Resistenza - La Sesta Zona

Bisagno, Marzo, Marietta e altri racconti. Storie di una divisione partigiana.

4 / 5 / 2021

Piove e fa freddo. In montagna a fine agosto quando piove sembra già di tornare in inverno. E anche questa notte non si potrà dormire al riparo, si starà all'aperto e sulle cime, che il fondovalle e i paesi sono ormai in mano ai tedeschi e ai fascisti.

Rastrellamento.

Gli sono arrivati addosso almeno in 6.000, tra soldati tedeschi, truppe regolari di Salò e tagliagole della milizia fascista. Contro i loro 2.000 partigiani, neanche tutti armati e inquadrati.

«Pare che la 4° e la 6° brigata di Giustizia e Libertà si sono sbandate».

«Nel piacentino si sentono colpi di cannone, pare vada male per la 51° e l'87° brigata Garibaldi».

«Non dovevano star fermi a prendersi l'attacco frontalmente, così ci si fa massacrare».

Riunione del Comando della VI Zona Ligure con i comandi delle formazioni. Presenti anche due inviati del Comando Militare Regionale: il comandante Carli (che è poi l'ex generale del Regio Esercito Cesare Rossi), ed il suo vice Lorenzo Rossi (il dirigente del PCI Raffaele Pieragostini).

Dopo quattro giorni di battaglia si cerca di capire cosa sta succedendo. Senza radio né telefoni i comandi partigiani sono in condizioni peggiori dei generali del secolo precedente, che almeno potevano spostarsi sul campo di battaglia a cavallo. Qui la zona delle operazioni è un territorio enorme e loro sono a piedi, per di più devono nascondersi portandosi dietro i feriti. Arrivano alcune notizie portate da partigiani e staffette ma non possono certo comandare. Così ogni brigata combatte una battaglia a sé.

Riunione dei comandi militari, ma per la divisione garibaldina Cichero c'è solo Marzo, anche se è commissario politico. Bisagno chissà dove si sarà cacciato. Avrà preso un distaccamento e si sarà buttato nel punto dove si spara di più. 

«Quel ragazzo mi farà morire d'infarto» Pensa Marzo. 

È che quando lo vedono in prima fila i nostri si battono come leoni. E lui dice sempre che deve stare con loro, che alle riunioni posso andarci io. E spiegagli tu che c'è una gerarchia, dei rapporti, degli equilibri da tenere, cose da discutere. Niente, non capisce. Se non lo vedessi andare a messa direi che è anarchico. No, Bisagno la guerra la sa far bene, sa anche organizzare le cose, almeno a livello di divisione. Quelli in Spagna, anche i più coraggiosi, erano degli incapaci da quel punto di vista. Difatti allora abbiamo perso per colpa loro.

«Marzo come vanno i tuoi della Cichero?»

«È dura ma reggiamo. Sul Monte Prelà la brigata “Jori” ha adottato una difesa elastica, ha logorato il nemico e si è sganciata in ordine, lo stesso han fatto il battaglione “Casalini” e la 58° brigata in Val Borbera. La brigata “Berto” pare sia riuscita a fare un'imboscata ad un'autocolonna fascista ad Allegrezze, così ci hanno mandato a dire, ma mi sono arrivati solo messaggi molto sommari».

«Notizie della Coduri?»

«Solo un messaggio portato da un partigiano ieri. Pare siano fuori dall'accerchiamento».

«Naturalmente» riprese Marzo «Non vuol dire che è andato tutto liscio. Abbiamo decine di morti e abbiamo distaccamenti sbandati, in parte o del tutto. Gente a cui dici “sganciarsi” e capisce “si salvi chi può”, oppure “nascondere le armi pesanti” e loro buttano il fucile nel primo cespuglio. Il comandante Bisagno infatti in questo momento è impegnato a rialzare il morale dei partigiani laddove ci sono stati sbandamenti».

