Que viva Django!

A Treviso l'amministrazione comunale attacca il centro sociale Django

15 / 12 / 2018

Dopo gli attacchi degli ultimi giorni da parte dell'amministrazione comunale di Treviso la risposta del centro sociale Django non si fa attendere. I tentativi di mettere a tacere un progetto di autogestione e rigenerazione dal basso di un pezzo di città - attraverso multe e la minaccia di stracciare la convenzione - non sortiscono e non sortiranno gli effetti sperati dalla giunta. Gli attivisti/e hanno lanciato a partecipare per martedì alle 20.30 un’assemblea pubblica per rilanciare i percorsi esistenti e opporsi alla follia leghista del comune. Di seguito un comunicato del Django.

Che cos’è un centro sociale?

È l’esperienza autogestita, autofinanziata, organizzata in maniera orizzontale, aperta portata avanti da decine di persone, sostenuta da centinaia di esseri umani, riconosciuta da migliaia.

Martedì invitiamo tutte e tutti a discuterne insieme alle 20.30.

La storia di Django è nota, l’occupazione, la costruzione di un percorso partecipato in cui potessero confluire altri progetti, la battaglia a fianco ad Open Piave per la stesura di una convenzione. Un contratto che abbiamo detto fin dall’inizio essere debole, insufficiente nel tutelare il percorso di rigenerazione urbana alla base della ristrutturazione della caserma Piave e della realizzazione di tutti i progetti che in questi anni hanno caratterizzato quegli spazi prima vuoti, abbandonati, sporchi. Abbiamo risanato un buco nero, un’area della città è tornata a respirare e con essa centinaia di persone che hanno potuto attraversarlo, chi trovando un ricovero notturno dove dormire, chi un laboratorio di sartoria e di falegnameria dove sperimentarsi e imparare un mestiere, chi trovando uno spazio dove suonare o un pubblico davanti cui dimostrare le proprie doti poetiche. C’è chi vi ha scoperto libri sconosciuti e chi ha incontrato degli amici, chi ha costruito una famiglia e chi ha imparato a organizzare eventi, ristrutturare stabili, immaginare mondi. Non ci siamo sottratti alle responsabilità. C’è in piedi una quotidiana lotta contro la burocrazia, per poter garantire uno spazio sicuro ma allo stesso tempo sostenibile in termini economici. I lavori proseguono, seguendo le indicazioni di architetti, ingegneri e tecnici di diverso tipo; ma possono proseguire grazie ai fondi raccolti ogni settimana, attraverso eventi, donazioni, raccolte fondi. Abbiamo sempre pubblicamente 

rivendicato le nostre azioni, non abbiamo occultato, non abbiamo nascosto. 

Il Sindaco Conte, il Consigliere Visentin, l’amministrazione ci muove accuse ridicole. Comminando una multa che sfiora i ventimila euro alle associazioni Occupiamoci di Treviso e Caminantes, non si vuole riconoscere un percorso. La solfa del paragone con altre attività commerciali è quanto mai inopportuna, nessuno lucra, nessuno guadagna all’interno delle mura della Piave. Ogni centesimo viene utilizzato per le progettualità, per le ristrutturazioni. L’attacco mosso nei nostri confronti è l’attacco mosso a coloro che sul territorio propongono e praticano un mondo differente. È un attacco verso chi lotta a fianco di migranti, donne e uomini sfruttati, giovani, precari, anziani, disabili, di chi lotta per il diritto a respirare e vivere in un territorio che non sia più cementificato, soffocato. 

Abbiamo consapevolmente scelto che strada intraprendere, quale aria respirare, in quale città vivere, da che parte stare. Sappiamo che abbiamo contribuito e contribuiamo alla scrittura della storia di questa città. Sembrerà forse un atto di superbia, e invece non è affatto questo. È la decisione consapevole di rivendicare con forza quanto fatto in questi anni e quanto ancora faremo. È la volontà di non sottrarsi dal posto che abbiamo preso, al fianco e in mezzo a chi lotta, a chi è senza casa, a chi è discriminato, a chi rifiuta condizioni di lavoro insostenibili, a chi difende il proprio territorio dalla devastazione, di chi occupa spazi lasciati al degrado, di chi è femminista, di chi combatte mosso dall’amore per un mondo giusto.

La formula per portarci all’abbandono del nostro posto è semplice: non deve più esserci un padrone che sfrutta, non devono più esserci progetti pubblici che inquinano e cementificano la terra, non deve più esserci qualcuno che sia povero, non devono più esserci discriminazioni razziali, di genere, o determinate dall’orientamento sessuale. Non devono più esserci disegni politici che portino alla precarizzazione e allo smantellamento dei sistemi educativi o che rendano sempre meno accessibili le cure sanitarie. Non deve più esserci l’amministratore di turno che governa la città volendola vetrina e cercando di nascondere la marginalità con inutili prove di forza della polizia.

Allora forse ce ne andremo. Ma non è questo il giorno.

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