Resistenza - Il prezzo da pagare

Bisagno, Marzo, Marietta e altri racconti. Storie di una divisione partigiana.

14 / 5 / 2021

Il grosso quadrimotore, un Dakota C-47 americano, sobbalza per un vuoto d'aria. Seduto nel suo ventre Rolando sobbalza. Impreca e si deve tenere alla panca su cui è seduto. Uno degli ufficiali della missione americana gli sorride ironico.

«It's ok man! Our planes are safe»

Ma vaffanculo te, 'sto aereo e tutta la tua aviazione, capitalista di merda. Pensa Rolando.

Per lui è il primo volo e sarà anche il primo lancio con il paracadute.

Per tornare dai suoi partigiani con i rifornimenti e i soldi che ha ottenuto per loro ha accettato di salire su quell'aereo e si è messo quel paracadute. Anzi quei due paracadute.

«Se primo non funziona tu apri secondo ok man

«Come sarebbe a dire non funziona? Non si aprono sempre questi affari?»

«Maybe man...»

Cazzo vuol dire maybe? Era meglio se chiedevo un passaggio sull'aereo della missione inglese, quelli mi sa che votano laburista, son mezzi compagni. Questi capitalisti yankee invece mi faranno schiantare. Frittata di commissario politico di Zona. Ecco come finisce qui.

Notte tra il 18 e il 19 gennaio 1945. Rolando sta tornando nella VI Zona con una missione americana e una inglese, accompagnate da un grosso carico d'armi, generi di conforto e da 5 milioni di Lire in banconote. Queste ultime sono il segno tangibile del fatto che il 27 dicembre 1944 il governo di Roma ha riconosciuto il CLN Alta Italia come proprio rappresentante nell'Italia occupata. Sono stati stanziati 160 milioni di Lire per la resistenza. I 5 milioni sono quanto spetta alle formazioni della VI zona ligure, tra le più efficienti in quell'inverno che ha visto la resistenza italiana ad un passo dall'annientamento. Dopo anni di guerra e miseria, con i rastrellamenti nemici che si succedono uno dopo l'altro, le rappresaglie, le confische, le case bruciate, non si può pensare che la popolazione continui a mantenere le migliaia di partigiani in montagna. Qualcosa arriva dalla rete clandestina in città, ma non basta. Gli aiuti degli angloamericani e dal governo del Sud sono diventati vitali.

Per ottenerli Rolando si è messo in viaggio con pochi compagni a fine dicembre, ha attraversato le montagne innevate fino ad arrivare alle linee alleate in Toscana. 

È riuscito a non farsi accoppare né dai tedeschi né dalle pattuglie avanzate americane. I primi che ha incontrato sono dei soldati neri della 92° divisione USA, la «Buffalo». Uno di loro ha sorriso quando ha visto il suo fazzoletto rosso e gli ha stretto la mano. «Welcame comrade! Workers of the wolrd unite!». Rolando non sa l'inglese e non ci ha capito niente. Ma ha capito di avere di fronte un compagno. Marzo, che ha lavorato in America a inizio anni Venti, gli ha raccontato della segregazione razziale e dei linciaggi. Lui e Miro in Spagna hanno anche conosciuto dei compagni afroamericani nelle Brigate Internazionali, il battaglione statunitense era comandato da uno di loro.

Nell'esercito degli Stati Uniti invece ci sono solo ufficiali bianchi, con mense, bar e persino bagni separati da quelle dei soldati neri, i quali possono entrare solo nei locali e negli spazi con su scritto «Coloured». 

Mentre aspettava che gli uomini dell'OSS, i servizi segreti USA, lo venissero a prendere Rolando ha potuto mangiare e riposare. Gli hanno dato di che saziarsi per la prima volta dopo mesi e gli hanno regalato anche un pacchetto di sigarette. Ma da come lo guardavano alcuni ufficiali ha capito che tra loro ci sono quelli che considerano i comunisti dei tiranni sanguinari quasi quanto Hitler e i suoi alleati. Da quello che ha visto lui si sente in diritto di pensare esattamente il contrario: sono loro ad essere razzisti quasi quanto i nazifascisti.

