Quando chi ha perso la libertà diventa anche "sacrificabile"

11 / 3 / 2020

Negli ultimi giorni stiamo vedendo come l’emergenza sanitaria continui a mutare e aggravarsi con nuove misure e ordinanze che vengono attivate, modificate giorno per giorno.

Ci, però, sono alcuni luoghi nel nostro paese dove il rischio di contagio sembra interessare solo parzialmente lo Stato. Le carceri, i luoghi di reclusione, per non parlare dei Cpr sembrano essere una bolla al di fuori di qualsiasi ipotesi di prevenzione. Quasi come vi fosse una scelta a monte di rendere “sacrificabili” queste persone.

Da ieri notte tutto il territorio nazionale è sottoposto a una nuova ordinanza, pari a quella attuata nelle zone rosse, in cui si legge che bisogna “evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata e in uscita dai territori, nonché all’interno dei medesimi, salvo che per gli spostamenti motivati da indifferibili esigenze lavorative o situazioni di emergenza;” e un'altra serie di restrizioni e di indicazioni igienico sanitarie.

Ma come poterlo attuare in luoghi dove non vi è la libertà e dove gli spostamenti sono vietati?

Dalla scorsa settimana la decisione del Governo è stata quella di bloccare i colloqui dei detenuti  con familiari e avvocati, oltre al lavoro all'esterno e la semilibertà a causa del corona virus. 

Com’è possibile all’interno di una struttura carceraria evitare i contatti con altre persone quando nelle carceri italiane abbiamo un sovraffollamento del 131% e vi sono persone che in maniera coatta hanno contatti con l’esterno? Dobbiamo tenere conto infatti che gli istituti penitenziari sono a tutti gli effetti luoghi pubblici, sovraffollati, con personale e fornitori che entrano ed escono e che potrebbero diventare veicolo di contagio e scatenare una vera e propria epidemia nell’epidemia.

Ad esempio nel carcere di Vicenza il primo contagiato è stata una Guardia carceraria, quindi a contatto con altri colleghi e a contatto coi detenuti. Ad oggi sembrerebbe che nessuna sanificazione degli ambienti sia stata fatta, così come nessun tampone a detenuti e guardie.

Perché non si stanno prendendo in seria considerazione misure di prevenzione e alternative in questi luoghi?

Mettere in campo misure inadeguate per prevenire il contagio tra la popolazione detenuta, mette a rischio 61000 persone, tenendo conto che il 50% circa di essi ha un’età compresa tra i 40 e gli 80 anni e che oltre il 70% presenta almeno una malattia cronica con il sistema immunitario compromesso.

Il clima di paura e insicurezza che vediamo in tutta la popolazione italiana, negli istituti penitenziari è decuplicato e ha favorito una rivolta senza precedenti che ha portato finora alla morte di 1 persone. A Modena durante la rivolta sono morti 9 detenuti: le prime dichiarazione parlano di 4 all'interno delle mura del carcere in sommossa, 4 durante i trasferimenti in altre carceri e una persona è morta in ospedale dopo il ricovero. A Rieti 3 detenuti sono morti dopo aver assunto farmaci rubati dall’infermeria. Altri 8 sono stati trasportati in ospedale, di questi 3 sono attualmente ricoverati in terapia intensiva, mentre un altro detenuto, più grave, è stato trasferito in elicottero a Roma.

Dalle dichiarazioni provenienti dalla polizia penitenziaria, secondo le prime ricostruzioni, tutte le morti sono per overdose causata dopo aver assunto farmaci e psicofarmaci rubati dalle infermerie durante le sommosse.

Anche se ad oggi sono state istituite ulteriori indagini, le cause di queste morti non sono ancora state accertate né sottoposte ad indagini ufficiali né a dichiarazioni ufficiali, infatti rispetto ai primi tre deceduti al carcere di Modena viene riferito che, due decessi, sarebbero riconducibili all'uso di stupefacenti, mentre il terzo detenuto è stato rinvenuto in stato cianotico, di cui non si conoscono le cause.

A Foggia ieri sono riusciti ad evadere 77 persone, al momento 22 risultano latitanti. La tensione è alta in parecchi istituti. Si è andati oltre la “solita” battitura di protesta. Alcuni agenti di polizia penitenziaria sono stati sequestrati per ore, parecchi detenuti hanno dato fuoco a materassi e molti sono saliti sui tetti delle strutture. Non possiamo pensare che la situazione all’interno degli istituti carcerari possa continuare in questo modo con l’incertezza di quello che sta succedendo all’interno e alle persone detenute all’interno. All’esterno delle carceri si sono riuniti familiari e militanti per supportare le proteste. Si registrano scontri con le forze dell’ordine a Milano e oggi a Roma, con tre militanti in stato di fermo.

La situazione è paradigmatica, la risposta politica all’ emergenza è repressiva, restrittiva ed insufficiente invece che cogliere il momento per attuare delle misure utili ed alternative e cogliere l’occasione per aumentare il numero dei medici all’ interno delle strutture (numero già in precedenza assolutamente insufficiente, come più volte denunciato dall’associazione Antigone).

A questo si aggiunge una speculazione politica che sta toccando livelli indecenti, con Matteo Salvini e Giorgia Meloni che invocano più repressione e il ministro Bonafede – paladino del giustizialismo, che chiude nettamente le porte a qualsiasi ipotesi di indulto.

È necessario invece pensare e attuare delle misure cautelari alternative, che vadano a proteggere e mettere in sicurezza tutti e tutte. Si dovrebbero per prima cosa attuare delle misure come la diminuzione il flusso in entrata, oppure per esempio trasformare la semi libertà in un affidamento in prova ai servizi sociali, permessi premio, licenze di due settimane come stanno facendo a Napoli. Tutte le persone che stanno male, dovrebbero andare a casa loro perché sono in pericolo di vita. Per chi ha un residuo pena di pochi mesi si potrebbe prevedere la detenzione domiciliare. Provvedimenti piccoli che avrebbero un risultato immediato. Ma in una situazione del genere è necessario soprattutto pensare a misure come l’amnistia o l’indulto.