Roma 14 dicembre: un racconto da Brescia

17 / 12 / 2010

Ci siamo andati a Roma il 14 dicembre, noi di Brescia, l’Associazione e i migranti della lotta per la sanatoria e la regolarizzazione.
Abbiamo voluto andare anche se eravamo a rischio di altre imboscate della polizia - un pulman con tanti migranti irregolari che di notte attraversa mezza Italia - dopo che in questi giorni gli sbirri si sono portati via anche Noureddine e poi Andrej, per rinchiuderli nei centri di detenzione, e dopo che i carabinieri di piazza Tebaldo Brusato hanno lasciato morire, probabilmente soffocato da un’asma cronica conclamata, Elhdy, un uomo senegalese arrestato giorni prima e rinchiuso in una piccola cella senza riscaldamento soltanto perché non aveva più il permesso di soggiorno. Ci siamo andati anche per questo a Roma, per la rabbia e il bisogno di reagire che ci lasciano queste cose tremende.
Siamo andati a Roma perché lì saremmo stati più al sicuro che altrove, insieme a migliaia e migliaia di altre persone disposte a difendersi dalle aggressioni della polizia.

Siamo andati perché non potevamo mancare, non potevamo non essere insieme a tantissime persone come noi diverse da noi, con le nostre stesse ragioni diverse dalle nostre.
Abbiamo trovato una manifestazione immensa, una mobilitazione straordinaria. Era in strada una parte grande, incancellabile e non in vendita del Paese reale. Era nelle strade a portare la sfiducia, quella vera, a un governo eletto da una minoranza assoluta e a un Palazzo, Montecitorio, che sono un piccolo mondo separato e chiuso nei propri privilegi, intrighi, giochi di prestigio, fatto di personaggi che si affacciano alla finestra soltanto per chiamare al plebiscito ogni cinque anni, o, più spesso, per lasciare cadere sulle nostre teste tegole pesantissime.

La vita reale era in piazza a portare e a respirare voglia di libertà, determinazione nel pretendere dignità e giustizia, nel dire basta allo spettacolo immondo del potere, alla precarietà, alla rapina del futuro.
C’eravamo anche noi a Roma, gli antirazzisti e i migranti. Già, proprio i migranti insieme agli studenti e agli operai. Proprio gli immigrati, che il razzismo istituzionale indica come la causa dell’“emergenza sicurezza” e i colpevoli della disoccupazione e della precarietà del reddito da lavoro degli italiani. Gli immigrati che il razzismo istituzionale vuole usare per scatenare guerre tra poveri e per spezzare ogni legame di solidarietà. I migranti ai quali il razzismo istituzionale vuole fare pagare un costo aggiuntivo per la crisi da scaricare sulle spalle delle classi popolari: la perdita e il diniego dei permessi di soggiorno, la clandestinità, la pulizia etnica delle deportazioni.

Da mesi avevamo chiesto a Maroni un incontro, a Roma, per porre rimedio ai guasti della sanatoria del 2009. Non ci ha risposto. Anzi, lui come risposta ha mandato molta più polizia nelle strade di Brescia, a dare la caccia ai migranti in lotta. Dai giorni della gru di via San Faustino si è messo addirittura a comandare personalmente, da Roma, i reparti mobilitati come in guerra. Allora abbiamo deciso di andarci lo stesso a Roma, fino al Parlamento, da Maroni, il ministro della Paura.
Per portargli la nostra più totale e convinta sfiducia. 

A Roma abbiamo voluto esserci perché sappiamo che non sono solo i migranti a lottare contro una truffa. Nel caso dei migranti la truffa è quella della sanatoria del 2009, che è stata una pacchia per tanti approfittatori, compreso il governo, che ha cambiato le regole quando le domande di emersione erano già state presentate e dopo aver incassato milioni di euro tolti dalle tasche dei migranti.