Tirar fuori le proprie magagne prima che le tirino fuori gli altri. Mettere le mani avanti. Essere umili. La divisione Cichero è la formazione più grossa della VI Zona, la più famosa, la più efficiente. Fare troppo i primi della classe attira critiche, maldicenze, attacchi. Cose da evitare. Sopratutto ora che sopra di loro non hanno più solo quelli del Comando Militare Regionale, un organismo tutto politico e lontano, in clandestinità a Genova.

Da circa quindici giorni è stato creato il comando della VI Zona ligure. Un comando che sta lì in montagna con loro e può dargli ordini.

Ora infatti prende la parola il comandante di Zona, Miro.

«Bhe, direi che nonostante tutto ze nada ben. Poi conteremo le perdite e riorganizzeremo i distaccamenti sbandati, ma intanto possiamo dire di aver retto. Abbiamo perso i fondovalle e i paesi, come ci aspettavamo del resto, ma abbiamo salvato il grosso delle formazioni».

Miro parla in italiano senza accento slavo, si sente solo la parlata veneta. Viene da Trieste, è cresciuto completamente bilingue. Marzo sa che il suo vero nome è Anton Ukmar, hanno combattuto insieme in Spagna. Quando è arrivato alla riunione Miro ha sorriso e ha portato il pugno sinistro alla fronte, nel saluto delle Brigate Internazionali. Salud!. Un saluto tra vecchi compagni, tra sopravvissuti di un'esperienza straordinaria, feroce, dolorosa.

«Compagni delle Brigate Internazionali, potete andarvene a testa alta, voi siete la storia, voi siete la leggenda» ha detto la Pasionaria quando li hanno congedati nell'ottobre del '38, sulla Rambla, a Barcellona. Ma anche le leggende invecchiano. Marzo non ce la fa più a correre su per le montagne, dietro a Bisagno e a tutti quegli altri ragazzi di vent'anni. Ormai di anni ne ha 48, passati tra galera, esilio e guerra. Miro ne ha solo quattro meno di lui. Fisicamente lo sloveno sembra sempre in forma, appena ingrassato, ma sempre lo stesso.

Sempre quello che a Madrid durante l'assedio non aveva paura di buttarsi al corpo a corpo contro i legionari e i mori di Franco. Sempre quello che dopo la Spagna è andato in Etiopia con Ilio Barontini, il loro comandante nella battaglia di Guadalajara, ad aiutare gli etiopi contro gli invasori italiani, come ora aiuta gli italiani contro gli invasori tedeschi. Ad un certo punto si diceva in giro che ci avesse lasciato la pelle per un attacco di malaria, e c'era del vero. Barontini l'aveva trovato più di là che di qua, gli etiopi gli stavano già preparando il funerale, era rigido, con la mascella serrata. I compagni hanno dovuto aprirgli i denti con la baionetta per fargli mandar giù il chinino che gli ha salvato la vita. E poi anche per lui c'è stato il campo d'internamento in Francia e ora quest'altra guerra.

Marzo lo guarda negli occhi e vede che Miro è stanco. È stanco quanto lui. 

Marzo vorrebbe solo andarsene, prendere sua moglie e la sua bambina e andare a vivere in pace, se solo esistesse un posto dove poterlo fare. Miro forse preferirebbe chiudersi da qualche parte, in compagnia di una ragazzetta con la metà dei suoi anni e di una buona scorta di vino. Ma non si può. Tocca finire il lavoro cominciato vent'anni fa, quando hanno deciso che non intendevano vivere tremando davanti ad ogni stronzo in camicia nera. 

«Condivido il giudizio positivo sulla tenuta delle nostre formazioni». Ora parla Carli, il comandante regionale. Ripete un po' di cose già dette da altri e conclude con «Signori ufficiali, vi prego di portare ai reparti i miei saluti e l'elogio per l'alto senso del dovere ed il patriottismo dimostrati in questi mesi ed in questa battaglia impari».

Signori ufficiali… reparti… alto senso del dovere…

Sì, sì grazie, facciamo pure finta che comandi questo fesso di generale del re. Che domani se ne tornerà giù a Genova a riferire ai rappresentanti dei partiti che l'han scelto per fare il comandante regionale. Saluti alla signora e arrivederci.

