Resistenza - Da alpini a partigiani

Bisagno, Marzo, Marietta e altri racconti. Storie di una divisione partigiana.

7 / 5 / 2021

Quanti morti nel rastrellamento di fine agosto? 20 caduti partigiani secondo il Comando regionale, ma è chiaramente una cifra al ribasso, buona per la propaganda. In seguito qualcuno dirà 68, altri 48. Ma in fondo non importa. 

Le formazioni sono ancora efficienti, di fatto il rastrellamento è fallito. 

Sulle cime i ragazzi e le ragazze con il fazzoletto rosso al collo sono ancora in armi, con qualche martire in più da vendicare e dei prigionieri e prigioniere da liberare, scambiandoli con tedeschi e fascisti catturati.

«Han liberato la Olga e la Giulia! Loro c'erano a Cerreto di Zerba, han visto ammazzare Diego e Chicchiricchì».

Il battaglione Casalini, che stava in Val Borbera, nell'Alessandrino, ha tenuto per tre giorni la stretta di Pertuso, sbarrando il passo ai soldati di Salò. Ne hanno anche catturati alcuni e siccome erano poveracci arruolati a forza li han trattati bene e poi lasciati andare. Alla fine i nostri han dovuto ritirarsi e disperdersi. Un gruppo di feriti e infermiere è stato catturato dai tedeschi e dai soldati di Salò. Finché son stati in mano loro tutto bene, ma poi sono arrivati quelli delle Brigate Nere e se li son fatti consegnare. Quelli non ci son mai quando c'è da combattere, vengono dopo, a violentare, bruciare e fucilare. Dal gruppo dei feriti han tirato fuori Chicchiricchì, che comandava un distaccamento del Casalini; e poi Diego, che comandava la 51° brigata Garibaldi. Erano feriti tutti e due. Ai fascisti non gli è parso vero di aver preso due garibaldini famosi. Ma non gli è bastato, no, han messo al muro anche Cencio il polacco e Silurino, che era solo un ragazzino.

E si è saputo poi che Chicchiricchì si chiamava Virgilio Arzani aveva 22 anni ed era un ex-ufficiale dei bersaglieri, iscritto all'Azione Cattolica. Invece Diego si chiamava Angelo Aliotta. Era un operaio di quarant'anni, tra i fondatori del Partito comunista, i fascisti aveva iniziato a combatterli da ragazzino, ai tempi degli Arditi del Popolo. Li han fucilati insieme. E dopo che li hanno ammazzati ridevano. La Olga ha detto che cantavano «Chicchiricchì non canta più!». 

Sentiranno cantare il mitra. Di quelli non bisogna lasciarne vivo uno.

 «Pochi uomini, poche fucilate e ritirata nei rifugi, possibilmente catturare armi, munizioni e quanto il nemico sorpreso e colpito abbandona. Se veramente il nemico vuol varcare i nostri paesi dobbiamo fargli pagar cara la sua marcia».

A metà ottobre 1944 Bisagno spedisce a tutte le formazioni della Zona un elenco di indicazioni pratiche sul come affrontare nuovi rastrellamenti. Nascondere nei boschi raccolti e bestiame con l'aiuto della popolazione per evitare siano requisiti, dividersi in piccoli gruppi, colpire e scappare, nascondersi in piccoli rifugi preparati in precedenza. Logorare il nemico, evitare lo scontro frontale e continuare a disturbarlo fino a costringerlo a ritirarsi.

Anche perché molti soldati nemici di combattere ne han poca voglia in generale, di combattere i partigiani in particolare anche meno. Han mandato in zona gli alpini della divisione Monte Rosa, poveracci presi l'8 settembre e posti di fronte alla scelta tra restare nei lager o combattere per Mussolini. Ma appena arrivati sulle montagne dell'entroterra ligure capiscono che disertare è facile, basta tirare un colpo in testa all'ufficiale, se è un fascista convinto, e via! Ma più spesso si diserta tutti insieme senza preoccuparsi dei gradi. Raggiungere i partigiani è facile e una volta trovati via la divisa ed è fatta, poi chi vuole resta con loro e chi vuole va a casa sua.

