Rimini - Apriamo_ci. La risposta all'intervento del Monsignor Lambiasi sull'università riminese del collettivo Black Sheep

23 / 10 / 2009

Di seguito la risposta di alcun* student* universitari rimininesi all'intervento del Vescovo di Rimini in occasione dell'avvio del nuovo anno accademico

Volevamo lodare l'intervento di Monsignor Lambiasi tenutosi il giorno 21 Ottobre presso la Cappella Universitaria di San Francesco Saverio in piazza Ferrari. Le parole di Monsignor Lambiasi sono un "fulmine a ciel sereno” con un rimbombo udibile fino alla sede centrale dell’ Alma Mater a Bologna. Non potevamo ascoltare le sue parole passivamente. Il Suo intervento conferma la lettura della crisi della nostra Università che anticipammo circa un anno e mezzo fa. La deriva della cultura in questo territorio è ormai un dato di fatto, l’Università di Rimini non riesce a produrre ragionamenti rivolti al territorio e lavora in funzione “del guadagno” relativo alle macro-economie che si generano intorno agli studenti. Basti pensare che la citazione “città del divertimentificio” è generata principalmente dalla popolazione universitaria perché vi è forte mancanza di alternative culturali in grado di spostare questa grande comunità e renderla parte attiva della città anche in maniera critica. L’ affermazione di Monsignor Lambiasi di “ipotrofia” dell’università italiana, è maggiormente accentuata in questo territorio dal menefreghismo generale delle istituzioni nei confronti di questa grande opportunità che è la nostra università.

Altro concetto chiave nella lettura della crisi culturale è quello di “stipendifico”, come afferma Monsignor Lambiasi “badando prevalentemente ad accumulare crediti ed esami”. Secondo il nostro parere questa affermazione si sviluppa analizzando la gestione interna dell’università. Questa, avendo un forte carattere aziendale, tende a generare profitto sugli studenti che vengono identificati tramite un numero assegnato (numero di matricola) e che di conseguenza tende a rapportarsi al di sopra della identità fisica individuale, comunicando tramite e-mail o cercando il confronto tramite richiesta di appuntamento con il personale sempre più raro da ottenere. La nostra università è un “non-luogo” paragonabile alla stazione centrale di Milano o alla metropolitana di Roma, un luogo fisico degradato (vedi cortile Alberti) che non si riesce a valorizzare creativamente e culturalmente e che spinge l'universitario a frequentarlo solo nelle ore di lezione, per poi chiudere i vari plessi, spingendo lo studente in quelle macro-economie costituite dall’aperitivo, dalla discoteca e dalla birra sul lungomare. Lo studente non ha alternative. Il centro storico a sua volta è una zona priva di cultura: non un cinema, non un teatro, non un punto di aggregazione che riesca a produrre cultura.

Altra piaga è la speculazione sugli affitti. Si arriva a pagare più di 300 euro per una camera singola; non esiste un piano d’ intervento per mettere lo studente in condizione di studiare tranquillamente senza il problema dell’affitto, delle bollette e del mangiare. Si alimenta in questo modo (oltre alla frode fiscale) il mercato del lavoro nero. Chi è in difficoltà economiche e crede fortemente nel proprio percorso universitario è costretto a lavorare per pagarsi gli studi. Ogni lavoro è buono, ogni mansione è accettata. Si lavora in nero, non esistono contratti di lavoro per studenti, non esistono agevolazioni per chi studia e lavora al tempo stesso. Quello che più preoccupa è la mancanza d’interesse di questa amministrazione comunale e della collettività verso l’università riminese. Monsignor Lambiasi alla città osa chiedere di prendere consapevolezza dell’importanza che riveste la presenza dell’Università a Rimini, non considerandola prevalentemente come una possibilità di guadagno e di speculazione a breve termine, ma come una realtà portatrice di valori e fondamentale per la sua crescita futura nel medio/lungo termine. Condividiamo pienamente le parole di Monsignor Lambiasi, speranzosi che si riescano a creare sinergie condivise tra i vari attori presenti sul territorio e che si riesca a trovare una nuova destinazione culturale in grado di trasformare la nostra università dalla situazione attuale “per se” in una nuova visione collettiva “in se”.

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