In un paese in cui il presidente del
consiglio, come i dittatori al centro delle rivolte di questi mesi, "ha
confuso l'Io con la nazione", concentrando il suo potere attorno al
"culto della personalità", si è persa la facoltà di ritrovare noi
stessi, la nostra storia e quindi il nostro futuro.
La
situazione delle donne è solo la punta dell'iceberg del degrado generale
di cui in molte e molti si iniziano a preoccupare solo ora. Non sono
bastati i tagli alla sanità, all'istruzione, al welfare, la fine
dell'informazione libera, il collasso della democrazia. Abbiamo avuto
bisogno dello scandalo, delle foto di una minorenne sui giornali. I
famosi "indifferenti" allora si sono svegliati. Non di fronte ai morti
nel Mediterraneo, non per le violenze nei CIE, non per la miseria che
vediamo per la strada, la discarica a cielo aperto di Napoli o per la
tragedia e la rivoltante speculazione che ne è seguita a L'Aquila.
E nella manifestazione del 13 febbraio
le donne hanno riconvertito lo scandalo inondando le piazze e
spalancando le porte cigolanti che rinchiudevano le proteste sociali.
Dopo l'emozionante giornata è iniziato
il mormorio sulle "solite" divisioni nel movimento delle donne. Invece
di farci spaventare dalla mancanza di unitarietà dei nostri pensieri e
percorsi politici questa volta potremmo piacevolmente sorprenderci per
la varietà delle nostre posizioni: in una situazione in cui il
ragionamento politico è difficilmente rintracciabile nei numerosi
discorsi, interviste e comizi dei politici di professione, i confronti
nei movimenti delle donne sono una boccata d'aria fresca, a patto che
non frammentino il percorso verso la prima meta comune: riappropriarci
dei discorsi e delle politiche per le donne.
Perché abbiamo voglia di discutere, di
ritrovarci in una situazione dalla quale abbiamo capito tardi di essere
uscite: quella in cui ci si può confrontare, dibattere, separare. In
cui i diritti di base, la dignità non sono messi in discussione.
Smettere di essere costrette a stringerci intorno a rivendicazioni
elementari:maternità consapevole e diritto a non essere licenziata
perché si è incinta. Vogliamo parlare della RU 486 e della sua
diffusione, dell'ampliamento dei diritti civili a single e gay, della
procreazione assistita. Insomma di quegli argomenti per cui è ancora
storicamente accettabile discutere.
Le donne hanno ricominciato a parlare
di se stesse, di dignità, di diritti. Il diritto alla non
discriminazione prima di tutto, alla "sessualità libera", ma libera da
cosa? Innanzitutto libera da tutto ciò che sesso non è. Il sesso per il
potere, per la posizione sociale o per la procreazione. Ci troviamo di
fronte due alternative, espressione della doppia morale, quella pubblica
e quella di palazzo. Per le donne comuni il sesso legato alla
procreazione, come nel grigio revival delle leggi fasciste sulla
maternità rappresentato dalla proposta di legge Tarzia nel Lazio. Per
altre donne, il sesso può essere legato al conseguimento di posti
importanti e ben pagati, posizioni di "rilievo". Scompare la possibilità
di essere donne e basta.
Quando il sesso e la morale sono al
centro del dibattito si creano contrapposizioni, rotture. Ma non saranno
le fratture interne alla discussione a rompere il movimento, perché il
movimento è unito dalla voglia di parlare e di riaprire cassetti chiusi
da troppo tempo. Questa volontà è la nostra forza, quella che terrà di
nuovo insieme le donne.
Per questo abbiamo deciso di tornare
in piazza l'8 marzo, per tenere vivo uno spazio in cui si discuta di
pratiche comuni che rivendichino e agiscano la libertà di ogni donna.
Casa delle Donne Lucha y Siesta, Action_a, associazione per i diritti in movimento
Casa delle Donne Lucha y Siesta, Action_a, associazione per i diritti in movimento