Su 19.000 alpini della Monte Rosa disertano in 8.000. In tutti i reparti regolari di Salò c'è almeno un 15% di diserzioni secondo il generale Graziani che li comanda. I tedeschi, che sanno bene che razza di servi penosi si son trovati, dicono addirittura il 25%.

Marzo e Bisagno pensano che con nemici del genere i volantini e i giornali di Bini siano più utili delle armi. E così bombardano il nemico con quelli.

«Lasciate soli i fascisti prima che sia troppo tardi; venite tra noi: sentirete allora di esser tornati in Italia».

Di fronte alle diserzioni ormai in massa il comando della Monte Rosa decide di abbandonare la Val Trebbia, di ritirare i presidi da Bobbio e Gorreto, concentrando le forze a Torriglia.

È allora che Bisagno ha l'idea….

Marzo se lo vede comparire davanti in divisa da ufficiale della Monte Rosa.

«Vado a Torriglia a fare un giro, ci vediamo tra due o tre giorni»

«Ma cosa diavolo...»

«Ti ricordi cosa ha detto quell'ufficiale della Monte Rosa prigioniero? Quello che vuole passare con noi... È l'attendente del maggiore del suo battaglione, quel Paroldo, dice che è stanco di Mussolini e dei tedeschi. Io voglio parlare con il maggiore e con i suoi ufficiali, proporgli di passare dalla nostra parte»

«Ma tu sei completamente matto!»

«Pensaci Marzo… un battaglione intero… settecento uomini, con le armi, i muli, i soldi della cassa del reparto...senza morti, senza neanche sparare...»

«Di tutte le idee assurde che ho sentito...»

«Me la hai raccontata tu la storia di quel commissario politico delle Brigate Internazionali che  durante la battaglia di Guadalajara, è entrato da solo nel cortile di palazzo Ibarra e ha convinto ad arrendersi almeno un centinaio di soldati italiani»

«Ragazzo, quel compagno ha convinto si i soldati ad arrendersi, ma mentre ci stava parlando è stato ammazzato da un ufficiale fascista»

«Ma ha salvato almeno cento persone… e dobbiamo provare a fare lo stesso. Quelli della Monte Rosa non sono un branco di assassini come le Brigate Nere, son nostri fratelli ingannati o sotto minaccia che dobbiamo liberare».

«E vuoi star giù due o tre giorni? E io qui ad aspettarti come un coglione?»

«No tu devi prepararti un discorso convincente da fare al maggiore Paroldo, io farò in modo che lui voglia parlarti e tu dovrai convincerlo a passare con noi»

Dopo tre giorni di attesa che gli son sembrati secoli, Marzo sente le grida di gioia dei suoi uomini. «Bisagno è tornato!». Il commissario si fa largo tra i partigiani festanti fino ad arrivargli davanti.

«Marzo tra due giorni hai un appuntamento con il maggiore Paroldo».

Ufficialmente il motivo del colloqui organizzare uno scambio di prigionieri. Bisagno si consegna come ostaggio mentre Paroldo va a colloquio con Marzo. A poca distanza, con il dito sul grilletto per evitare brutte sorprese, sono schierate una delle compagnie della Monte Rosa e la brigata Jori della Cichero, guidata da Croce.

È il 3 novembre 1944. Marzo da fondo alle sue doti dialettiche.

«Ma come può un ufficiale italiano, un ufficiale degli alpini, dare la caccia ad altri italiani? Come potete restare al servizio degli invasori tedeschi? Ammazzare, bruciare e violentare assieme alle Brigate Nere? Alla fine della guerra verrà fuori tutto quello che sta succedendo e allora si vedranno le responsabilità...».

Paroldo tituba, parla di onore, divisa, giuramenti…

«Il giuramento che avete fatto ai fascisti e ai tedeschi dopo l'8 settembre vi è stato estorto con la minaccia di tenervi nei lager e poi quando lo avete prestato non sapevate che non sareste stati mandati contro un esercito straniero, ma contro il vostro stesso popolo insorto».