Ma abbiamo incontrato decine, centinaia di migliaia di altri truffati in lotta nelle strade di Roma.
Sono gli studenti e i ricercatori ai quali si vuole imporre lo smantellamento dell’università pubblica spacciandolo per riforma e ammodernamento. Sono gli operai ai quali si vuole far credere che sia accettabile lo scambio tra meno diritti e più precarietà e carichi di lavoro. Sono i comitati napoletani che non vogliono più bersi insieme alle frottole i veleni portati dallo smaltimento dei rifiuti via discariche e inceneritori. Sono i comitati per l’acqua bene comune, da sottrarre alla rapina e alla truffa della privatizzazione. Sono i comitati aquilani che hanno visto il governo, la protezione civile e le imprese d’appalto del business della tragedia, che proprio mentre annunciavano miracoli e salvazione facevano piombare sulle vite e i territori delle popolazioni terremotate scosse non meno devastanti di quella delle 3 e 32 del 6 aprile 2009
Sono tutte queste realtà sociali assieme e molte altre ancora a condividere la truffa più grande: gli industriali, i banchieri, i governanti, i poteri nazionali e sovranazionali che hanno provocato la gravissima crisi di sistema in corso, che hanno speculato e realizzato profitti per decenni, ora vogliono far pagare ad altri, agli operai, agli studenti, ai migranti il costo della loro crisi. Quando non ne negano l’esistenza, parlano della crisi come di uno scherzo del destino, senza cause, responsabilità, paternità. Mentre salvano le banche con i nostri soldi, vogliono usare la loro crisi per sottrarre a tutti welfare, beni comuni, diritti, futuro, e per avere ancora di più mano libera nell’applicare le stesse disastrose e criminali ricette economiche e sociali. 

Al concentramento davanti al Colosseo siamo arrivati attorno alle 11 del mattino. C’erano già alcune migliaia di persone. Devo dire che appena arrivati ho pensato che fra tutti i manifestanti avremmo voluto, tutti noi, incontrare anche un po’ di migranti e antirazzisti in più di quelli, di Roma e di altre città, che vi abbiamo trovato, lì e per tutto il resto della giornata. Magari qualcuno in più fra i molti che tanto avevano voluto contribuire alla scrittura nei minimi dettagli proprio dell’appello nazionale che chiamava i migranti e gli antirazzisti alla mobilitazione romana del 14 dicembre. Diciamo che avremmo rinunciato molto volentieri a un po’ dell’autocompiacimento che è potuto venire anche stavolta dal sentirci, noi di Brescia, spesso nostro malgrado, avanguardia di fatto di molte lotte dei migranti in Italia.
Ma i cattivi pensieri li abbiamo lasciati da parte alla svelta, quando verso mezzogiorno abbiamo visto scendere da corso Cavour per unirsi a noi del Colosseo un corteo gigantesco di molte decine di migliaia di studenti e di ricercatori provenienti dalla Sapienza.

Anche noi ci siamo messi in marcia, nel mezzo del corteo, insieme ad almeno centomila persone, verso piazza Venezia, lungo il perimetro della zona rossa creata attorno ai palazzi del potere da un dispositivo di chiusura enorme e ostentato, fatto di mezzi blindati di ogni genere e da numerosi reparti di forze dell’ordine in assetto antisommossa.
Presto abbiamo cominciato a sentire in lontananza gli scoppi ripetuti dei petardi e delle bombe carta, i rumori degli scontri fra i manifestanti e la polizia che sbarrava la strada. Gli scontri coinvolgevano ampi e diversi spezzoni della manifestazione più avanti di dove eravamo noi e hanno punteggiato l’intero tragitto del corteo, fino alla fine, a piazza del popolo.

In continuazione, durante tutta la manifestazione, ho visto gruppi di centinaia di studenti e studentesse, universitari e anche medi, molti muniti di casco, che, mentre la tensione era già altissima e il confronto con le forze dell’ordine in atto, affrettavano il passo ai lati del corteo e si facevano largo fra la folla proprio per raggiungere le zone più avanzate della manifestazione.
Fra gli altri manifestanti intorno a noi, che sentivano e capivano gli scoppi e i rumori di quel che stava accadendo più in là, che restavano fermi e calmi in attesa che il corteo potesse riprendere il proprio cammino, non ho visto, a differenza di tante altre volte, nemmeno una persona che esprimesse in qualche modo, nelle parole o nei gesti, preoccupazione per le sorti politiche della manifestazione o disappunto verso altri manifestanti per quanto stava accadendo, per i tentativi di aprire la zona rossa creata dai contingenti di polizia.
Era come se, senza nemmeno la necessità di dirlo, fosse sentimento comune il considerare condivisibile, o almeno stavolta giustificabile e motivato, quanto in altre zone della manifestazione si stava facendo per aprire la strada, o per dare un segno forte di indignazione, di rabbia, di sfiducia radicale. Un sentimento comune che nemmeno poi, con la notizia della nuova fiducia data dal Parlamento al governo Berlusconi, ho visto soccombere alla delusione, l’ho visto anzi crescere nei movimenti del corteo, nei gesti, nelle espressioni dei volti delle persone, che a me è sembrato trasmettessero molta più incazzatura e determinazione che esasperazione nervosa.

