In 25.000 classi è stato bloccato lo scrutinio finale, posposto
di qualche giorno, niente di rivoluzionario, per carità, ma la
riproposizione di una forma di lotta che esce dagli schemi
tradizionali del sindacalismo, anche di quello di base che troppo
spesso va a scimmiottare le forme di lotte tradizionali, che sono
state svuotate di credibilità e di forza nel corso del
tempo.
Uno sciopero che ha
prodotto la formazione in migliaia di Istituti scolastici di casse di
mutuo soccorso o di resistenza, che hanno coinvolto sicuramente oltre
100.00 lavoratori della scuola, permettendo di sostenere
economicamente gli scioperanti, ma dimostrando anche fattivamente una
larga disponibilità all'iniziativa, quando questa assume una
dimensione concreta ed efficace, almeno sul piano simbolico,
abbandonando la stantia ritualità di uno sciopero generale dietro
l'altro.
Uno sciopero che ci ha permesso di richiamare l'attenzione sociale e collettiva - è stato presente sui media locali e nazionali per oltre 10 giorni - sullo smantellamento della funzione pubblica della scuola, in atto da almeno 10 anni, che ci ha permesso di rilanciare il concetto di Scuola Bene Comune e sul fatto contingente - la manovra finanziaria - che penalizza i lavoratori della scuola con un taglieggiamento medio annuo di 1.600 ¤ ma che arriva alla bella somma complessiva di 30.000 ¤ per gli insegnanti a fine carriera.
Va aggiunta un'ulteriore considerazione sul piano della prospettiva di lotta contro la destrutturazione della scuola pubblica e del forsennato attacco alla qualità della vita: per la prima volta - dopo troppi anni - si vede la disponibilità collettiva a riformare comitati di agitazione e lotta nelle singole scuole, aldilà e oltre le sigle sindacali, lavoratori della scuola che si rendono disponibili a lavorare in rete, per ottenere informazioni e non perdere i contatti in un lavoro - da sempre nella scuola, ma oggi ancor di più - flessibile, mobile e precario.
Lo sciopero con il
blocco degli scrutini è stato anche un atto d'orgoglio
professionale: il canto del cigno di una funzione/mestiere - quella
dell'insegnante - tecnologicamente obsoleta? Certo, come si può
negare che la rivoluzione informatica e comunicativa non stravolga una
professione che ha il suo significato nella comunicazione e nella
trasmissione di informazioni e valori socialmente acquisiti in forma
dominante o critica. Difficile e fuori tempo massimo è
l'abbarbicarsi sull'insostituibile bisogno/necessità della figura
dell'insegnante specificatamente qualificato, anche qui stiamo per
diventare tutti jolly, insegnanti buoni per un'ampia fascia di
materie, pronti a coprire un buco nella catena della
educazione/formazione sociale e soggetti ad essere sostituiti alla
bisogna.
Si registra un male
di vivere nella scuola, uno spaesamento soggettivo che si prova
quotidianamente, che rende difficoltosi i rapporti, la comunicazione,
la lotta anche per la difesa del proprio status sociale, tanto che il
tritacarne mediatico ci ha ridotto a fannulloni o a reduci della
generazione 68/77. Un atto d'orgoglio, quindi, o un possibile salto di
qualità nel prendere in mano il proprio destino e ruolo sociale? Lo
potremo vedere già da settembre, qui, nel Veneto, abbiamo creduto da
sempre a questa forma di lotta e i risultati sono andati oltre le
aspettative, sopratutto nel ritrovato senso di solidarietà, di
trasversalità e di condivisione, tra il personale, gli studenti, con
gli spaesati genitori, sulle cui spalle graveranno tutti gli oneri
economici della ristrutturazione del sistema scolastico e che
determinerà la qualità dell'insegnamento a cui ciascuno potrà
avere accesso.
E' stato una esperienza complicata, complessa, un work in progress, un arricchimento soggettivo ed un riconoscimento sociale diffuso che rimane nel nostro bagaglio e ci permetterà di la nuova stagione con una grinta che ci eravamo scordati da tempo.
Si può profilare
una nuova stagione di protagonismo sociale nella scuola a partire
proprio dalle esigenze, necessità, istanze, deficienze oggettive dei
singoli Istituti e territori. Certo non un processo automatico e
lineare ma piuttosto caotico e diffuso a macchia di leopardo nei
territori, situazione che viene determinata dalle forme della
mediazione politica e sociale ormai assai differenziata, dalla
presenza di una soggettività che sia in grado di muoversi in
sintonia con la contraddittorietà di questa fase politica e
sindacale caratterizzata da un diffuso disorientamento che consegue
il venir meno della dialettica politica tra le nostre esigenze di
rinnovamento e avanzamento sociale e la gestione politica della Cosa
Pubblica nell'epoca del dominio della Tecnica di Governo e
dell'imposizione dei parametri di compatibilità economica propri
della Globalizzazione, che hanno spazzato le presunte diversità tra
una gestione della Politica di Governo di destra o di
sinistra.
Giuseppe Zambon -
Centro studi per la scuola pubblica