Scuola - Dal tritacarne mediatico alla riscoperta del piacere del lottare

28 / 6 / 2010

In 25.000 classi è stato bloccato lo scrutinio finale, posposto di qualche giorno, niente di rivoluzionario, per carità, ma la riproposizione di una forma di lotta che esce dagli schemi tradizionali del sindacalismo, anche di quello di base che troppo spesso va a scimmiottare le forme di lotte tradizionali, che sono state svuotate di credibilità e di forza nel corso del tempo.
Uno sciopero che ha prodotto la formazione in migliaia di Istituti scolastici di casse di mutuo soccorso o di resistenza, che hanno coinvolto sicuramente oltre 100.00 lavoratori della scuola, permettendo di sostenere economicamente gli scioperanti, ma dimostrando anche fattivamente una larga disponibilità all'iniziativa, quando questa assume una dimensione concreta ed efficace, almeno sul piano simbolico, abbandonando la stantia ritualità di uno sciopero generale dietro l'altro.

Uno sciopero che ci ha  permesso di richiamare l'attenzione sociale e collettiva - è stato presente sui media locali e nazionali per oltre 10 giorni - sullo smantellamento della funzione pubblica della scuola, in atto da almeno 10 anni, che ci ha permesso di rilanciare il concetto di Scuola Bene Comune e sul fatto contingente - la manovra finanziaria - che penalizza i lavoratori della scuola con un taglieggiamento medio annuo di 1.600 ¤ ma che arriva alla bella somma complessiva di 30.000 ¤ per gli insegnanti a fine carriera.

Va aggiunta un'ulteriore considerazione sul piano della prospettiva di lotta contro la destrutturazione della scuola pubblica e del forsennato attacco alla qualità della vita: per la prima volta - dopo troppi anni - si vede la disponibilità collettiva a riformare comitati di agitazione e lotta nelle singole scuole, aldilà e oltre le sigle sindacali, lavoratori della scuola che si rendono disponibili a lavorare in rete, per ottenere informazioni e non perdere i contatti in un lavoro - da sempre nella scuola, ma oggi ancor di più - flessibile, mobile e precario.
Lo sciopero con il blocco degli scrutini è stato anche un atto d'orgoglio professionale: il canto del cigno di una funzione/mestiere - quella dell'insegnante - tecnologicamente obsoleta? Certo, come si può negare che la rivoluzione informatica e comunicativa non stravolga una professione che ha il suo significato nella comunicazione e nella trasmissione di informazioni e valori socialmente acquisiti in forma dominante o critica. Difficile e fuori tempo massimo è l'abbarbicarsi sull'insostituibile bisogno/necessità della figura dell'insegnante specificatamente qualificato, anche qui stiamo per diventare tutti jolly, insegnanti buoni per un'ampia fascia di materie, pronti a coprire un buco nella catena della educazione/formazione sociale e soggetti ad essere sostituiti alla bisogna.
Si registra un male di vivere nella scuola, uno spaesamento soggettivo che si prova quotidianamente, che rende difficoltosi i rapporti, la comunicazione, la lotta anche per la difesa del proprio status sociale, tanto che il tritacarne mediatico ci ha ridotto a fannulloni o a reduci della generazione 68/77. Un atto d'orgoglio, quindi, o un possibile salto di qualità nel prendere in mano il proprio destino e ruolo sociale? Lo potremo vedere già da settembre, qui, nel Veneto, abbiamo creduto da sempre a questa forma di lotta e i risultati sono andati oltre le aspettative, sopratutto nel ritrovato senso di solidarietà, di trasversalità e di condivisione, tra il personale, gli studenti, con gli spaesati genitori, sulle cui spalle graveranno tutti gli oneri economici della ristrutturazione del sistema scolastico e che determinerà la qualità dell'insegnamento a cui ciascuno potrà avere accesso.

E' stato una esperienza complicata, complessa, un work in  progress, un arricchimento soggettivo ed un riconoscimento sociale diffuso che rimane nel nostro bagaglio e ci permetterà di la nuova stagione con una grinta che ci eravamo scordati da tempo.
Si può profilare una nuova stagione di protagonismo sociale nella scuola a partire proprio dalle esigenze, necessità, istanze, deficienze oggettive dei singoli Istituti e territori. Certo non un processo automatico e lineare ma piuttosto caotico e diffuso a macchia di leopardo nei territori, situazione che viene determinata dalle forme della mediazione politica e sociale ormai assai differenziata, dalla presenza di una soggettività che sia in grado di muoversi in sintonia con la contraddittorietà di questa fase politica e sindacale caratterizzata da un diffuso disorientamento che consegue  il venir meno della dialettica politica tra le nostre esigenze di rinnovamento e avanzamento sociale e la gestione politica della Cosa Pubblica nell'epoca del dominio della Tecnica di Governo e dell'imposizione dei parametri di compatibilità economica propri della Globalizzazione, che hanno spazzato le presunte diversità tra una gestione della Politica di Governo di destra o di sinistra.
Giuseppe Zambon - Centro studi per la scuola pubblica