Finita la riunione si cena. Per modo di dire. Sono due giorni che non mangiano altro che poche prugne selvatiche, oggi la cena consiste in due o tre etti di prosciutto da dividere in ottanta persone. Un quadratino a testa, uguale per tutti e tutte, grande come la tessera di un mosaico. Il mosaico della fame. Fame, freddo, pioggia uguali per tutti e tutte. Canevari, un liberale di mezza età che è capo di stato maggiore di Zona tossisce e batte i denti, Piragostini ha le sue belle scarpe da città coperte di fango, Rolando il commissario politico di Zona ha gli occhi rossi per la stanchezza. E bisognerà anche dormirci, lì in quel bosco, in mezzo al fango e all'acqua. Don Gigetto dorme già, in piedi appoggiato a un tronco, con l'acqua che gli piove addosso e scorre sotto il colletto da prete. 

Ma prima di poter andare a dormire per Marzo c'è un'altra riunione, questa volta più discreta, in una macchia appartata. Riunione dei quadri comunisti della VI Zona. Perché possono mancare le munizioni, il cibo, il sonno, i vestiti e le scarpe, ma dove ci sono comunisti non mancano mai le riunioni. In carcere, sotto le bombe, sotto l'acqua, c'è sempre qualcosa da discutere, il cervello collettivo del partito non deve mai fermarsi.

Rolando, il commissario di Zona, parla calmo. 

«Il lavoro fatto nell'ultimo anno è stato duro ma ha portato ad ottimi risultati. Ora non dobbiamo sprecarli. Come comunisti abbiamo il dovere di essere un punto di riferimento per tutte le forze democratiche e progressive, senza settarismi, senza preclusioni, ma anche senza cedimenti. La costituzione del comando di Zona va in questa direzione e segna un salto di qualità militare e politico».

Già un salto di qualità, ma a volte a saltare caschi male. Da quando ha sentito del comando di Zona e di quale sarebbe stato il suo organigramma Marzo ha iniziato a preoccuparsi. Come farà Miro a dare ordini a Bisagno che ha vent'anni e il fuoco dentro? Un commissario di cui si fida, che dà consigli e gli mette dei limiti può andare, ma un comandante, un simile a sé ma invecchiato, Bisagno lo sopporterà? Il suo sesto senso avvisa che ci saranno problemi a non finire. 

Per questo avrebbe voluto essere nominato capo di stato maggiore della VI Zona, avere un incarico che gli permettesse di fare da tramite, da mediatore, tra il comando di Zona e quello della Cichero, cioè tra il comando di Zona e Bisagno.

Ma non possiamo fare un comando di Zona tutto di comunisti compagni! Miro comandante, Rolando commissario politico, Attilio al comando del SIP, il servizio di informazioni partigiano. Son tutti e tre dei nostri. Quindi capo di di stato maggiore Canevari che è liberale ma amico nostro e vice-comandante Bisagno che è cattolico ma amico nostro. Vedete anche voi compagni come siamo unitari, tolleranti, aperti….

Marzo ricorda che gli istruttori militari sovietici in Spagna dicevano Partizanschina, “mentalità partigiana”e storcevano il naso.

Partizanschina, fare di testa propria, decidere tutto in assemblea, mettere in discussione gli ordini, improvvisare. L'opposto del Partjnost, lo spirito di partito, che è metodo, fedeltà, disciplina. 

Ma la verità era che non avrebbero neppure cominciato né sarebbero riusciti ad arrivare fin lì senza la combinazione di Partjnost Partizanschina. Due elementi in apparenza opposti che si erano combinati in una strana alchimia sprigionando una potenza incredibile. Ma sarebbe durata?

