Venerdì
28 novembre si è svolta l’udienza presso il tribunale delle
libertà di Bologna in merito all’ impugnazione del PM Mariarita
Pantani delle decisioni de GIP di Reggio Emilia riguardo le misure
cautelari ai danni di sedici attivisti che presero parte alla
manifestazione del 25 aprile 2014.
Ad un settimana di distanza il
giudice ha sciolto la riserva sul ricorso del PM accogliendo in buona
parte la sua richiesta con un'ordinanza ancora non definitiva che
prevede due arresti domiciliari e l'estensione quotidiana, sette
giorni su sette, degli obblighi di firma.
Davanti
ad un ricorso già discutibile in partenza, su misure sproporzionate
e intempestive rispetto alla concretezza di quanto verificatosi in
piazza, la nuova ordinanza segna un ulteriore aggravamento delle
misure adottate, manifestando un gap giudiziario che vede applicarsi
una pena arbitraria, coercitiva più che cautelare, ancor prima che
sia espressa una verità giudiziaria nell'ambito di un processo.
Nessuno dei 15 indagati ha condanne penali, risultano tutti
incensurati, stando agli incartamenti emessi dal riesame l'aggravante
che motiva le misure adottate è data dalla rivendicazione della
predisposizione dei manifestanti alla contestazione. Ad essere sotto
processo non tanto gli atti compiuti, da dimostrare, ma la
risolutezza delle idee che avrebbero spinto gli indagati a compierli,
la loro disponibilità ad esprimere dissenso. Un processo alle idee
prima ancora che alle intenzioni.
Un episodio gravissimo che
conferma l'inadeguatezza di un intero sistema politico in profonda
crisi nel produrre risposte politiche a istanze politiche se non
attraverso un esercizio arbitrario delle strutture giudiziarie, che
da una parte producono l'auto-assoluzione del sistema, basti pensare
alla sentenza Eternit o Cucchi, dall'altra oppongono una feroce
offensiva a chiunque contesti scelte politiche lesive della dignità
umana e dei diritti formalmente riconosciuti, come esprime per
esempio la sentenza ai quattro no tav per il danneggiamento d'un
compressore, laddove la vita di migliaia di persone avvelenate dalla
produzione industriale o uccise da agenti di polizia viene
svalorizzata rispetto all'integrità di un solo oggetto inanimato.
Un' ulteriore riflessione sullo stato di salute della democrazia formale, all'interno di un contesto nazionale che vede l'affermarsi di un sistema di governance sempre più lontano dal rapporto diretto con la base sociale e politica dei diversi territori, come già si evince dai dati delle ultime elezioni regionali agite da appena un terzo della popolazione e dal mandato auto-definito dal terzo governo non eletto negli ultimi quattro anni.
Lo stesso sistema politico che, come le recenti cronache dimostrano, è fondato su una trasversale collusione con l'ambiente mafioso, sullo sfruttamento finanziario e criminoso di vite umane spezzate dalla guerra e sulla speculazione del disagio e degrado evocati per alimentare politiche di gestione securitarie e profittevoli, le stesse cavalcate da Salvini per fomentare odio razziale e guerra fra poveri, nel sogno dell' instaurazione di una democrazia illiberale in Italia e in Europa sul modello russo di Putin o quello ungherese di Orban.
Quest'ordinanza tesa a silenziare e mettere sotto processo il diritto di manifestare a Reggio Emilia si scontra tuttavia con un contesto territoriale caratterizzato da un forte fermento sociale e da relazioni quotidiane di costruzione di percorsi politici, come dimostrano le mobilitazioni degli ultimi mesi.
Dalla
manifestazione dell'8 Novembre, convocata da un percorso pubblico di
assemblee cittadine e da una campagna pubblica, che ha visto molte
centinaia di persone sfilare in corteo in risposta alle misure
cautelari precedentemente adottate, passando per il tempestivo
intervento di numerosi gruppi in risposta alla provocatoria presenza
di Salvini che ha scelto la provincia di Reggio Emilia per concludere
la propria campagna elettorale, facendo tappa nel quartiere delle ex
Fabbriche Reggiane (oggi luogo oggetto di speculazione politica e di
disagio sociale), fino alla recente contestazione sotto al comune per
l'esorbitante bonus che la multiutility IREN consegna ai suoi
dirigenti nonostante l'enorme buco finanziario accusato, provocando
al contempo stacchi alle utenze in periodo invernale a centinaia di
persone che non hanno la possibilità di pagare le utenze.
Durante
la conferenza stampa tenutasi nello studio dell'avvocato Vainer
Burani è stato annunciato il ricorso in Cassazione rispetto alle
nuove misure, ed immediatamente rilanciata la partecipazione alla
giornata di sciopero generale del 12 Dicembre.