47 Decreti Penali di Condanna e 62 denunce sono i provvedimenti assunti dalla
magistratura in questi giorni, relativi alle intense battaglie che centri
sociali, collettivi, associazioni e singoli cittadini hanno agito a cavallo del
biennio 2009/2010.
Trentanove denunce riguardano la grande giornata di mobilitazione del 18 aprile
2009 in cui in tante e tanti ruppero gli assurdi divieti di manifestare imposti
dal Sindaco Delrio (oggi ministro) e dal prefetto, in applicazione delle
direttive del “pacchetto sicurezza” dell’allora ministro dell’interno Maroni.
Quarantasette i decreti penali di condanna, con pena sospesa di circa 23.000
euro ciascuno, relativi al corteo
spontaneo partito dal laboratorio sociale Aq16, in risposta all’attacco
notturno che i militanti di CasaPound con pietre e bottiglie avevano mosso allo
spazio autogestito, che coinvolse un centinaio di persone le quali assediarono
la sede dell’associazione fascista con
lancio di letame, tenendola chiusa per un intero pomeriggio. A queste si
aggiungono ventidue denunce già impugnate e con processo in arrivo, per le
manifestazioni studentesche contro il caro trasporti e contro le riforme
dell’allora ministro Gelmini, ed il
processo, ormai prossimo, per la manifestazione studentesca del 9 novembre 2007,
giornata di mobilitazione nazionale “control breakers” promossa per la riappropriazione degli spazi
scolastici e della disobbedienza ai dispositivi di controllo imposti dal caro
vita studentesco, per la quale furono denunciate a Reggio Emilia dieci persone
per manifestazione non autorizzata e un’altra per danneggiamento delle
obliteratrici degli autobus per avervi apposto un sigillo.
La misura di questi provvedimenti lascia emergere la tendenza, sempre più
frequente e propria di un sistema politico in crisi, ad utilizzare
arbitrariamente il codice penale come mezzo di deterrenza e opposizione alle
istanze sociali. Potrebbero essere molteplici i casi che definiscono gli
espedienti tramite i quali la violazione di una norma viene strumentalmente
imputata a coloro che agiscono l’imprescindibile esercizio dei propri diritti nei
movimenti e nel lavoro quotidiano di tutti i giorni, espedienti in parte previsti
dal codice penale stesso, che meriterebbero un ulteriore approfondimento
rispetto a quelli che sono i limiti della dimensione della legalità ed i suoi
confini.
I casi specifici affrontati nel corso della conferenza stampa evidenziano buona
parte di questi limiti e la contraddizione tra giustezza della pratica politica
agita nelle piazze e l’utilizzo dei dispositivi in mano alla giustizia per
opporvisi.
La dimensione legale, politica e sociale in cui le mobilitazioni contestate sono
maturate è quella di un’insieme di decreti previsti nel noto “pacchetto
sicurezza” agito tramite i respingimenti in mare dei migranti, che hanno
portato alla morte di centinaia di migliaia di persone o alla loro arbitraria
detenzione in carceri speciali (che proprio nello stesso periodo cambiano nome
da Centri di Permanenza Temporanea a Centri di Identificazione ed Espulsione),
tramite ordinanze tese a restringere i confini della socialità e dell’agibilità
politica cittadina, soprattutto di chi non è rappresentato o rappresentabile da
nessuno.
E’ la stessa dimensione che legittima e
concede spazi ad organizzazioni populiste di estrema destra, razziste e
omofobe, che si rendono responsabili di costanti e violente aggressioni, di cui
forse la più nota è la strage del mercato di Firenze del dicembre 2011 in cui
tre uomini sono stati uccisi da un militante di CasaPound prima che si
togliesse la vita, ed è la stessa in cui matura il piano di privatizzazione e
dismissione di scuola e università.
Il dato politico che emerge da questi provvedimenti, è il tentativo di
disinnescare in qualche modo un processo di maturazione e di crescita delle
esperienze di movimento a Reggio Emilia.
Dopo l’atto di disobbedienza all’ordinanza che impediva il corso dei cortei in
centro storico, e le mobilitazioni che a quella data giornata sono seguite, il
divieto è stato ritirato e nel corso degli anni successivi le piazze sono state
agite con molta più frequenza ed in molte forme diverse, sia dal punto di vista
politico dei movimenti che culturale, accrescendo la dimensione cittadina sia
qualitativamente che quantitativamente di esperienze autonome e comuni.
Allo stesso modo la risposta della cittadinanza alle aggressioni notturne di CasaPound ai danni del centro sociale Aq16, ha portato allo sviluppo di una campagna cittadina per l’interdizione all’associazione romana dalle piazze e dai luoghi pubblici e dei contenuti omofobi e xenofobi promossi dalla stessa (simbolicamente restituiti in quel primo momento del 2009), che ha coinvolto venti consigli comunali, compreso lo stesso del capoluogo e la provincia nella sottoscrizione del provvedimento.
Indipendentemente da quella che è la difesa legale e il corso giuridico dei provvedimenti presi diventa imprescindibile non arrestare il processo messo in campo dai movimenti in città, tramite l’esercizio dal basso dei propri diritti ed un costante lavoro quotidiano nelle piazze, in particolar modo in un momento storico in cui la dimensione legale delle istituzioni di governance è sempre più lontana dalla dimensione legittima della democrazia.