Salvare il Carcere ?

15 / 2 / 2012

Dopo la blindatura alla Camera attraverso il voto di fiducia è stato convertito in legge - con massicce defezioni sia nel Pdl che nel Pd - il decreto che la ministra Severino ha provveduto a convertire anche nella sua proposizione mediatica: da svuota-carceri a salva-carceri. Un guizzo creativo in replica alla prevedibile opposizione forcaiola di Lega e Idv che accusano il Governo di correità con la delinquenza e di promulgare un'amnistia mascherata: Di Pietro non dimentica mai di essere stato poliziotto prima che pubblico ministero e Bossi dimentica facilmente le complicità sistematicamente offerte in tema di leggi ad personam. Soprattutto un messaggio forte e chiaro a tutti coloro che individuano in politiche di decriminalizzazione e depenalizzazione gli strumenti necessari a rendere tollerabile la vita all'interno del circuito penitenziario. Il carcere va salvato: deve rimanere - e rimarrà - l'asse portante della risposta sanzionatoria al comportamento deviante, nessuno si deve preoccupare. Fatta eccezione per i 70.000 detenuti compressi in un apparato logistico nella maggioranza dei casi fatiscente e al di sotto della soglia minima di dignità, strutturato per poco più di 41.000 unità.

In concreto le uniche misure effettivamente deflattive sono due. La prima volta a ridurre il cosiddetto effetto “porta girevole”, il fenomeno per cui si stima che ogni anno circa 21.000 cittadini entrino in carcere per due, tre giorni: il tempo che serve al pm per convalidare il fermo e disporre la scarcerazione. Ora, per quanto riguarda i reati di competenza del giudice monocratico, l’udienza di convalida dovrà avvenire non più entro 96, ma 48 ore, tempo durante il quale i fermati saranno trattenuti nelle camere di sicurezza di questure e caserme. Per quanto riguarda la custodia cautelare in attesa del rito direttissimo - con l’esplicita esclusione degli arrestati in flagranza per scippo, rapina ed estorsioni semplici - il magistrato avrà tre opzioni: la detenzione domiciliare, la cella di sicurezza, il carcere. La seconda misura estende da 12 a 18 mesi la soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare prevista dalla legge 199 del 2010 (guardasigilli Alfano). Il ministero stima in circa 3.300 il numero dei soggetti destinati a usufruire di questo provvedimento. Postulato che il numero dei detenuti cresce di circa 800 unità al mese è facile calcolare in quanto tempo l’effetto deflattivo esaurirà la sua funzione concreta.

Altra misura di rilievo è il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, di cui si prevede la chiusura entro febbraio 2013, ma vale sottolineare l’integrazione delle risorse finanziarie pari a circa 57,27 milioni di euro per l’adeguamento, potenziamento e messa a norma di infrastrutture carcerarie in attesa che venga rimesso in discussione il ricorso in via prioritaria alle procedure in materia di finanza di progetto per la costruzione di nuovi edifici penitenziari. In quelli vecchi nel frattempo, in cui vengono dallo stesso personale di custodia denunciati evidenti problemi di riscaldamento, in questi ultimi giorni di gelo intenso sono tre i detenuti morti nel giro di poche ore.

Nessuno svuotamento quindi ma, come già sottolineato in queste pagine, solo poche migliaia di detenuti potranno affrontare il vaglio, caso per caso, della possibilità di trascorre presso il proprio domicilio l'ultima parte della pena. Si vedrà se avrà attuazione il recupero dell’ipotesi di affidarsi al capitale privato per edificare e gestire nuovi posti letto, mentre sparsi per il Paese sono una dozzina gli istituti completati e lasciati andare in rovina. Vecchie e dismesse carceri nei centri storici verrebbero avviate a destinazione commerciale in cambio della costruzione di nuovi penitenziari nelle periferie. Con il pericolo concreto che le politiche penali subiscano l’ingerenza delle società private, in spregio del diritto interno e internazionale.

La vera e preoccupante novità è invece la determinazione a trattenere i fermati per il tempo interminabile di 48 ore “presso idonee strutture della polizia giudiziaria”, vale a dire le famigerate camere di sicurezza troppo spesso teatro di violenze e abusi, dove è impossibile garantire igiene e alimentazione, dove è verosimile si materializzerà la tensione che questo provvedimento ha già provocato tra le forze dell’ordine. Ma attraverso l’uso delle quali il ministero punta a risparmiare circa 375 mila euro al giorno sul mantenimento dei detenuti. Pochissime e timide le prese di posizione contro questa scelta irresponsabile e criminale, così come poche e sommesse sono finora le prese di posizione in ordine al superamento della vergogna dei sei Opg nei quali sono oggi internati 1510 pazienti. Nobile determinazione sulla carta, ma assolutamente incerta rispetto alle norme di attuazione della messa in funzione delle “nuove strutture” (per le quali sono già stanziati 180 milioni di euro) che rischiano di essere veri e propri nuovi manicomi, magari piccoli e graziosi, ma in palese contrasto con lo spirito e la cultura espressi dalla legge 180 che ha abolito nel '78 gli ospedali psichiatrici. Con il rischio che al personale medico e paramedico venga nuovamente imposto un ruolo di custodia, considerato che per la sorveglianza è prevista solo una rete esterna.

Contestualmente alla conversione in legge del decreto dai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria viene rimosso Franco Ionta, fallimentare ancorché plenipotenziario protagonista del piano emergenza carceri varato dal Governo Berlusconi nel gennaio 2010, collocando al suo posto Giovanni Tamburino, fino a ora presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, affiancato da Luigi Pagano, già “padre” del carcere modello di Bollate. Pedigree da democratici riformatori, questi nomi per il momento li possiamo associare solo ai trasferimenti disposti dal Dap ai danni di alcuni degli arrestati dai giudici torinesi all’interno dell’operazione di criminalizzazione giudiziaria delle proteste in Val di Susa. Sono almeno cinque gli attivisti trasferiti lontano dalle famiglie e il motivo starebbe nell’aver fatto pervenire all’esterno missive in cui denunciavano lo scadimento delle condizioni di detenzione.

Il cerchio si chiude qui. Salvare il carcere significa nemmeno un passo indietro sulla strada dell’applicazione della sanzione penale alla devianza e al conflitto sociale. Significa paralizzare qualsiasi pulsione riformatrice delle norme che governano i principali veicoli di ingresso in carcere: i flussi migratori e la circolazione delle sostanze stupefacenti. Significa salvaguardare la Fini-Giovanardi sulle droghe e la Cirielli sulla recidiva, mantenere lo stato di estrema difficoltà di accesso alle misure alternative, privare la figura del garante dei diritti dei detenuti (laddove in essere) di qualsiasi potere effettivo, confinare nel limbo l’introduzione del reato di tortura, rimuovere dalla discussione politica qualsiasi ipotesi di amnistia e indulto. Il futuro si configura così come un più ampio e rinnovato circuito penitenziario, magari deputato alla riproduzione del profitto privato. Il presente è quello di una magistratura che, finalmente allontanati dalle proprie caviglie i pitbull della precedente compagine governativa, può con rinnovata tranquillità gestire la necessità del carcere in seno a un’operazione spudoratamente politica come è quella ordita dagli uffici giudiziari torinesi, rafforzando la legittimità dell'azione penale contro i movimenti.