Però la legalità, la gerarchia, il dovere…

Marzo cala l'asso nella manica e fa venire avanti l'attendente del maggiore. Un ragazzo che dopo alcuni giorni con i partigiani già voleva diventare dei loro, conquistato dall'idea di darsi una disciplina, delle regole, ma senza «signorsì»,  «signorno», «at-ten-ti!», e cazzate varie.

«Ecco il suo attendente, lo liberiamo. Può tornare con lei, se lui lo desidera»

«Signor maggiore, io resto qui»

Paroldo sbarra gli occhi, il suo attendente che disubbidisce...

«Ma che succede? Ti han stregato?»

«Signor maggiore la parte giusta è questa qui… L'Italia è questa qui...»

«La parte giusta...». Cosa succederebbe al mondo se tutti quelli che hanno una divisa cominciassero a chiedersi cosa è giusto e cosa è sbagliato? Marzo incalza… 

«Signor maggiore lei ha la responsabilità dei suoi uomini.… Io le prometto che chiunque lo desidererà potrà tornare alle proprie case, gli altri potranno unirsi a noi, diventare partigiani come gli altri e combattere contro i tedeschi e i fascisti, in nome del governo di liberazione nazionale».

Forse ad un maggiore dell'esercito era meglio dirgli «in nome del governo del Re», ma a Marzo la frase gli si sarebbe strozzata in gola. Va bene fare il commissario politico, ma c'è un limite anche alle stronzate che riesci a dire per vincere una guerra.

Ma funziona anche così. Paroldo se ne va con gli occhi rossi e pieno di dubbi.

Li risolve il giorno dopo. Convoca i propri ufficiali e propone loro di unirsi alla resistenza. Sono gli stessi ufficiali che Bisagno si è lavorato nei tre giorni in cui se ne è andato in giro per Torriglia travestito da uno di loro. La proposta venne accettata dalla maggioranza e attuata il giorno successivo. I tedeschi aggregati al reparto vengono fatti prigionieri, i magazzini e la cassa del battaglione svuotati e il loro contenuto portato in montagna. Su 700 tra alpini e ufficiali circa 120 scelgono di tornare nelle fila repubblichine, altri 120 guidati da Paroldo (che assumerà il nome di Trebbia) passano alla Cichero, gli altri provano a raggiungere le proprie case o si imboscarono tra i contadini. 

È il 4 novembre 1944.

«Neanche a farlo apposta gli alpini passano con noi nel giorno della festa dell'unità nazionale e delle forze armate»

«Bisagno, a me è sempre stata sul gozzo questa festa militarista, ma se l'unità nazionale è sparare tutti insieme ai fascisti e le forze armate siamo noi, allora… festeggiamo!»

A fine ottobre anzi i partigiani sono circa 4.500 in tutta la VI Zona. Si tornano a liberare i paesi: Gorreto, Ottone, Torriglia, Rovegno, si ricostruiscono le giunte libere. Altre si formano nella valle del Vara, presidiata dalla brigata Coduri. La formazione conta 600 uomini, teoricamente fa parte della divisione Cichero e occupa la zona a sud-ovest del suo schieramento, in realtà ha un'altra storia, non è nata dal gruppo di Bisagno, Marzo e Bini sul Ramaceto, ma da quello messo insieme dal comandante Virgola (Eraldo Fico) e dal suo commissario Leone (Bruno Monti). Sono entrambe comunisti e la loro brigata ha un'identità più nettamente operaia e comunista delle altre. Ma hanno anche loro un cappellano, Don Bobbio, molto stimato da Virgola e Leone; mentre il capo delle staffette, Rum (Bernardo Traverso) è iscritto all'Azione Cattolica. Rum dirà che Virgola «aveva gli occhi buoni proprio come Bisagno». Entrambe carismatici, coraggiosi, adorati dalla propria formazione, i due sono così simili da non sopportarsi. Bisagno non accetta che Miro, comandante di Zona dia ordini alla sua divisione, allo stesso modo Virgola rifiuta di ubbidire agli ordini di Bisagno per la propria brigata. 

