponda della frontiera Sud (da Eni a Finmeccanica).
Il crollo del regime chiama immediatamente in causa il Vecchio Continente delle frontiere e dei pattugliamenti di Frontex, dei finanziamenti ai campi di detenzione e dei risarcimenti per le vecchie mattanze coloniali. Così la Fortezza Europa trema, tremano le sue diplomazie.
Quella della Fortezza è una definizione che, esprimendo efficacemente il portato di violenze e barbarie che i confini europei hanno messo in campo nella gestione dei controlli di frontiera, poco ci dice della straordinaria potenza messa in campo dalla mobilità, della sfida continua che preme ed attraversa in mille modi ed in mille forme i confini.
Le mura di quella fortezza non sono mai state ferme, mai immobili, ma si sono nel tempo proiettate all’interno delle nostre terre, nel cuore delle nostre città e soprattutto oltre lo spazio europeo, oltre la borderline di Schengen, fino al cuore della Libia per esempio, fino a costruire, negli ultimi due anni, un vero e proprio sistema di pattugliamento congiunto, di respingimenti arbitrari, di militarizzazione esterna negoziata con il dittatore a colpi di milioni di euro provenienti proprio dalle nostre tasche.

Ma oggi, dopo l’Egitto e la Tunisia, dopo lo Yemen, ed il Bahrein, dopo le scosse che muovono l’Iran ed il Marocco, inaspettatamente quel dittatore, il Colonnello Gheddafi, che ha saputo approfittare da vero stratega della ricerca ossessionata di un accordo sull’immigrazione da parte del Governo italiano, da spendere pubblicamente come fine dei movimenti migratori verso il nostro paese, è sull’orlo della caduta, è di fronte ad una esplosione di rabbia senza precedenti, ad un condensato di rivolte che, da Bengasi ad Al Beida pongono una istanza democratica, chiamando immediatamente in causa l’Europa ed i suoi confini.

Intorno alla Libia ruota infatti il perno delle strategie di "contenimento" dell’immigrazione del nostro paese: la politica dei respingimenti, la messa in mostra degli apparati militari euro-mediterranei. Non si tratta, lo sappiamo, di un vero confronto, non solo per l’asimmetria evidente tra i dispositivi di controllo messi in campo ed i desideri di libertà che invece viaggiano spesso su barche fatiscenti e carrette alla deriva, ma anche e soprattutto perché quello scontro, quello che da ormai oltre un decennio si gioca in mezzo al Mar Mediterraneo, non ha valore rispetto alla reale dimensione ed alle rotte vere percorse dai migranti che raggiungono il Vecchio Continente.
Ma quella frontiera, spettacolarizzata e militarizzata, è stato il più importante terreno politico di negoziazione sull’immigrazione, di costruzione della figura del "clandestino"-nemico pubblico, di evocazione, in questi anni, del pericolo invasione. Si tratta del più grande strumento di costruzione di una idea di cittadinanza gerarchica e stratificata che ha lavorato anche e soprattutto all’interno dell’Europa che abitiamo.

Così mentre il Palazzo brucia quell’accordo trema, messo in scacco da migliaia di giovani che con la loro spinta per la democrazia e la libertà stanno immediatamente chiamando in causa le diplomazie europee e mondiali complici del regime e preoccupate di ripristinare la "stabilità" dei loro interessi a Tripoli, mentre anche la capitale brucia.

Guardiamo a Tripoli ma senza stare immobili. Perché in queste settimane ciò che accade, in Maghreb ed in Libia, chiama noi tutti direttamente in causa. Non per tifare i nostri coetanei nord-africani, ma per raccogliere qui la loro spinta, quell’esercizio di libertà, di auto-determinazione, di scelta sul presente e sul futuro che hanno messo in campo. L’altra sponda del Mediterraneo ci propone una sfida immediata. Democrazia e trasformazione dicono in Libia. Aprendo le porte ad inedito spazio per aggredire le costrizioni alla libertà di scelta e circolazione anche all’interno dell’Europa.
Già iniziano a prendere forma le prime iniziative per la caduta del Colonnello. Si apre l’occasione per tutti di essere protagonisti qui in Europa di un enorme cambiamento: welcome

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