Già mentre i fatti erano in atto nelle strade di Roma e rubavano un po’ di scena alle manfrine molto più interessate che interessanti della Politica, hanno cominciato a piovere i commenti e le analisi di acuti commentatori e portavoce. Le contrapposizioni tra i poli parlamentari si sono sciolte d’incanto e hanno lasciato il posto all’unanime condanna dei soliti pochi facinorosi violenti. I black block, gli autonomi dei centri sociali infiltrati fra gli studenti e via dicendo. E in più, se si gradisce, qualche agente provocatore mandato da Maroni fra i manifestanti.
Ecco tutto spiegato, compreso l’epilogo di piazza del popolo. Spiegazione interessata solo a trovare una scorciatoia comodissima per arrivare a rimuovere tutto in fretta, a poter dire “tranquilli, non è successo niente, va tutto bene”, sia dal punto di vista del governo che delle opposizioni, le quali viste da se stesse non possono che svolgere a meraviglia la funzione di rappresentare quel che si muove e si vuole dentro la realtà sociale.
Queste cose sì che le ho viste e sentite mille volte.
Una giornata come quella del 14 dicembre a Roma invece no.

I rimandi a scene del passato sono di nuovo soprattutto esorcismi e scorciatoie fuorvianti da una realtà che invece è viva oggi, nella propria diversità. Che è altro per mille motivi. Il primo, molto semplice: i protagonisti principali di questa giornata sono giovani e giovanissimi studenti e precari, non vengono dal passato. E la loro realtà non è la stessa di quaranta e nemmeno di dieci anni fa.
Ho assistito allo scoppio di una tensione e di una compressione sociale radicata e accumulata da tempo. Uno scoppio per certi versi prevedibile, ma sostanzialmente spontaneo, direi fisiologico, innescato, legittimato o compreso dal comune sentire della grande maggioranza dei partecipanti all’enorme manifestazione. Ho avuto la netta sensazione che questo scoppio abbia travolto anche qualsiasi scaletta degli eventi della manifestazione che gli stessi gruppi organizzati maggiori presenti, gli stessi promotori della giornata di mobilitazione, potessero aver programmato.

La straordinaria novità della giornata romana, nella sua complessità, nella sua non riducibilità a regie uniche, penso ci restituisca domande più che risposte. Più che giudizi di valore imposti dall’urgenza di separare il giusto e il non giusto, più che nette indicazioni di linea, pone di nuovo un nodo da sciogliere: come muovere nel tempo a venire un percorso politico capace di interpretare e raccogliere la rabbia e l’indignazione spontanee e diffuse esplose fragorosamente nella piazza del 14 dicembre.

Intanto rientriamo a Brescia, nel profondo dei territori padani. Viaggio di ritorno in pullman tranquillo, fortunatamente. Ho tempo per pensare che la rabbia sociale che ho visto scoppiare nella mobilitazione a Roma è in fondo anche la rabbia dei migranti, di prima e soprattutto di seconda generazione. E’ la rabbia finora in gran parte inespressa dai migranti, più difficile da esprimere per i migranti, ma forse anche più compressa e bruciante nei migranti.

Qui a Brescia la lotta per i permessi e contro la Bossi-Fini continua. Anche se è dura, la repressione è vera, pesante, vigliacca.
Torno a pensarci e credo che a Roma i migranti di Brescia, almeno per un po’, si siano sentiti meno soli nella loro, nella nostra lotta contro la clandestinità. Sarà paradossale, ma davvero si sono sentiti più protetti e più forti in mezzo a quella mobilitazione, con tutta quella tensione attorno. Hanno potuto condividere un tratto di percorso con altri compagni di altre lotte, diverse ma comuni.
Sarebbe bello se non restasse un episodio. E’ importante che non resti un episodio.
E poi anche a Roma i migranti di Brescia hanno avuto conferma di quel che già hanno sperimentato da lungo tempo nella loro città: non sono i manifestanti per i diritti, nessun manifestante per i diritti, che i migranti devono temere. Non è da loro che si aspettano un’aggressione. Le persone in lotta per i diritti, al più, talvolta affrontano la polizia che sbarra loro la strada verso lo stesso diritto al dissenso. Come è stato scritto, è la polizia che invece finisce con l’aggredire chiunque quando reprime: uomini e donne, giovani e anziani, studenti e operai, manifestanti e passanti, come in piazza del popolo a Roma.
E’ la polizia di Maroni che è sempre a caccia degli immigrati.

g.b.
Brescia, 16 dicembre 2010