Ciascuna delle due parti finisce per tirare in ballo la politica. Bisagno accusa Virgola e Leone di essere dei settari che vorrebbero imporre l'adesione al PCI a tutti i partigiani della propria formazione, loro ricambiano accusandolo di discriminarli nella distribuzione dei materiali paracadutati dagli alleati e di farsi strumento delle manovre degli anticomunisti come Banfi, il comandante della brigata Berto che confina con la loro. Le dicerie e le voci sono amplificate dai vari combattenti che liberamente passano da una brigata all'altra. In 10 se ne vanno dalla Berto alla Coduri? Vedete che non sopportano quel dittatorello reazionario di Banfi! In altri dieci passano da Coduri alla Berto? Vedete che l'eccessiva propaganda di partito sfalda le formazioni!

E Marzo in mezzo, che un po' prova a mediare e un po' si incazza con gli uni e con gli altri. Manda al comando di Zona rapporti secondo cui Banfi è davvero un reazionario che andrebbe rimosso dal comando e al contempo risponde a tono agli attacchi di Virgola e Leone contro Bisagno. Finirà per scambiarsi lettere di insulti con il suo compagno di partito e collega commissario Leone ancora trent'anni dopo la fine della guerra.

Comunque la Coduri non vuol essere seconda a nessuno. Provano anche loro a far cambiare bandiera ad un battaglione della Monte Rosa con la mediazione di Don Bobbio, ma la cosa non riesce. 

In compenso 200 alpini disertano le truppe di Salò per i fatti loro e si uniscono alla Coduri. Nel suo rapporto, il capo di stato maggiore della brigata, Bocci (Giovanni Sanguineti) dà il merito della cosa,  «alle compagne partigiane che lavorano in città. Ne vanno citate in particolare modo le compagna Gina e Nica che non solo riescono [N.d.T., a procurarsi] informazioni preziosissime, ma pure a convincere elementi della M.Rosa alla diserzione». 

La brigata continua a far saltare strade e ponti, impedendo ai tedeschi di portare via il Manganese estratto dalle miniere del posto. La notte calano dalle montagne arrivano fin sulla costa, a Lavagna. Il 16 novembre attaccano un magazzino dove, «fanno prigionieri un tenente, due sottufficiali e 15 Alpini asportando 80 coperte 20 fucili un mitra, medicinali, cuoio vestiario, e sigarette, distruggendo poi il magazzino appiccandovi fuoco, distruzione completata».

Una settimana dopo tornano con tre distaccamenti e attaccano tutte le postazioni nazifasciste in paese, «attaccavano tre posti di blocco presidiati dalle Brigate Nere, facendo prigionieri 32 fascisti, distruggevano poi le liste degli accertamenti agricoli al Municipio, e distruggevano 3 camion tedeschi, attaccavano la casa del fascio distruggendone un’ala a colpi di Bazzoka, azione svolta dalle ore 0,30 alle ore 5».

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Note

Il passaggio del battaglione Vestone della divisione alpina Monte Rosa alla resistenza è raccontato, con alcuni piccoli particolari diversi, sia da Marzo nel suo libro La repubblica di Torriglia. Genova: Frilli, 2009 che da Croce nella sua testimonianza. Io ho scelto la versione di Sandro Antonini nel libro Io, Bisagno...il partigiano Aldo Gastaldi. Chiavari (GE): Internòs, 2017, scritto sulla base dei documenti d'archivio e non delle sole testimonianze.

Ho tenuto presente il libro anche per quanto riguarda i rapporti tra la Coduri e il comando della Cichero, mentre i rapporti di Bocci in merito alle azioni della brigata sono online.

Sulla battaglia di Guadalajara ho fatto riferimento al libro di Olao Conforti Guadalajara, la prima sconfitta del fascismo Mursia: Milano, 2000.