Renzinomics

13 / 3 / 2014

Con stile da teleimbonitore, Matteo Renzi, l’accoltellatore di Letta lo e scalatore antigerontocratico del PD, ha presentato un programma che è per la prima volta dai tempi di Monti nel segno della fine dell’accanimento austeritario contro la società italiana ed europea, che ha portato la disoccupazione giovanile a livelli incredibili (40% in Italia, 50% in Spagna, 60% in Grecia) e gettato in depressione e miseria milioni di persone, spesso repentinamente.

Il vincolo di Maastricht che impicca chi lavora implicitamente è saltato. Renzi mette 100 euro nelle tasche dei ceti medio-bassi perché vuole salvare la classe media e perché sono uno stimolo keynesiano ai consumi che precipitano. Già Commissione e BCE sono in agitazione sull’eterodossia di bilancio.

A noi però c’interessa dare un giudizio preliminare sul Jobs Act dal punto di vista dell’interesse della generazione precaria di ventenni e trentenni: pesce d’aprile o primo di maggio? (Il pacchetto di decisioni doveva originariamente entrare in vigore il 1° aprile). Sarà una legge delega (e il mio amico Peppe Allegri dice che per questo non sarà approvato velocemente; io credo il contrario), ma la direzione è a sinistra, se sinistra significa riduzione del tasso di precarietà.

Innanzitutto la maternità per le precarie non sarà più l’incubo attuale. E al contrario della riforma Fornero, il sussidio di disoccupazione si prospetta quasi universale, da versare a chiunque finisca il contratto a tempo determinato o di parasubordinato. Rimangono fuori gli autonomi free-lance, e questo è certamente un male, perché nel lavoro professionale, soprattutto di questi tempi, si cela tanto sfruttamento senza rete.

Contro la fuga del capitale umano, si vogliono dare crediti d’imposta per riuscire a far assumere 100.000 ricercatori: i precari dell’università si daranno tutti alla ricerca privata? Sui 500 milioni all’impresa sociale, mi sembra un gran regalo al non-profit cattolico, ma chiaramente il termine è stato dibattuto anche all’interno della sinistra eretica, quindi vediamo i criteri per accedere ai fondi.

C’è poi l’estensione da 25 a 29 anni dei programmi UE di formazione contro la disoccupazione giovanile (per cui lo stato è obbligato a offrire qualcosa a chi termina gli studi) è positiva perché coinvolge maggiormente gli studenti universitari che hanno tutto l’interesse a organizzarsi per smantellare il sistema clientelare quando non mafioso, e comunque ridicolmente inefficiente, con cui vengono gestiti i corsi di fomazione dalle regioni.

Sulla sostanziale liberalizzazione, valida da subito per decreto, dei contratti a tempo determinato (fino a 3 anni), secondo me incentiva le aziende ad assumere ragazze e ragazzi con diritti sindacali, previdenziali, ticket, tfr e ferie pagate, cosa che in un paese di stagisti pagati zero o in nero o con contratti fantasiosi dove non ti pagano mai, è un progresso.

A questo punto la cosa giusta da fare sarebbe organizzare chi lavora a tempo determinato (o è parasub) in una federazione precaria trasversale ai vari settori che intraprenda la battaglia per l’emanicipazione della precarietà. Perché il grosso del precariato è già lì (2/3 delle nuove assunzioni) e ha problemi contrattuali, di welfare e previdenziali sostanzialmente diversi dai lavoratori a tempo indeterminato, che restano ancora la misura (sempre più fittizia ed evanescente) dell’accesso alla contrattazione politica e alla spesa sociale.

Cofferati si è lamentato che i pensionati sono rimasti fuori.. La verità è che per la prima volta si fa qualcosa che va a vantaggio di precarie e precari, invece di lamentarne l’esistenza e poi discriminarli senza pietà come fanno i sindacati confederali.