Ma vedere da vicino gli americani è spiazzante sopratutto per altri motivi. Rolando ci ha messo poche ore per capire di avere di fronte una civiltà infinitamente più ricca e avanzata di quella in cui erano nati e cresciuti gli italiani. Non solo per le file lunghissime di carri armati Sherman, di camion, di cannoni che riempiono le malconce strade sterrate del centro-Italia. Ancora più sconvolgente è la quantità e la qualità dei beni a disposizione di qualunque soldato americano. Ad esempio c'è la penicillina, quella roba bianca che sembra talco e impedisce alle ferite di infettarsi salvando i feriti. E poi gli stivaletti in cuoio e le ottime giacche, i tacchini farciti, le uova, il bacon, il latte, il caffè, caffè vero non il surrogato schifoso che da anni si beve in Italia, le sigarette, il cioccolato a non finire...

L'ufficiale dell'OSS che è venuto a prenderlo per portarlo a Roma ha sorriso trionfante mostrando le meraviglie del capitalismo a quel cencioso guerriero con il fazzoletto rosso al collo.

«In Iuessei anche operaio ha casa, radio, macchina, fridge…e presto Tiiiviii... televisione». 

Cosa cazzo è la televisione?

«È per questo che fate anche la guerra da capitalisti? Per stanare un cecchino tedesco su un campanile noi lo andiamo a prendere, voi chiamate l'aviazione e radete al suolo tutto un paese». Ha risposto Rolando stizzito.

«Per noi vita umana ha value… valore». «Si, la vita dei vostri soldati senza dubbio, quella delle nostre famiglie sotto i vostri bombardamenti molto meno».

Arrivato a Roma, Rolando ha parlato con Ercoli in persona, anzi Togliatti. Qui siamo nella legalità compagni, anzi siamo al governo, i nomi di battaglia non servono più. Il compagno segretario, la guida dei comunisti italiani, gli ha detto ben chiaro che il Sol dell'Avvenire non sorgerà a primavera. 

Gli inglesi stanno sparando sui compagni in Grecia; in Polonia e truppe sovietiche si scontrano con i sostenitori del governo in esilio a Londra. E poi c'è il compagno Tito, che ha ordinato alle sue truppe di prendersi Fiume, l'Istria e Trieste. Cosa che per vari motivi in realtà non ci aiuta. L'Italia sarà nella parte di Europa liberata da inglesi e americani, ma al confine con quella liberata dall'Armata Rossa, per di più in una posizione strategica, in mezzo al Mediterraneo. 

Insomma non fate nessuna mossa azzardata o qui finisce malissimo, come in Grecia. Certo occorre che la resistenza mostri la sua forza, che liberi le grandi città del Nord, insediando autorità che siano espressione dei partiti antifascisti. Bisogna farlo prima che arrivino gli alleati e dietro a loro i funzionari del re. Se riprendono il controllo quelli, come han fatto al Sud, della monarchia non ce ne liberemo mai. Ma, ripeto, niente mosse azzardate, il piano militare non è autonomo, ma subordinato a quello politico, che è ora un piano istituzionale. E quindi fraterna unione con i compagni socialisti e dialogo costante con i cattolici. Con i democristiani di De Gasperi ci capiamo bene, anche con il vecchio Bonomi che è presidente del consiglio si può parlare.

Bonomi… ma quel Bonomi? Quello che nel '21 Gramsci definì «il vero organizzatore dello squadrismo fascista»? Si compagno, quel Bonomi. Ed è uno specchiato democratico rispetto a Badoglio che c'era prima di lui.

«Ma dopo la liberazione che faranno i nostri partigiani? Certo li dovremo smobilitare, ma crediamo questo debba avvenire in qualche mese e tenendo una parte delle formazioni come forza di polizia...»

«Il riconoscimento ufficiale del CLN è stato subordinato alla promessa di mettere le formazioni agli ordini dei comandi anglo-americani immediatamente dopo la liberazione dei diversi territori. Molto probabilmente le scioglieranno subito… avrete un attestato e forse, si, qualcuno sarà assunto in polizia, ma a titolo personale, non come formazioni...».

Un attestato, una promessa di assunzione in polizia… e chiusa qui. Un attimo dopo la fine degli spari il vecchio stato borghese e monarchico cercherà di restaurare la «normalità». Quella stessa normalità che ha prodotto il fascismo e la guerra. E migliaia di ragazzi carichi di fame, pidocchi, testosterone e rabbia saranno sbattuti in strada con i loro stracci e i loro traumi per la violenza inferta e subita, così che i bravi borghesi possano dire «guardateli qui… i partigiani...».

