Reato di clandestinità - Il Senato confeziona l’abrogazione ad effetto

Il primo voto del Senato approva la cancellazione del reato penale

22 / 1 / 2014

Come spesso accade la montagna partorisce un topolino. Quando si tratta di votazioni all’interno delle aule parlamentari poi, il pasticcio rischia di diventare un risultato quasi scontato.

Bastava semplicimente abrogare l’articolo 10bis così come è stato concepito nel 2009 dalla maggioranza di centro-destra con Maroni al Ministero dell’Interno per mettere una parola fine a questa inutile baggianata del reato di ingresso e soggiorno irregolare che aveva puntato a punire i migranti per ciç che sono invece e non per ciò che fanno. Invece, anche molti tra i tanti che un tempo lo tacciavano come aberrante, non hanno saputo andare oltre una dicharazione piuttosto patetica di intenti.

L’emendamento approvato dall’aula recita come segue:
"abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia"

Così la fattispecie prevista dall’attuale Testo Unico, che per la verità si traduce in una sanzione pecuniaria o al limite in un provvedimento di espulsione, viene formalmente sottratta all’ambito penale. I senatori però hanno sentito la necessità di ribadire nell’ultimo periodo un fatto piuttosto scontato per l’ordinamento italiano che neppure la direttiva europea sui rimpatri è riuscita a ridisegnare fino in fondo. L’emendamento approvato ribadisce infatti le implicazioni penali per chi violi gli ordini di allontanamento ed il divieto del reingresso, che con la legge Turco Napolitano prima e la Bossi Fini poi, erano sempre e comunque presenti.

A reato simbolico insomma, la politica risponde con una abrogazione simbolica.
Ed è forse questo il punto più interessante di questa vicenda. Il testo ora passerà alla Camera e poi, se venisse ulteriormente modificato, tornerà nuovamente al Senato per essere definitivamente licenziato sotto forma di disegno di legge. Un impegno per il Governo che prima della fine di una legislatura instabile e precaria difficilmente potrà tradursi in decreti operativi.
Il fatto più interessante allora rimane un altro. La tragedia del 3 ottobre e la discussione che si è aperta intorno al tema del governo dell’immigrazione ha messo evidentemente in crisi quello che fino a poco prima pareva essere un terreno senza crepe. Quello dei confini è oggi un dibattito all’ordine del giorno nell’agenda dlle istituzioni su scala continentale. E la discussione al Senato sembra la fotografia di una empasse vorticosa che caratterizza il dibattito politico su questo terreno.
La necessità di dare risposte a ciò che è accaduto ha il sapore di un continuo tentativo di ristabilire una nuova legittimità per le politiche di controllo dell’immigrazione che hanno bisogno di ricostruire una nuova iconografia. Una contesa carica di tensioni e irrisolvibili contraddizioni che non ha certo risvolti scontati.

E’ però una grande occasione. Un’ "instabilità" che può trasformarsi in varco.
Ma perché questa crepa diventi una breccia ha bisogno di uscire dalle retoriche della politica istituzionale per farsi programma comune dei movimenti. Un’opportunità di ridisegnare insieme la geografia dei diritti dei migranti ed allo stesso tempo una nuova ipotesi di Europa. Una sfida che già dal prossimo 31 gennaio, fino al 3 febbraio,stiamo provando in tanti a giocare con la Carta di Lampedusa