Donne in Friuli Venezia Giulia, quando la violenza è di
casa. Botte e percosse, ma anche violenza psicologica con frasi del tipo “Non
sei capace di fare niente”. O ancora economica, nel senso che le vittime, pur
avendo un’entrata economica, non ne hanno il controllo, perché è solo il marito
che gestisce la finanza familiare. Violenza sessuale, che non comprende solo lo
stupro, ma anche un atto sessuale subìto. In Friuli Venezia Giulia sono sempre
più visibili le donne che hanno deciso di uscire allo scoperto rivolgendosi nei
cinque centri antiviolenza presenti sul territorio.
I dati più recenti a disposizione, relativi al 2008, tracciano un quadro
allarmante. Perché non si tratta della violenza subìta in strada da uno
sconosciuto, ma di quella cui le donne sono quotidianamente sottoposte
all’interno delle mura domestiche. Da parte del coniuge, nella maggior parte
dei casi. Coppie apparentemente “normali”, dove entrambi i coniugi sono
italiani, lavoratori e con un buon livello di istruzione. Ma dietro alla facciata
di perbenismo, quella che si consuma in casa è una violenza perpetrata di
continuo e naturalmente spesso ci vanno di mezzo pure i figli.
Difficile fare una proporzione con la popolazione femminile residente, perché
il fenomeno è emergente. Nel senso che per le 730 donne che nel 2008 hanno
contattato uno dei cinque centri antiviolenza presenti in regione, potrebbero
essercene altrettante che ancora non sono riuscite a compiere il primo passo
verso la propria emancipazione.
A parlare di un fenomeno difficile da fotografare nella sua interezza è
Fiorella Balestrucci, responsabile dell’area sociale del Sistema informativo
sociosanitario che opera presso la
Direzione centrale salute integrazione sociosanitaria e
politiche sociali della Regione. I dati disponibili però parlano già chiaro.
Sono il prodotto di statistiche incrociate, che mettono insieme le segnalazioni
raccolte dalle operatrici delle cinque associazioni che gestiscono
rispettivamente il centro antiviolenza di Udine (Io tu noi voi donne insieme),
di Trieste (Goap – Gruppo operatrici antiviolenza e progetti), di Pordenone
(Voce donna), di Gorizia (Sos rosa) e di Ronchi dei Legionari, sempre in
provincia di Gorizia (Da donna a donna).
Dalla fine degli anni Novanta le cinque associazioni si occupano di offrire
alle donne vittime di violenza un luogo di tutela e un percorso di uscita dalla
situazione di pericolo. Ma è solo dal 2007 che il Sistema informativo
sociosanitario della Regione ha cominciato a elaborare i dati forniti dai
centri. Ne emerge un quadro drammatico. Dei 730 contatti registrati nel 2008,
sono 546 (il 75%) le donne che si sono recate fisicamente in uno dei centri,
mentre le altre si sono limitate a telefonare. Il 35,5% si è rivolto al centro
di Udine, cui seguono quello di Trieste col 27,1%, di Ronchi dei Legionari con
il 16,8%, di Pordenone con il 15,4%.
Nel 57,6% dei casi la loro età è compresa tra 25 e 44 anni. Significativa (il
29,8%) è anche la quota di donne dai 45 ai 64 anni. Le donne con figli sono il
70%. In più della metà dei casi sono donne italiane (53,2%) e nel 10% dei casi
donne dei Paesi dell’Europa dell’Est. Le rimanenti provengono da vari stati
dell’Africa, del Sud America e da alcuni stati del Nord Europa. Nella maggior
parte dei casi sono donne coniugate (43,6%) e la tipologia di nucleo familiare
prevalente è quella della coppia con figli (40,8%). Il titolo di studio nella
maggior parte dei casi è il diploma (40,7%).
Le donne che hanno concluso solo il primo ciclo della scuola inferiore di primo
grado sono il 23,3% mentre quelle che hanno conseguito la laurea sono il 12 %.
Il 60% delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza lavora, mentre le
disoccupate sono il 18% e le casalinghe il 9,8%.
L’occupazione prevalente è di tipo impiegatizio o operaio; abbastanza numerose
sono anche le donne impegnate nell’assistenza alla persona e nell’insegnamento.
Nella maggior parte dei casi l’autore della violenza è il coniuge
(43,4%).
L’ex coniuge o convivente è autore della violenza nel 25% dei casi, mentre il
convivente nel 13% e il fidanzato nel 2,8%. Al padre si deve attribuire il 2,9%
delle violenze e al figlio il 2,9%. Nella maggior parte dei casi si tratta di
persone occupate (72,8%). Limitato è il numero dei disoccupati (11,2%) e dei
pensionati (11%).
Come spiega Laura Cerone, psicologa e psicoterapeuta responsabile del centro
antiviolenza di Udine, la violenza subìta dalle donne è caratterizzata dalla
compresenza di più forme di violenza. Nella maggior parte dei casi presentano
forme di violenza psicologica (37%), seguite da forme di violenza fisica
(29,6%), di violenza economica (22,9%) e, da ultimo, di violenza sessuale
(10,5%).
Le conseguenze sono molteplici: la paura è quasi sempre presente, gli ematomi
(45,4%), la disperazione (44%), la difficoltà di gestire i figli (32,2%), le
ansie e fobie (27,5%), l’isolamento sociale e familiare (26,6%), la depressione
(26%) e i disturbi del sonno e dell’alimentazione (18,7%).
Quando la violenza sulle donne è di casa
In Friuli Venezia Giulia sono sempre più visibili le donne che hanno deciso di uscire allo scoperto rivolgendosi ai cinque centri antiviolenza presenti sul territorio.
14 / 4 / 2010