Il PCI punta sulle alleanze con gli altri partiti, sull'azione nelle istituzioni, sul referendum tra monarchia e repubblica, che dovrebbe accompagnarsi all'elezione di un'assemblea costituente. Per carità tutto corretto, tutto giusto. Indubbiamente è l'unica linea realistica. La rivoluzione proletaria è fuori discussione. Ma è davvero possibile riassumere in questa strategia di partito la potenza, la varietà e la vitalità del movimento partigiano?

Prima che Rolando partisse, anzi prima che ricominciassero i rastrellamenti, all'inizio di dicembre, Bisagno ne ha combinata una delle sue. Quel ragazzo è un gran combattente, ma di politica non capisce un cazzo. Ha scritto e diffuso una circolare che riportava un po' delle solite cose che si dicono sempre; che dicono anche le disposizioni dello stesso Partito comunista: tra i partigiani niente simboli, canti o propaganda di partito, i commissari politici delle formazioni devono portare la voce di tutto il CLN. E fin qui tutto bene. Ma poi proseguiva chiedendo che tutte le riunioni delle organizzazioni di partito in montagna fossero pubbliche e sopratutto sconsigliava di iscriversi ai partiti politici!

«Io, Bisagno, tengo a far noto ai partigiani che prima di entrare a far parte di un partito bisogna essere fermamente convinti del passo che si fa. È stupido secondo me entrare a far parte di un partito senza conoscere i programmi di tutti i partiti […]. Secondo il mio punto di vista occorrono almeno 4 anni di osservazione prima di conoscere a primordi un partito».

Un ragionamento così ingenuo che solo quel paranoico di Attilio aveva potuto leggerci un complotto anticomunista. Marzo e Bini avevano buttato acqua sul fuoco. «Dai compagni, son sciocchezze di uno che non ha mai fatto politica, ci parliamo noi eh...». I vertici della federazione genovese del PCI in clandestinità si erano incazzati non poco per il fatto che un comandante delle brigate Garibaldi (e che comandante! Il migliore) scrivesse e pubblicasse quella roba. Gli altri partiti del CLN devono aver gongolato un po' per quella che consideravano una discordia in casa dei comunisti. Poi avevano letto bene e avevano smesso di gongolare. Bisagno non contestava il PCI, Bisagno contestava tutti i partiti. Diceva che non ce n'era bisogno, che bastava la democrazia partigiana, il poter fare e disfare in assemblea comandanti e commissari politici (almeno entro un certo limite). Una posizione ingenua. Ma dietro c'era tutto il discorso sulla resistenza come rivoluzione in primo luogo etica, che avrebbe cambiato il modo di essere degli italiani con l'esempio. Ne scriveva anche il compagno Bini su «Il Partigiano». A Milano, il miglior teorico del PCI nell'Italia occupata, il compagno Giorgio (il cui nome vero era Eugenio Curiel), andava anche più in là: scriveva della necessità di fare dei CLN, appena finita la guerra, una specie di consigli popolari in cui chiunque potesse discutere di quello che occorreva fare o non fare nel suo paese, nel suo quartiere, nella sua fabbrica o ufficio o tenuta agricola. Tipo i soviet, ma aperti a tutti, senza il ruolo di guida assoluta che aveva il Partito comunista in URSS  e facendo contemporaneamente le elezioni per la Costituente e tutte le altre. Una cosa strana che non era la dittatura del proletariato e non era neppure la democrazia borghese. Difatti la chiamavano «democrazia progressiva». Era un nuovo modo di intendere la rivoluzione, la partecipazione popolare come fine e non solo come mezzo. Un discorso popolare tra gli uomini e le donne della resistenza, fossero comunisti, socialisti, repubblicani, liberali o cattolici.

Ma di tutto questo Togliatti a Rolando non ha detto mezza parola. Il ruolo del partito… le alleanza… il quadro internazionale… tutto vero, tutto giusto…ma tutto così estraneo alle esperienze degli uomini e delle donne in carne ed ossa che la resistenza la stavano facendo. Come se per la politica dell'Italia liberata fossero già una parentesi chiusa, delle figure su un libro di storia illustrato, un libro del quale si era ansiosi di voltare pagina.

Perché alla fine il grosso della gente aspetta la pace, gli americani e la loro ricchezza. Non i partigiani e la libertà. 

Povera Italia. Anzi povere le nostre tante italie, operaie e contadine, con i loro santi patroni e le bandiere rosse, con la loro fame atavica e le loro speranze sempre tradite. Povere italie, cucite insieme a forza dal re; ingannate e bastonate da Mussolini; bruciate, violentate e fucilate dai nazisti e presto comprate all'ingrosso dagli americani. Un po' di cioccolata, un pacchetto di Lucky Strike e due calze di nylon… come fanno i loro soldati con le ragazze che li aspettano fuori da bar.