«Dobbiamo stare attenti alle manovre reazionarie compagni. E intendo a quelle tra le nostre fila. Un gran numero di comandanti delle formazioni garibaldine è apolitico. Nella divisione Cichero solo Virgola della brigata Coduri è tesserato al partito, tutti gli altri comandanti di brigata sono apolitici. Anzi alcuni sono anticomunisti dichiarati, come Banfi della brigata Berto. Ma potremmo parlare anche di Scrivia che comanda la 58°, di Croce che comanda la Jori, forse dello stesso Bisagno… e c'è quel prete, Don Gigetto, che fa di tutto per limitare la nostra influenza, è arrivato a lamentarsi del fatto che i partigiani cantino Bandiera Rossa … insomma dobbiamo evitare di ritrovarci isolati nelle stesse formazioni che abbiamo creato».

Sguardo duro e parole nette, taglienti, con voce metallica. Attilio, il responsabile del SIP, gli occhi e le orecchie della resistenza… e del partito, naturalmente. Nella vita civile si chiamava Amino Pizzorno, 35 anni. Si è tesserato al PCI clandestino poco più di un anno fa, nel 1943, un antifascista figlio di vecchi anarchici, arrivato al comunismo frequentando gli operai dell'Ansaldo, dove lavorava come impiegato. 

«Quanto sono fanatici i neo-convertiti» pensa Marzo mentre si morde la lingua. Di fatto Attilio, l'impiegato che ha deciso di diventare l'incarnazione del Partjnost, sta attaccando lui e il suo lavoro, la sua divisione, i suoi compagni di lotta. Marzo avrebbe una gran voglia di mandarlo affanculo. Ma si morde la lingua, ha imparato che i fanatici di qualunque tipo non bisogna prenderli di petto, ma controbattere facendo capire capire che il mondo è un posto complesso e lasciare che la complessità li avviluppi e li trattenga, impedendo che facciano troppi danni.

Ma in questo caso ci pensa Rolando, il commissario di Zona, che di nome fa Anelito e di cognome Barontini, come quello della missione in Etiopia. Operaio trentaduenne, comunista con i suoi anni di carcere sul groppone, Rolando è una persona sensata.

«Compagno condivido i tuoi timori, ovviamente non dobbiamo cercare di farci isolare e si, ci sono gli anticomunisti. Ma non esageriamo, molti di questi comandanti apolitici non sono contro di noi per principio, anzi con loro Marzo può testimoniare vi siano ottimi rapporti… Del resto certe ostentazioni di canti e simboli troppo smaccatamente di partito sono state criticate dalla nostra stessa direzione nazionale».

«Confermo i buoni rapporti con molti comandanti apolitici della mia divisione» interviene Marzo «Ma non possiamo nasconderci i problemi. Problemi che sono causati dai pochi anticomunisti presenti nelle formazioni, ma anche da certi nostri propagandisti che difettano di tatto, preparazione politica e forse anche delle qualità umane per essere dei comunisti. Ad esempio il nuovo commissario della brigata Jori aveva iniziato a far distribuire sigarette solo a chi partecipava alle riunioni delle nostre cellule di partito nei distaccamenti. Per fortuna il comandante Croce mi ha avvisato e l'ho subito rimosso. Vedete anche voi che in questo caso un presunto comunista faceva danno al partito e un comandante apolitico ci ha aiutato a correggerlo».

«Uno come quel commissario andrebbe addirittura punito!» esclama Attilio.

Marzo sorride tra sé e sé. È un fanatico, ma almeno coerente, non accetta quelli che cercano privilegi. Almeno su questo andrà d'accordo con Bisagno, per tutto il resto sarà un casino. Come se non ne avessimo già abbastanza.

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Note

Sulle vicende del rastrellamento di fine agosto si veda: Giorgio Gimelli Cronache militari della Resistenza in Liguria (Genova: Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, 1985. Vol. 1.

La situazione del comando di Zona durante il rastrellamento e la riunione tra i quadri comunisti sono raccontati nell'intervista a Canevari (Umberto Lazagna), capo di stato maggiore di Zona.

La vicenda del commissario politico, subito rimosso, che negava le sigarette a chi non partecipava alle riunioni di partito è raccontata da Croce (Stefano Malatesta), comandante della Brigata Jori, in questa intervista.