«Ready to go!». La voce dell'ufficiale americano strappa Rolando ai suoi pensieri. Aprono il portellone, i componenti della missione alleata si mettono in fila per il lancio. Tocca anche a lui. Oh cazzo, ci siamo...

«Allora i conti li faccio io, che son l'unico qui che abbia amministrato qualcosa che non siano i suoi pidocchi...», dice Don Gigetto seduto al tavolo nella baita del comando di Zona, estraendo un quaderno e una penna stilografica. Uguali a quelli su cui segnava i conti della sua parrocchia.

«Non mettiamo certo in dubbio l'abitudine di Santa Romana chiesa nel gestire il denaro...» dice ridendo Miro, mentre versa l'ottimo Whisky portato dalla missione inglese in un composito insieme di bicchieri, tazze e gavette che inizia a passare ai presenti.

«Ci vorrebbe un po' di ghiaccio...» suggerisce Canevari ricordando il mobiletto dei liquori nel suo salotto in città. Ma non si può avere tutto e si prende il suo bicchiere insieme agli altri.

Solo Attilio rifiuta sdegnoso la tazza che gli viene offerta, come se dentro ci galleggiasse il sangue dei popoli oppressi dall'imperialismo britannico. Miro allora ne vuota metà del contenuto nel bicchiere di Rolando, ancora mezzo congelato e pallido, dopo l'atterraggio con il paracadute. «Ecco, prendine un po' di più tu che sei ancora sconvolto. Alla salute del nostro commissario volante!». Dice prima di vuotare con un sorso la tazza mezza piena e con un altro sorso la sua gavetta piena del tutto. «Buono! Mi stanno proprio simpatici questi inglesi… lunga vita alla grande alleanza antifascista!».

Don Gigetto sorseggia dal suo bicchiere mentre fa i conti e li illustra a voce alta.

«Allora, tra poche settimane, quando torneranno tutti quelli ora sbandati o mandati in licenza, avremo circa 5.000 partigiani, di cui almeno un migliaio ha urgentemente bisogno di scarponi nuovi. Contando che dovremo comprarli alla borsa nera possiamo considerare che solo quelli ci costeranno 2 milioni e mezzo di Lire. La metà di quanto è ci è appena arrivato. Riguardo al cibo, il grano costa 600 Lire al quintale, compreso il trasporto. Fanno 4.166 quintali circa, da dividere tra tutte le formazioni e con i civili che hanno subito confische, incendi o hanno i familiari nella resistenza o in prigionia...»

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Note

Sugli accordi tra resistenza, alleati e Regno del Sud nell'inverno 1944-1945 rimando sempre al libro di Santo Peli La resistenza in Italia. Storia e critica. Torino: Einaudi, 2004.

Sul viaggio di Rolando, i rifornimenti di armi e fondi alla VI Zona ed il loro impiego ho consultato il testo di Giorgio Gimelli Cronache militari della Resistenza in Liguria (Genova: Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, 1985. Vol. 2. L'opera tratta anche della polemica di Bisagno in merito al ruolo dei partiti, riportando integralmente la sua circolare, ma sul tema è bene leggere in primo luogo il saggio di Sandro Antonini. Io, Bisagno... il partigiano Aldo Gastaldi. Chiavari (GE): Internòs, 2017. 

Sulla storia della 92° divisione USA, la “Buffalo” rimando a questo articolo di Nazareno Giusti su “Avvenire”del 9 settembre 2014.

Sul movimento degli afroamericani prima e durante la seconda guerra mondiale e il suo legame con la sinistra USA segnalo l'intervista di Shawn Gude allo storico Erik Gellman, pubblicata sul sito di Jacobin il 3 aprile 2019.

I pensieri del commissario Rolando nei confronti degli americani che “fanno la guerra da capitalisti” e della loro ricchezza, li ho ripresi dai racconti (che ho registrato e trascritto ormai vent'anni fa) di Bolide (Ero Braghin), un partigiano di Codigoro (Fe), che combatté in Liguria, in provincia di Imperia nella divisione garibaldina Felice Cascione. Rolando dall'entroterra genovese andò incontro agli americani muovendosi verso sud, in Garfagnana, Bolide si mosse invece verso Nord-Ovest, cioè in Provenza.